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Sicilia a rischio: entro il 2100 potrebbe essere sommersa dal mare

Redazione 2

Sicilia a rischio: entro il 2100 potrebbe essere sommersa dal mare

Ven, 26/03/2021 - 12:49

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Entro il 2.100 il mare divorera’ circa 10kmq di coste della Sicilia sud-orientale, sommergendo porzioni considerevoli della Piana di Catania, dei porti di Augusta e Siracusa e di Marzamemi, inghiottendo le Riserve di Vendicari e delle Saline del Ciane, meta di turisti da tutta l’Europa.

Al tempo stesso, avanza dall’interno un processo di desertificazione che sta mettendo a rischio le aree mediterranee del Sud Italia, dalla Puglia alla Sicilia.

L’allarme e’ lanciato da due studi pubblicati, il primo, dai ricercatori dell’Istituto nazionale di vulcanologia (Ingv), dell’universita’ di Bari, Catania e Radboud in Olanda sulla rivista ‘Remote Sensig’, e l’altro dai docenti delle universita’ di Catania, del Salento e della California sulla rivista scientifica ‘Land’.

“Dal 1880 in poi il livello marino ha iniziato ad aumentare di 14-17 cm ma oggi sta accelerando e sale alla velocita’ di oltre 30 cm per secolo”, spiega Giovanni Scicchitano, associato di Geomorfologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Universita’ di Bari, autore, tra gli altri, dello studio ‘Relative Sea-Level Rise Scenario for 2100 along the Coast of South Eastern Sicily by InSAR Data, Satellite Images and High-Resolution Topography’.

Analizzando le relazioni tra gas serra, aumento delle temperature globali e aumento del livello marino, i ricercatori hanno stimato che “se non verranno ridotte le emissioni, il livello del mare potrebbe salire anche di 1.1 metri nel 2100 e di vari metri nei due-tre secoli successivi, con conseguente impatto sulle coste”.

“Ma quelle basse e subsidenti, cioe’ dove la superficie terrestre si muove verso il basso per cause naturali o antropiche – prosegue lo stuio – possono accelerare il processo di invasione marina. Per queste ragioni abbiamo realizzato uno studio sugli scenari attesi lungo le coste della Sicilia orientale per il 2050 e 2100”.

“Abbiamo calcolato – afferma Marco Anzidei, ricercatore dell’Ingv – le proiezioni dell’aumento del livello marino per differenti scenari climatici e sulla base di vari parametri emessi dall’Ipcc o calcolati in questo studio, tra cui l’espansione termica del mare, la fusione dei ghiacci continentali, la concentrazione di gas serra in atmosfera e, infine, i movimenti verticali del suolo.

Insieme ai ricercatori Ingv Cristiano Tolomei, Christian Bignami ed Enrico Serpelloni, abbiamo valutato le deformazioni del suolo con dati spaziali, informazione indispensabile per realizzare mappe ad alta risoluzione delle aree che saranno potenzialmente allagate nel 2050 e nel 2100″.

Nel sollevamento del livello del mare le “componenti in gioco” sono diverse.

“Abbiamo utilizzato – prosegue Anzidei – dati satellitari per calcolare la velocita’ di subsidenza e l’arretramento della costa, dati mareografici per l’andamento del livello marino e modelli digitali ad alta risoluzione della superficie del suolo lungo la fascia costiera, calibrati con campagne di rilievo topografico di alta precisione.

Nel calcolo, abbiamo considerato gli effetti della tettonica regionale e della subsidenza utilizzando tecniche spaziali che includono le reti di stazioni Gps permanenti dell’Ingv e i dati provenienti dai satelliti interferometrici Sentinel.

Queste analisi ci hanno permesso di valutare gli scenari in sei zone costiere che includono la parte meridionale della piana di Catania, i porti di Augusta e Siracusa, la foce dell’Asinaro, Vendicari e Marzamemi”.

Si tratta, aggiunge, Carmelo Monaco, ordinario di Geologia nell’univesita’ di Catania, di “sei aree di particolare importanza per il territorio regionale: la piana di Catania ad intensa vocazione agricola, i porti di Augusta e Siracusa, di particolare rilevanza commerciale ed industriale e infine Vendicari e Marzamemi, particolarmente rilevanti dal punto di vista ambientale e turistico”.

I risultati per la piana di Catania indicano che “nell’area compresa tra i fiumi Simeto e San Leonardo, la perdita di territorio al 2100 sarebbe considerevole, con il mare che invaderebbe la zona depressa per diverse centinaia di metri.

