SERRADIFALCO – Se un extraterrestre capitasse per caso in questo nostro paese e non avesse la ventura di incontrare Totò Alaimo, certamente l’impressione che ne ricaverebbe sarebbe quella di un’isola felice dove tutto scorre serenamente, dove i cittadini non hanno motivi per lamentarsi, dove tutto funziona alla perfezione. Considerato, poi, il silenzio politico che vi regna sovrano, penserebbe che i problemi che affliggono il resto degli Italiani, qui, siano stati tutti risolti e nessuno ha quindi motivo di protestare.
Ma io che alieno non sono, che in questo paese ci sono nato, cresciuto e vissuto, che non ho mai lontanamente pensato di lasciarlo per cercare lidi migliori, che nutro affetto per i cittadini e interesse per i loro problemi, non sono dello stesso avviso.
La mia condizione di pensionato, che non ha problemi se non quelli connessi con l’età (che comunque non mi impediscono di “pensare”), che è gratificato da sinceri e profondi affetti familiari, che non ha altri traguardi da raggiungere, dovrebbe suggerirmi di starmene tranquillamente nella nicchia sociale e familiare che mi sono costruito ed aspettare serenamente e cristianamente la fine dei miei giorni.
Ma non ne sono capace.
Da qui il bisogno irrefrenabile di dire la mia sull’attuale situazione politico-amministrativa a costo di attirarmi le critiche di qualcuno; critiche che, se costruttive e dette in buona fede, ascolterò volentieri. L’unica cosa che non desidero sentirmi dire è la solita frase: “ma chi te lo fa fare”; come se a quelli della mia età (73 anni per i curiosi) e senza un interesse personale, fosse precluso il diritto di pensare e di partecipare al dibattito politico;
Sono dell’avviso, invece, che ogni cittadino abbia non solo il diritto ma, soprattutto, il dovere di interessarsi alla cosa pubblica nell’interesse suo e degli altri.
La partecipazione alla vita democratica sta alla base del contratto sociale che ogni cittadino tacitamente sottoscrive vivendo in una comunità.
Ci sono persone che sperano nella fortuna, si accontentano di quello che hanno e non alzano un dito per cambiare le cose che non funzionano; ce ne sono altre che, al contrario, si mettono in gioco per dare forma ad un mondo migliore: per se stesse, per le generazioni future, per tutti.
“Un uomo che non si interessa allo Stato non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla”. Lo affermava Pericle nel 461 a.c. nel suo celebre discorso agli Ateniesi. Dubito che nel nostro paese, oggi, tutti siano in grado, non dico di elaborare politica, ma di esprimere un giudizio sereno ed obiettivo.
Alla mia età non si sente il bisogno di accattivarsi la simpatia degli altri; interessa semplicemente esprimere il proprio pensiero con franchezza e senza infingimenti nella speranza di offrire un’occasione, uno spunto, uno stimolo alla riflessione e alla valutazione dei fatti che hanno caratterizzato la vita politica locale e nazionale in questi ultimi due anni.
Oggetto della presente disamina sarà, quindi, l’operato dell’Amministrazione comunale in carica e le valutazioni che i cittadini su di esso esprimono.
Ma l’analisi non sarebbe completa e ponderata se mi limitassi al solo fatto locale e non cercassi di inquadrarlo, almeno sommariamente, in un momento ed in un contesto nazionale.
PRIMA PARTE
Essendo notoriamente uno che non ha mai cantato nel coro della sinistra, qualcuno penserà subito che le critiche che muoverò saranno poco obiettive, preconcette e dovute più che altro ad un pregiudizio ideologico.
Posso assicurarvi che non è così, se non altro perché non ho più alcun partito da difendere.
Dopo la fine della Democrazia cristiana prima e del Partito popolare poi, non ho più ritenuto di iscrivermi ad alcuna formazione politica e non certo perché non ne riconosca più la fondamentale funzione nella vita democratica ma perché, oggi, le attuali compagini politiche non rappresentano più nei fatti quei principi, quei valori, quegli ideali ai quali ho sempre creduto.
Proclamano, tutte, apprezzabili programmi, che illudono gli ottimisti e carpiscono la buona fede degli elettori; i loro atti, invece, sono finalizzati solo ai loro interessi e alla loro conservazione, dimenticando che la politica è passione, ideale, coerenza e soprattutto spirito di servizio.
Il resto, tutto il resto, è degenerazione, conformismo, squallore, negazione della dignità e della nobiltà della politica. Il bene comune, la giustizia sociale, la solidarietà, i valori, la moralità sono termini che arricchiscono i loro discorsi ma non ispirano più le loro azioni.
Di fronte a tanto squallore non me la sono più sentita di iscrivermi ad alcun partito. I partiti non sono più credibili e non svolgono più quella funzione che la Costituzione assegna loro.
