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Caltanissetta, Saguto: PM hanno fomentato un processo mediatico

Redazione 2

Caltanissetta, Saguto: PM hanno fomentato un processo mediatico

Sab, 31/10/2020 - 20:20

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Si dice “molto amareggiata” per un “processo mediatico” che, a suo dire, “è stato fomentato dalla Procura di Caltanissetta” ed è pronta “ad andare avanti fino alla fine, anche in Europa, se dovesse servire” perché “io non mi fermo” davanti alla condanna a otto anni e mezzo di carcere per abuso d’ufficio e corruzione.

Ribadisce che “su 74 capi di imputazione” a suo carico “ne sono rimasti appena 16”.

Caduta, ad esempio, l’accusa di associazione per delinquere “e questo prova che non c’era nessun cerchio magico”. Definisce sardonicamente “granito di scarsissima qualità” le prove definite, appunto, “granitiche”, dal Procuratore aggiunto Gabriele Paci.

E pensa di essere stata “fermata” perché “davo fastidio”. Silvana Saguto, l’ex potente Presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, si racconta dopo la sentenza emessa mercoledì sera dal Tribunale di Caltanissetta, che ha dimezzato la pena richiesta dalla Procura nissena.

I pm avevano sollecitato per l’ex giudice, nel frattempo radiata dalla magistratura, la pena a 15 anni e 4 mesi di carcere, ma i giudici l’hanno condannata a 8 anni e sei mesi. In un colloquio con l’Adnkronos, Silvana Saguto parla del processo, dell’inchiesta che l’ha portata alla sbarra, dei suoi colleghi, dell’antimafia “di carta”, dell’agenda con i nomi dei magistrati che le chiedevano una nomina sventolata in aula, della sua vita di magistrato “che ha rischiato la vita”.

Ma, ci tiene, soprattutto, a dire che è stata “fermata” alle Misure di prevenzione, perché “davo troppo fastidio”, “avevo toccato determinati interessi che erano troppo grossi, enti importanti. E un certo punto ho iniziato a subire attacchi inspiegabili”. E spiega: “Non ho fatto fallire niente, niente…”.

Secondo la Procura di Caltanissetta, Silvana Saguto, sarebbe stata a capo di un “cerchio magico” nella gestione dei beni sequestrati e confiscati a Cosa nostra, formato da parenti, magistrati, avvocati, persino un ex prefetto, tutti condannati.

Ma lei respinge con forza tutte le accuse: “Io non ho avuto nessun vantaggio – spiega – le persone che ho ‘sistemato’, se così si può dire, erano dei poveracci, di cui mi potevo fidare per la bravura, per l’idonietà e per la lontananza dalla mafia”.

Saguto, seduta nel salone della sua abitazione nel centro di Palermo, confiscata dal Tribunale di Caltanissetta dopo la sentenza di primo grado, si tormente le mani e dice con voce ferma: “Io non mi sono mai considerata una icona antimafia. Facevo semplicemente il mio lavoro”.

Poi, entra nelle pieghe del processo durato quasi tre anni con quasi cento testimoni ascoltati dai giudici.

A partire da uno degli episodi chiave dell’intero dibattimento. Cioè, la presunta consegna di un trolley contenente 20 mila euro nella sua abitazione.

Per i pm sarebbe la “prova regina” del patto corruttivo. Secondo la Procura questi soldi sarebbero stati portato a fine giugno del 2015, all’interno di una valigetta, dall’ex amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, condannato a 7 anni e mezzo, nell’abitazione di Silvana Saguto.

Episodio sempre smentito dai diretti interessati. Ieri, in una intervista all’Adnkronos, il Procuratore aggiunto Gabriele Paci, replicando alla difesa dell’ex giudice secondo cui sarebbe caduta l’imputazione dell’episodio corruttivo dei 20 mila euro, ha parlato di “prove granitiche”, fatte anche da “intercettazioni e accertamenti bancari”.

Ecco adesso la replica immediata di Silvana Saguto: “Non si può parlare di granito, come dice Paci, semmai si tratta di granito di scarsissima qualità quello della Procura, visto che non ha retto né l’associazione a delinquere né la dazione materiale di denaro.

La Procura si legga bene le motivazioni. Per ora le sue sono solo illazioni, una maniera per potere alimentare quello che è stato il processo mediatico che è stato fomentato dalla Procura con le dichiarazioni che sono state rilasciate ma, soprattutto, con le intercettazioni che sono state divulgate, quando non potevano essere divulgate”.

E ricorda il caso dell’ex Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone che “ha levato l’indagine su Mafia Capitale su Roma quando sono spuntate le intercettazioni. Lo stesso trattamento non è stato riservato a me – dice – Certo, qualcuno quelle intercettazioni le ha date”.

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