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Arcangelo Pirrello: l’errore democratico

Redazione

Arcangelo Pirrello: l’errore democratico

Mer, 06/06/2018 - 11:14

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CALTANISSETTA – RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO. Una volta si diceva che il comunismo, che comunque aveva vinto tante battaglie e tante guerre, ne avesse vinta una fondamentale, la più importante: la guerra delle parole. Il significato delle parole era affatto distorto da parte dei comunisti  e del pensiero colto e dominante  fino al paradosso. In unione sovietica e nel resto del mondo comunista la gente soffriva e moriva di stenti o nei gulag, (il solo Stalin ne fece ammazzare venti milioni) ma le “parole” erano di un grande progresso e benessere del popolo.

C’era un assoluto dittatore (volta per volta Stalin, Krusciov o Brežnev) ma la “parola” era “democrazia” poiché “comandava il popolo”. In Cina tra il 1958 e il 1963 morivano di fame e stenti circa cinquanta milioni di uomini, donne e bambini, ma era “il grande balzo”, il progresso  di Mao Tse-tung e così via.

Ricordate i manifesti standard in epoca Togliatti e fino a Berlinguer che, tra l’altro, fu il primo a vacillare dalle certezze d’oltrecortina ? “VOTA COMUNISTA” dicevano. La parola comunismo non doveva essere usata, a costo di far passare un marchiano errore per creatività: il comunista poteva essere lo zio Nunzio, simpatico e alticcio mangiapreti che attaccava ”bandiera rossa” alla fisarmonica finendo senza accorgersene per intonare le note di “giovinezza” che aveva suonato per vent’anni, o il ferroviere mattacchione vicino di casa, l’insegnante giusto, equo e cordiale dell’istituto minerario (dove solo io non ero comunista), il medico deputato e squisita persona, e se si vuole anche il Peppone di guareschiana memoria;  ma “comunismo”, la sola parola comunismo, faceva venire i brividi alla schiena anche agli stessi comunisti. 

I primi ad accorgersene in maniera più diretta della guerra delle parole furono i residuali anarchici che furono anche perseguiti. Se ne accorsero, e dopo il 48’ cominciarono a prendere le distanze,  anche i fratelli maggiori dei comunisti, cioè i socialisti: coloro i quali avevano fatto le prime e più valide battaglie popolari per la pace e la giustizia sociale al popolo, contro la prevaricazione di re e papi, figurarsi.

Ma andiamo a oggi. Avviene che oggi la sinistra è diventata élite, anche secondo Saviano, domenica scorsa  da Fazio, che ha pure citato Curzio Malaparte. Scrittore di gran vaglia (Curzio Malaparte), già ultrafascista e arcitaliano, che passando attraverso gli Agnelli, finisce per lasciare in eredità la sua villa di Capri alla Repubblica popolare cinese.

La sinistra è diventata élite dunque non è più popolo: scatta, immediato, il collaudatissimo apparato, cioè l’antica “guerra delle parole”, rafforzato con tutte le televisioni e le radio a cui tutti pagano il canone. Succede che  tutto ciò che è popolare poiché avviene per volontà o desiderio di popolo, diventa populista. L’ultima fresca fresca, la ribellione, ovviamente del popolo, diventa ribellismo.

Il popolo ritiene di fare i suoi interessi di popolo scegliendo la “non sinistra” e, automaticamente la non destra? Allora è populista. Ma non basta, se il popolo ha scelto la non sinistra (e la non destra) deve per forza essere anche ignorante e autolesionista.

E la democrazia, e il suffragio universale, il voto a tutti? Nessun problema: viene riscoperto persino Churchill; ma non nell’aforisma  della “democrazia è il peggiore dei sistemi tolti tutti quanti gli altri” , ma in quello che “una buona decisione si prende quando a decidere sono solo in due e l’altro è ammalato”.

Succede inoltre che da un paio di mesi  sono diventati famosi e sono presentati in televisione libri che appena lo scorso inverno sarebbero stati bollati, non come politicamente scorretti, ma come portatori delle peggio idee antirivoluzionarie prevaricatrici e fasciste. Ci si ricorda del giovane politologo statunitense Jason Brennan e del suo libro “contro la democrazia”, dove viene ammannito il concetto di “epistocrazia” cioè il governo dei colti e competenti – quantomeno dei bene informati – per il quale bisogna fare un esame per avere il diritto al voto o addirittura, in mancanza dell’esame o titolo di studio valido, sorteggiare un determinato numero di votanti. Roba da far passare per illuminato lo stesso Statuto Albertino che proibiva il voto agli analfabeti e alle donne.

Ma non basta, oggi in televisione, l’ottimo Corrado Augias (noto per essere al di sopra delle parti) propagandava, presente l’autore, il libro “La democrazia e i suoi limiti” scritto da Sabino Cassese, il costituzionalista che ha curato la prefazione del libro di  Jason Brennan, e che manco inizi a leggere che cita  Platone (Cassese non è certo un americano come Brennan) che parla di Dèmos e di Episteme. La sostanza è la stessa: può succedere che una moltitudine di ignoranti ai quali puzzano le ascelle, vincano le elezioni democratiche e  decidano così anche  per una minoranza (una élite appunto) di rari illuminati e competenti che sono perciò costretti a subire i populisti e ribellisti. Finora hanno vinto gli illuminati oppure i puttanieri col conflitto d’interesse da sbattergli continuamente in faccia e il problema non si è posto, ma ora che i populisti ignoranti sono andati addirittura al governo bisogna intervenire: non è più il caso di farli votare.

Andando indietro alle mie letture giovanili posso suggerire a Corrado Augias, che ho visto impegnatissimo in questa crociata, un libro che affronta alla stessa maniera gli stessi identici concetti; un ormai introvabile, oltre che nella mia libreria, e che comunque può essere ancora ristampato: “L’errore democratico”, di Erik Von Kuehnelt-Leddihn  ed. Volpe.

Arcangelo Pirrello

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