Si dice comunemente che le promesse (quindi anche quelle elettorali) sono debiti. I “signori” che ci rappresentano, di destra, di sinistra e di centro, sguazzano nei debiti e non mi pare che ne soffrano più di tanto. Anzi si sono così spudoratamente abituati a mentire e ad indossare i panni dei paladini della libertà, della giustizia e, per ultimo, della legalità che, forse, non si rendono nemmeno conto della realtà che li circonda e del loro fallimento politico. Per loro è sempre valido il vecchio detto latino “primum vivere”.
E così, in questi ultimi anni, da convinto assertore del principio che bisogna sempre andare a votare, ho indirizzato la mia scelta verso quelle forze politiche che, a mio avviso, più si avvicinavano alle mie idee. Una legge elettorale assurda, però, non mi ha permesso di scegliere quelle persone sulle cui gambe quelle idee avrebbero dovuto camminare ed i risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti.
Ho sperimentato che le idee, se non ci sono le persone che le realizzano, le promesse se non ci sono le persone che le mantengono, i buoni propositi se non ci sono le persone che li perseguono, sono solo fumo. E purtroppo i nostri politici, per fortuna non tutti, sono solo “venditori di fumo”.
Da persona intelligente qual è non lo farà, ma se dovesse ripresentarsi di nuovo Berlusconi non tornerei a votarlo. E questo per due ordini di motivi.
Il primo di ordine morale. Un Presidente del Consiglio non può permettersi comportamenti così indecenti che ledono il prestigio della carica e l’immagine del Paese.
Il secondo di ordine politico. Capisco che i programmi sono di solito arricchiti di buoni propositi, che non sempre, per motivi vari o imprevisti, possono essere realizzati per intero, ma quello che è stato fatto è davvero poca cosa rispetto alle promesse.
Cito, per sommi capi, alcune delle riforme che ritenevo e ritengo importanti per la vita del Paese.
Prima fra tutte la riforma costituzionale.
La nostra legge fondamentale dello Stato, per quanto buona, è figlia del tempo ed essendo mutate profondamente le condizioni storiche, abbisogna di sostanziali ritocchi. Questa esigenza è stata avvertita negli anni da quasi tutte le forze politiche ma tutti i tentativi sono miseramente falliti. Resto convinto che la via maestra resta l’elezione di un’Assemblea Costituente che provveda allo scopo ma devo confessare di aver nutrito la speranza che il governo Berlusconi, se non altro per la sua larga maggioranza, avrebbe potuto fare qualcosa. Mi sono sbagliato. Non si è fatto niente e quel pochissimo che si è tentato di fare è stato distrutto da un’opposizione miope più propensa a demolire quanto proposto dal governo Berlusconi che a guardare al merito delle cose e all’interesse del Paese.
Altra riforma che non può attendere è quella della giustizia. Se ne parla da anni ma non si arriva mai ad un provvedimento definitivo vuoi per le posizioni diverse delle varie forze politiche, ispirate molto spesso ad interessi inconfessabili, vuoi per la irremovibile opposizione della “casta” dei magistrati che non accettano minimamente di vedere ridotti i loro privilegi. Le conseguenze? Molti processi che durano un’eternità, altri che vanno in prescrizione, altri ancora che hanno corsie preferenziali, carceri zeppe di detenuti in attesa di giudizio in condizioni disumane, ed inoltre costi elevati della giustizia, comportamenti non sempre irreprensibili di alcuni magistrati che, di fatto, non rispondono, come voleva un referendum degli anni ’90, del loro operato e tanti altri problemi e disfunzioni che sarebbe perfino noioso elencare.
Anche per questa riforma ho sperato che il governo Berlusconi avesse un’attenzione particolare. Ma non è stato così. “Distratto” da altri provvedimenti limitati e occasionali, si è lasciato sfuggire l’occasione storica di portare ordine in un settore fondamentale per la vita del Paese.
E l’elenco delle promesse non mantenute potrebbe continuare con la riforma fiscale, la riforma del mercato del lavoro, la riforma sanitaria, le liberalizzazioni, l’abolizione delle province, le norme anticorruzione, la TAV ecc. Per ultima, e non certo per importanza (almeno dal mio punto di vista), la costruzione del ponte sullo stretto; un’opera strategica di fondamentale importanza che avrebbe avvicinato la Sicilia al resto del Paese con i vantaggi che comprensibilmente ne sarebbero sicuramente derivati. Ma era così forte il timore che Berlusconi si intestasse il merito della realizzazione dell’opera che da tutte le opposizioni, e non solo, sono piovute critiche palesemente strumentali. Si è parlato di danno ambientale, di rischio sismico, di infiltrazioni della mafia, di priorità di altre opere e di altre amenità del genere, come se il progetto fosse stato frutto di un incontro casuale di quattro amici al bar e non, invece, il prodotto finale di studi seri, protratti nel tempo, di persone competenti. La cosa però che più mi ha amareggiato è stata l’avversione preconcetta e autolesionistica di quei Siciliani che, più e meglio degli altri, avrebbero dovuto intuire l’enorme rilevanza dell’opera.