Nel porto di Augusta alcune aree industriali potrebbero essere coinvolte. Il porto di Siracusa e’ l’area che piu’ soffrirebbe di un potenziale innalzamento del livello del mare al 2100: secondo le nostre proiezioni, infatti, l’area della foce del fiume Ciane potrebbe essere invasa dal mare per una estensione fino ad 1 km nell’entroterra rispetto l’attuale linea di riva.

Le Saline del fiume Ciane, attualmente Riserva Naturale Orientata e che negli ultimi anni hanno gia’ subito un arretramento misurato da dati satellitari di circa 70 metri, verrebbero totalmente sommerse. Sorte simile potrebbe toccare alla Riserva di Vendicari, le cui aree umide potrebbero sparire lasciando sparse isole relitte”.

Il sollevamento del mare potrebbe aumentare la forza delle tempeste. “In un recente studio che abbiamo condotto in collaborazione con l’Universita’ degli Studi di Catania e l’area Marina Protetta del Plemmirio (Siracusa), che esporremo al prossimo congresso dell’European Geophysical Union – spiega Scicchitano – abbiamo verificato che negli ultimi anni gli uragani mediterranei, conosciuti come ‘medicane’, hanno colpito le coste della Sicilia sud orientale (si ricordano Quendresa nel 2014 e Zorbas nel 2018) e hanno prodotto effetti piu’ intensi rispetto a quelli generati dalle normali tempeste stagionali avvenute negli ultimi 10 anni”.

Pertanto, con un livello marino piu’ alto, gli effetti di eventi meteomarini estremi verrebbero amplificati.

Nel futuro del Mediterraneo, e della Sicilia, si affaccia, inoltre, il problema della desertificazione. I suoli dell’area del Mediterraneo, spiega lo studio pubblicato su ‘Land’, sono relativamente recenti in termini geologici e altamente vulnerabili all’azione del vento e delle piogge torrenziali.

Se oltre il 25% della popolazione mondiale e’ a rischio a causa delle crescenti pressioni esterne dovute alle attivita’ umane ed al cambiamento climatico che aggraveranno ulteriormente la desertificazione, questa tendenza e’ “facilmente riconoscibile anche in Italia, specialmente in Puglia, Sicilia e Sardegna”, dove “lunghi periodi di pascolo eccessivo, deforestazione e incendi, possono incidere sul degrado irreparabile del paesaggio, della vegetazione e del suolo”.

“Il mosaico delle zone aride e semi-aride mediterranee e’ stato definito da sistemi complessi che rispecchiano le coperture vegetazionali del suolo. Quindi l’identificazione esatta dei loro cambiamenti nel tempo e’ cruciale nelle aree a rischio desertificazione. I risultati ottenuti hanno dimostrato un’elevata resa spaziale nel riconoscimento del degrado del suolo e della massiccia desertificazione nel Sud Italia in generale, e della Puglia in particolare.

Di conseguenza, la suscettibilita’ della terra al degrado, misurata con questo approccio, puo’ aiutare a quantificare la vera desertificazione del suolo, con evidenti vantaggi operativi per la gestione e la pianificazione paesaggistica”, spiega Christian Mulder, docente di Cambiamenti climatici e rischio desertificazione dell’Universita’ di Catania, e autore, tra gli altri. Insieme ad altri cinque colleghi Mulder ha analizzato, servendosi dei dati satellitari Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer la resilienza della chioma degli alberi in Puglia ad eventi estremi quale la siccita’.

“La metodologia matematica – afferma – puo’ essere facilmente estesa ad altre regioni, come la Sicilia, che richiedono interventi mirati finalizzati alla conservazione e ad una gestione sostenibile delle aree interessate”.

“Tradizionalmente il telerilevamento satellitare ha consentito in passato di rilevare le dinamiche e le perturbazioni dell’uso del suolo a livello locale, regionale e globale – aggiunge il docente dell’ateneo catanese -.

I dati informativi raccolti nel tempo sulla vegetazione sono stati ampiamente riconosciuti come indicatori per misurare processi come la conversione dell’uso dell’habitat e pertanto rappresentano un serbatoio essenziale di informazioni sul paesaggio perche’ rendono tracciabili gli eventi di stress ambientale che si sono verificati.

Attraverso la loro indagine approfondita, quindi, e’ possibile rivelare non solo l’entita’ dei “disturbi”, ma anche di valutare il tempo necessario al paesaggio per tornare alla normale funzionalita’ e proiettare questa resilienza nel futuro”.