Sarebbe bastato soffermarsi per qualche minuto a riflettere su quanto spendono in termini di tempo e di soldi le migliaia di persone che giornalmente attraversano lo stretto per rendersi conto di quanto sia delittuosa ogni azione volta ad impedirne la realizzazione.
Anche se profondamente deluso non posso non ammettere che la colpa della mancata realizzazione delle promesse elettorali non è tutta e solo di Berlusconi. Costretto ad operare in un periodo di vacche magre, con una maggioranza non omogenea e con un enorme debito pubblico accumulatosi nei decenni passati, non ha avuto il coraggio di insistere su determinati provvedimenti per non mettere a rischio la sopravvivenza del governo. E così ha galleggiato ed ha profondamente deluso quegli elettori che da lui si aspettavano grandi cose.
Mi permetto poi di aggiungere un’altra riflessione personale: non cerco attenuanti per nessuno, ma in Italia, stando così le cose, non ci sarà mai nessun governo in grado di operare secondo la sua volontà e i suoi programmi. E’ il “sistema Paese” che non funziona, bloccato com’è da lobby, corporazioni, caste e gruppi di interessi di varia natura in grado di impedire qualsiasi seria possibilità di cambiamento.
Sanno tutti che senza una profonda revisione della Costituzione questo Paese non può essere governato ma continuano imperterriti ad inserirla nei loro programmi elettorali, molto spesso in forme ambigue e generiche per accontentare tutti, senza arrivare mai ad una soluzione finale e condivisa perché gli egoismi personali, gli interessi di partito, le contrapposizioni ideologiche, i privilegi consolidati di caste e gruppi di varia natura prevalgono sugli interessi generali del Paese e impediscono ogni speranza di cambiamento e di sviluppo.
Un merito, tuttavia, a Berlusconi credo debba essere riconosciuto: quello di essere uscito di scena in maniera più che dignitosa. In presenza di una grave crisi italiana ed europea che si acuiva sempre di più, pur avendo ancora la maggioranza in Parlamento, non ha esitato ad anteporre agli interessi personali quelli del Paese, rassegnando le dimissioni da capo del governo.
In un paese normale, verificato che non c’erano in Parlamento maggioranze alternative, si sarebbe andati ad elezioni anticipate. Al limite si sarebbe potuto tentare, se ci fosse stato senso di responsabilità da parte delle maggiori forze politiche, la formazione di un governo di unità nazionale per affrontare le difficoltà del momento e portare il Paese alle urne.
In Grecia, che è senza ombra di dubbio in una situazione economica peggiore della nostra, nel giro di circa tre mesi si voterà per la seconda volta e nessuno grida allo scandalo. Da noi si è approfittato del clima di panico creato con l’aumento dello spread per compiere un’operazione non prevista dall’ortodossia costituzionale ma fortemente voluta dal Quirinale.
Non sono un costituzionalista, ma non credo che tra i compiti del Presidente della Repubblica ci sia quello di creare dal nulla governi che non discendono da una precisa indicazione elettorale.
Devo subito confessare, andando sicuramente contro corrente, che non sono un estimatore di Napolitano. Forse perché mi ricordo ancora di quando, da perfetto comunista, sosteneva che le rivolte nei paesi del socialismo reale dell’est europeo fossero fomentate da capitalisti americani.
Appartengo quindi a quella ristretta categoria di persone che non ha salutato Monti come il salvatore della Patria e mi chiedo spesso perché il PDL, il terzo polo ed il PD abbiano deciso di appoggiarlo.
Una spiegazione me la sono data. Potrà convincere o meno, ma non credo di essere molto lontano dalla verità.
Il PDL, consapevole della sconfitta a cui sarebbe andato incontro in caso di elezioni anticipate, ha preferito prendere tempo per riorganizzare il partito e preparare nuove alleanze. Non lo ha sfiorato nemmeno lontanamente il pensiero che un periodo di sana opposizione avrebbe potuto essere salutare per la rigenerazione del partito.
Anche il terzo polo, di recente formazione, aveva la necessità di consolidare la propria posizione sul territorio e di chiarire meglio la propria proposta politica. Quasi mai l’unione verticistica di piccole formazioni forma un partito vero. Non aveva quindi fretta di andare al voto anche perché la figura proposta dal Capo dello Stato come Premier non dispiaceva affatto al maggiore azionista del gruppo.
Per il PD il discorso è diverso. Pur sapendo che “rischiava” di vincere le elezioni, ha preferito rinunciarvi per timore di non potere gestire la crisi con la maggioranza così eterogenea che sarebbe venuta fuori dalle urne (l’esperienza Prodi docet). Ha fatto, avrebbe detto il sommo poeta, “per viltade il gran rifiuto”. Ha ascoltato la voce suadente del Presidente della Repubblica e ha rimandato tutto a tempi migliori, aspettando che Monti, nel frattempo, facesse il lavoro sporco necessario per tentare di rimettere in piedi il Paese. Tutto questo in attesa di quella auspicata legge elettorale senza la quale l’astensionismo raggiungerebbe livelli inimmaginabili.
Tutt,i quindi, obtorto collo, sono costretti a sostenere un governo senza un’anima politica e a libertà vigilata; governo che vorrebbero ma non possono licenziare. E così Casini, un giorno sì e l’altro pure, intona stucchevoli peana nei confronti del governo Monti, mentre gli altri due, Alfano e Bersani, sono costretti dalle circostanze a recitare due parti in commedia.
Da un lato ribadiscono quotidianamente la loro fiducia al governo in carica, dall’altro ne criticano con molta cautela le proposte, approvandole, tuttavia, in Parlamento.
Varato il governo Monti, ho sospeso il mio giudizio su di esso ed ho sperato sinceramente che, anche se macchiato da quel “peccato originale”, potesse portare l’Italia fuori dalla crisi. Capivo che non era un compito facile ma mi auguravo che quel manipolo di tecnici di alto profilo, non legati apparentemente ad alcun partito potesse governare secondo scienza e coscienza senza guardare in faccia nessuno.
Rigore, equità e sviluppo dovevano costituire i capisaldi della loro azione politica. Invece abbiamo scoperto che pure loro sono attentissimi ai sondaggi. Sanno dove si sperperano i soldi, ma nessuno sa come fermare il flusso senza rischiare l’impopolarità. Procedono col bilancino, decidendo solo ciò che piace alla gente che piace.
Di equità e sviluppo, invece, nemmeno l’ombra: la gente assalta le sedi e gli esattori delle tasse, aziende e negozi chiudono i battenti, i più deboli si sparano, il numero dei disperati che cercano lavoro aumenta inesorabilmente, la tenuta sociale è a rischio. La situazione politica ed economica regredisce e le rassicurazioni fornite dagli sponsor del governo Monti non tranquillizzano chi cerca disperatamente di sopravvivere alla crisi.
Si sperava che questo governo, ora che non c’era più la causa di tutti i mali italiani (Berlusconi), appunto perché composto da tecnici di serie A, avesse la ricetta pronta per curare la malattia. Invece nessun segno di miglioramento. Anzi gli effetti nefasti delle politiche di governo sulla vita delle persone e delle aziende e sull’andamento dell’economia si sono aggravati.
Il sospetto che la politica fosse poco attenta ai bisogni dei cittadini c’era anche prima ma oggi la distanza tra società civile e politica è diventata una voragine. Un governo che non decide perché non ha una maggioranza e una maggioranza che non comanda perché senza governo, sono un’anomalia tutta italiana creata dalla genialità del Presidente dalla Repubblica.
E la classe politica? Tutta tesa a garantire la sua perpetuità, “balla da sola” e non ha intenzione di cambiare musica.
Confesso che nella mia vita scolastica e post scolastica non ho mai letto un solo libro di economia, ma questo non mi impedisce, forse presuntuosamente, di criticare l’azione di governo, utilizzando una semplice chiave di lettura: il buon senso dell’uomo comune.
Dopo la partenza sprint con la riforma delle pensioni che ha lasciato sulla strada tanti cadaveri, con il colpevole silenzio di partiti e sindacati (quegli stessi partiti e sindacati che avevano messo a ferro e a fuoco il Paese in occasione della riforma Maroni, che al confronto era solo una carezza), si passa alle liberalizzazioni.
Si comincia a questo punto a capire che il governo Monti era un bluff perché si intuisce subito che il provvedimento era una presa per i fondelli e che non avrebbe minimamente inciso sulla nostra economia.
In questa circostanza si conferma una latente e diffusa preoccupazione: che questo governo è forte con i deboli e debole con i forti.
Ma non voglio continuare a criticare le cose fatte o le cose fatte male o, ancora, quelle cose che non si ha il coraggio di fare.
La cosa che mi preme censurare è l’ordine di priorità degli interventi, a mio avviso profondamente sbagliato.
In una famiglia normale, se c’è una difficoltà economica gravissima, la prima cosa che si fa è tagliare le spese superflue, economizzare e razionalizzare su quelle ordinarie, vendere i beni superflui di cui si dispone per evitare interessi passivi sul debito esistente e cercare di incrementare le entrate con lavori straordinari e quant’altro.
Questi molto sommariamente, anche se non ho frequentato la Bocconi, sono, secondo me, le misure indispensabili per cercare di superare la crisi, iniziando dalla riduzione della spesa pubblica, specialmente quella improduttiva, che non causa perdita di posti di lavoro, ed insistendo con la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, vere piaghe della nostra società.
In particolare guardiamo alla pubblica amministrazione, che è il pozzo senza fondo della nostra economia.
Organici superdimensionati, consulenze che alimentano lo spreco, corruzione e clientelismo, scarsa redditività lavorativa sono gli effetti negativi più evidenti. Se una regione come la Sicilia ha circa 24.000 dipendenti e la Lombardia, pur avendo quasi il doppio di abitanti, ne ha solo 4.000, se i forestali nella nostra regione sono quasi 20.000 ed in Canada appena 6.000, se ci sono comuni che hanno organici di molto superiori ad altri che hanno lo stesso numero di abitanti, evidentemente qualcosa di anomalo c’è. Se si considera, poi, che la maggior parte di questi dipendenti non ha superato alcun concorso (parlo di concorsi regolari) e la loro assunzione non discende da bisogni reali dell’ente, ma da esigenze occupazionali e clientelari, forse ci faremo un’idea più chiara dell’enorme spreco di denaro pubblico.
E’ evidente che al punto in cui siamo non possiamo licenziare, per ovvi motivi, tutto il personale superfluo. Ma una cosa di buon senso si può fare. Fissare gli organici dei vari enti e proibire qualsiasi assunzione fino a quando non si sarà raggiunto il limite fissato. I risultati verranno con gli anni.
Quello che ho molto sommariamente prospettato è solo un settore su cui si può intervenire, ma, com’è facilmente intuibile, non è il solo e per individuarlo, insieme a tutti gli altri, non penso ci sia davvero bisogno di un governo tecnico, che nomina altri tecnici, i quali aspettano, a loro volta, suggerimenti dai cittadini.
Tutto questo è semplicemente ridicolo. Si è perso completamente il senso della misura.
In questi ultimi anni quasi tutti i partiti si erano trovati d’accordo, a parole, sull’abolizione delle province. Se si pensa al costo dei dipendenti (che certamente non sparirebbero subito), alle indennità degli amministratori, a tutte le spese connesse al loro funzionamento e all’illecito che vi fiorisce attorno, appare evidente a tutti, anche a quelli che non hanno frequentato la Bocconi, l’inutilità di questo ente intermedio.
Non se ne parla più. Anzi, come se non fossero a rischio di estinzione, la provincia di Milano pensa di costruire una faraonica nuova sede di trenta piani, mentre quella di Roma pensa all’acquisto di due torri all’Eur.
E il governo che fa? Dorme. Come dorme per tanti altri problemi. Da come si comporta non credo che abbia intenzione di togliere le tende alla fine della legislatura. Ma per fare questo c’era bisogno di scomodare queste menti eccelse? Bastavano i nostri politici se non altro perché sanno mentire e recitare meglio.
Altro provvedimento richiesto a gran voce e da lungo tempo è la riduzione, se non addirittura il dimezzamento, del numero dei parlamentari. Anche in questo caso il Parlamento dorme e il governo non fa niente per svegliarlo, come se fosse abilitato a trattare solo problemi finanziari. Chi sostiene che bisogna inserire il provvedimento in una riforma organica generale (che sarebbe l’ideale), chi propone una ridicola riduzione, chi sostiene che non c’è più il tempo necessario, chi invece promette, more solito, che l’argomento va trattato con più serenità nella prossima legislatura.
E poi hanno il coraggio di chiedersi perché la gente vota Grillo o, addirittura, non va a votare.
Fino a quando, direbbe Cicerone, abuseranno della nostra pazienza?
L’elenco delle cose che bisognerebbe fare per evitare inutili sprechi e migliorare la condizione di questo bello ma sfortunato Paese sarebbe lungo e non rientra tra i compiti che mi ero prefisso.
Voglio solo accennare ad un ultimo problema per il quale giustamente l’opinione pubblica mostra un particolare interesse: quello del ruolo dei partiti e del loro finanziamento. Resto dell’idea che essi siano uno strumento indispensabile per il funzionamento della democrazia. La nostra Costituzione prevede addirittura che siano regolati da una legge ordinaria.
Dopo più di 60 anni nessuno ha legiferato in proposito perché a nessuno conviene sottostare a norme specifiche. Fa comodo alle ristrette oligarchie che gestiscono i partiti avere le mani libere per operare con i bilanci a loro piacimento. La stessa cosa dicasi per i sindacati. Con un referendum degli anni ’90 gli Italiani si pronunciarono in maniera plebiscitaria contro il loro finanziamento. Ma questi non se ne curarono più di tanto e, aggirando l’ostacolo, tradirono la volontà popolare votandosi il rimborso elettorale, che è una presa per i fondelli per il cittadino.
A seguito degli ultimi scandali che hanno toccato quasi tutti i partiti, l’indignazione dell’opinione pubblica è salita alle stelle. Ci si aspettava un sussulto di dignità da parte degli interessati. Invece si continua a cincischiare sull’entità della riduzione, dimenticando che trattasi di una truffa morale nei confronti degli elettori e che l’entità del rimborso è in molti casi di molto superiore alle spese sostenute. Con un piccolo ritocchino ritengono di mettersi la coscienza a posto.
La stessa tecnica dilatoria si segue per la riduzione dell’indennità dei parlamentari. Se ne parla, se ne parla, se ne parla, ma la meta è sempre lontana. Mi viene in mente la figura del famoso condannato a morte che non trova l’albero di suo gradimento per essere impiccato.
Si potrebbe ricorrere, senza creare scandalo, ad una sensibile riduzione delle spese militari per le missioni all’estero ed invece, anche se siamo sommersi da un mare di debiti, continuiamo a recitare presuntuosamente il ruolo di grande potenza mondiale.
Ci sono inoltre tanti altri capitoli del nostro bilancio che possono tranquillamente essere decurtati o addirittura eliminati senza creare scompensi di alcun genere, così come si potrebbe imporre alle banche l’acquisto obbligatorio di titoli di stato a bassissimo rendimento per evitare l’aumento del debito pubblico.
Ma per fare questo ci vorrebbe un governo con gli attributi e questo certamente non ce li ha.
Trattasi di persone che rispettano a tal punto l’amicizia che mai si sognerebbero di tradire gli amici banchieri, gli amici dell’alta finanza e tutti gli altri amici che contano. Sì, è vero, da principio hanno scherzato, annunciando una terapia d’urto basata su equità e giustizia; poi, però, si sono ravvedute e sono ritornate ad essere persone serie, che rispettano a tal punto i loro sodali e che mai si sognerebbero di tradirli.
“Poverini”…: un episodio accaduto al senato il mese scorso dimostra la loro commovente e umana debolezza per gli amici. Si vota per regolare le pensioni degli alti burocrati di Stato. Viene presentato un emendamento che avrebbe ripristinato le pensioni d’oro degli alti papaveri e il governo che fa? Esprime parere favorevole. Che poi la proposta non sia passata per un raro sussulto di dignità di molti senatori è un altro discorso, ma i signori del governo ce l’hanno messa tutta per dimostrare che del parere degli Italiani non gliene frega proprio niente. Gli amici vanno tutelati sempre e basta.
Ritornando all’esempio iniziale della famiglia in difficoltà, dopo avere verificato che le riduzioni di spesa operate si sono rivelate insufficienti per sanare il deficit, sarei passato, per far cassa, alla vendita dei beni patrimoniali improduttivi ed inutilizzati che molto spesso costituiscono un peso per la stessa amministrazione statale.
E se ancora tutto questo non bastasse non esiterei un momento ad utilizzare le riserve auree di cui lo Stato dispone.
Il ricorso all’aumento della pressione fiscale avrebbe dovuto costituire l’ultima ratio per raggiungere gli obiettivi prefissati.
In ogni modo non è solo l’ordine di priorità degli interventi che mi crea sconcerto, quanto invece il dover constatare che i tanti ostentati concetti di equità e giustizia sono completamente sconosciuti a questi signori. Cresciuti in ambienti ovattati e benestanti sconoscono la parola bisogno e non immaginano nemmeno lontanamente cosa significa vivere nella miseria, cercare di sopravvivere con una pensione minima, andare disperatamene alla ricerca di un posto di lavoro, perderlo soprattutto ad una certa età e con una famiglia a carico, lottare ogni giorno per soddisfare le esigenze minime della vita, capire il dramma di quanti vivono nella disperazione. E se di fronte ai tanti suicidi di questi ultimi mesi il Premier, con cinismo, candidamente commenta che in fondo in Grecia ce ne sono stati molti di più, non si può fare a meno di chiedersi in che mani siamo finiti.
Si aumenta la benzina, il gas, la luce e tanti altri servizi, si profila un nuovo aumento dell’IVA, si impone l’IMU anche sulla prima casa e non ci si rende conto che tutto questo grava soprattutto sulla povera gente. L’ennesima “originale trovata” di aumentare l’accise sulla benzina per i terremotati dell’Emilia (ai quali va certamente la nostra totale solidarietà) rende pienamente l’idea delle capacità taumaturgiche di questo governo.
Chiamato, come si faceva con i dittatori dell’antica Roma, per salvare la Patria in pericolo, ci accorgiamo invece che le cose non sono andate come tutti speravamo. Lo spread è di nuovo vicino quota 500, i disoccupati hanno raggiunto livelli record, il Pil è in discesa, le tasse hanno toccato un picco mai visto. Tutti, in buona sostanza, siamo diventati un po’ più poveri.
E, ciò nonostante, nessuno, come al tempo di Berlusconi, scrive editoriali di fuoco per chiedere di prendere atto del fallimento di questo governo e di voltare pagina. Anzi ci tocca sentire quotidianamente l’osannante Casini che ci invita a non disturbare il conduttore e invoca rispetto e fiducia per quello che considera, ma solo lui, l’uomo della provvidenza.
Ma se l’indice di gradimento nei confronti del Premier è passato dal 70% iniziale all’odierno 35% ci sarà pure una ragione e che non è difficile da individuare: discende senza ombra di dubbio dalla sua deludente azione di governo. Avevano, questi signori, inizialmente impressionato per la loro capacità di assumere decisioni importanti (vedi riforma delle pensioni) in brevissimo tempo senza perdersi in estenuanti trattative; poi via via hanno perduto questa caratteristica e si sono accorti che per sopravvivere è necessario mercanteggiare, misurarsi, confrontarsi (magari in incontri più o meno segreti) con partiti, sindacati e categorie varie e siccome non hanno avuto, come mi sarei aspettato, il coraggio e la dignità per poter dire “o così o ce ne andiamo a casa”, si barcamenano alla meno peggio per cercare di sopravvivere, non rendendosi, forse, nemmeno conto del danno che arrecano agli Italiani. Vivono nell’iperuranio dell’astrattezza e non notano la differenza tra le nozioni teoriche e i problemi reali della vita.
E se l’on. Fassina, del PD, dichiara candidamente che non è producente prolungare questa agonia e che sarebbe meglio andare alle urne in autunno, forse tutti i torti non li ha.
Qualcuno si chiederà: senza una nuova legge elettorale? Sì, io credo di sì. Perché, dopotutto, anche se apertamente criticata da tutti, a molti questa legge fa comodo perché permette loro di restare sempre a galla senza il rischio di essere spazzati via dal voto con la preferenza. E Berlusconi non è l’unico. Solo che non si ha il coraggio di confessarlo e si cerca di scaricare sugli altri la responsabilità della mancata modifica. Dopo le ridicole proposte avanzate dai partiti, dubito che si possa pervenire ad una soluzione condivisa. Il buon senso non è una dote di questo nostro mondo politico.
Il mio discorso sull’attuale momento politico finisce qui e non certo perché non abbia altre considerazioni da svolgere ma solo perché, quasi senza accorgermene, quella che doveva essere una normale premessa è diventata molto più lunga di quanto avessi preventivato. So di essere logorroico ma non sono in grado di fare discorsi per slogan. Mi sforzo sempre di seguire un filo logico e facilmente comprensibile. Non sempre ci riesco, ma ognuno di noi ha i propri limiti.
Nel mio piano di lavoro c’era l’idea di scrivere qualcosa sulla politica regionale ma per non persistere nello stesso errore salto questo argomento lasciando alla vostra intelligenza il compito di svilupparlo, tenendo conto che la condizione politica della Sicilia non è meno grave di quella nazionale: basta aumentare del doppio i problemi e avremo un quadro chiaro della situazione siciliana. L’unica differenza è che a Roma c’è Monti, a Palermo c’è Lombardo.
Se si è più fortunati ad essere guidati dall’uno o dall’altro, questo francamente non lo so.
SECONDA PARTE
Dopo l’ampia divagazione sul tema “malgoverno” torniamo ai fatti di casa nostra.
Non ero tra quegli oltre 6.490 cittadini che idealmente hanno seguito l’avv. Dacquì, verso la fine del maggio 2010, su per le scale del TAR di Palermo, dove si era recato per far valere le ragioni sue e della sua parte politica; così come non ero tra quelli che hanno gioito per la sentenza del TAR dell’ottobre 2010, cosa che hanno fatto in tanti, compresi gli amici consiglieri del centro destra.
E questo non certo per astio personale, che non c’è assolutamente, ma per avere sperimentato, quando l’avv. Dacquì era all’opposizione – maggioranza nel precedente quinquennio, le sue “capacità” politico-amministrative.
Non sono un tecnico del diritto e, ad essere sincero, non mi illudevo che un vizio di forma così irrilevante potesse determinare la fine traumatica e precoce dell’attività amministrativa. Ma le motivazioni della sentenza erano, almeno dal mio punto di vista, così palesemente poco convincenti che hanno fatto scattare in me la profonda convinzione che, a quel punto, il ricorso al CGA fosse ormai un atto dovuto.
E non ero il solo.
Purtroppo il ricorso ha avuto esito negativo. Pensavo che i magistrati non avessero il compito di fare giustizia ma solo di applicare la legge. E la legge prescrive altro.
Evidentemente mi sono sbagliato e non starò certo a recriminare. Ma siccome in ogni vicenda c’è sempre un aspetto positivo, per consolarmi, ho pensato che tutto sommato la prosecuzione dell’azione amministrativa avrebbe ancor meglio evidenziato il fallimento politico di una maggioranza eterogenea ed inidonea a governare una comunità come la nostra, mentre una morte (politica) per via giudiziaria avrebbe fatto del Sindaco un povero martire. Vittima di una grave ingiustizia, di una nefasta macchinazione ad opera di un uomo perfido ed irresponsabile che non guarda all’interesse del paese. Ne sarebbe venuta fuori la figura di una specie di eroe al quale, alle prossime elezioni, nessuno avrebbe potuto negare una trionfale ricandidatura.
Il dovere constatare, oggi, dopo due anni di amministrazione, che il giudizio politico negativo che avevo espresso allora su di lui non era infondato, non mi riempie certamente di gioia e dovrebbe far riflettere quanti, allora, pur avendone le capacità, non hanno avuto il coraggio di osare.
Non ho niente di personale contro l’avv. Dacquì e tanto meno con i tanti giovani che, con fiduciosa speranza, lo hanno seguito in questa disastrosa avventura. Le motivazioni che stanno alla base di queste mie considerazioni sono, quindi, solo di ordine politico e mirano ad evidenziare il fallimento di una maggioranza che, venuto meno l’unico collante comune (l’odio verso Ricotta), si è ritrovata a naufragare in un mare di problemi irrisolti.
E se è vero che il buon giorno si vede dal mattino, dico subito che seguire corsi accelerati per diventare buoni sindaci o seguire pedissequamente disposizioni di registi occulti, non è la via migliore per crescere, maturare e diventare amministratori di buon livello.
La travagliata trattativa per la ripartizione delle cariche tra le varie componenti politiche e l’equilibrio precario raggiunto che, alla fine, non ha soddisfatto nessuno, erano il segno di una preoccupante incapacità politico – amministrativa, che non lasciava presagire nulla di buono.
Rinunciare, per captatio benevolentiae, all’indennità di carica (cosa apprezzabile per alcuni ma che io non condivido in assoluto) non può rappresentare un salvacondotto per giustificare carenze e fallimenti futuri né mi impedisce, oggi, un giudizio fortemente negativo sull’operato dell’amministrazione Dacquì.
All’euforia della vittoria elettorale è subentrata, giorno dopo giorno, una crescente e silenziosa delusione, specialmente in tutti coloro che lo hanno sostenuto. Si sono accorti dopo qualche mese, che “il re era nudo” ma non hanno avuto il coraggio di confessarlo, né, tantomeno, di contestarlo; e, rassegnati, si sono avviati ad anni di paziente attesa con la segreta speranza che le cose potessero cambiare.
Qualcuno penserà che il mio giudizio negativo sull’amministrazione Dacquì sia preconcetto, ma non è così. Certo averlo conosciuto in consiglio comunale per quasi cinque anni nella veste di avversario politico non ha contribuito a migliorare l’opinione che avevo di lui. Ma è sui fatti di questi ultimi due anni che si basano essenzialmente le mie considerazioni.
Ne elencherò alcune perché siano più evidenti le ragioni delle mie critiche.
Partiamo dal problema della Tesoreria comunale.
L’amministrazione Ricotta ha fatto di tutto, ed io ne sono testimone, per assicurare al nostro Comune questo indispensabile servizio ma non c’è riuscita.
Le manifestazioni, gli ultimatum, le minacce di sciopero, le forme di protesta non si contavano. Subentra Dacquì, lascia il Comune per altri sette mesi senza tesoreria e nessuno apre bocca. Così come nessuno apre bocca per il fatto che la soluzione alla quale è pervenuto è molto limitata nel tempo e non prevede nessuna anticipazione di cassa. In buona sostanza è come se una banca aprisse ad un cliente in difficoltà un conto corrente semplice cioè senza possibilità di scopertura. Può prelevare solo le somme che vi sono depositate. Ma questo non lo aiuta a superare i momenti di crisi.
Solitamente in questi casi si addossano le colpe della difficile situazione finanziaria alle precedenti amministrazioni.
Ma questo l’avv. Dacquì non lo ha fatto.
Perché è una persona corretta? Assolutamente no. Sa di essere stato, assieme ai suoi degni compari del tempo (e non mi stancherò mai di ripeterlo), il responsabile dell’attuale condizione del nostro Comune e, giustamente, preferisce tacere, rivendicando per se solo il merito di avere sbloccato l’intricata vicenda della tesoreria e di avere emesso 700 mandati che hanno rappresentato una boccata d’ossigeno per l’economia del nostro paese.
Non capirò mai perché pagare un debito con molto ritardo debba dare slancio all’economia.
Agli smemorati ed agli elettori che si sono fatti abbindolare dalle chiacchiere e dai sorrisi suadenti, voglio ancora una volta ricordare che, essendo la minoranza di allora (Dacquì compreso) maggioranza in Consiglio, avrebbe potuto, se solo ne avesse avuta la capacità e la volontà, modificare e migliorare il bilancio di allora. Non lo ha fatto, ritenendo così di mettere in difficoltà Ricotta: oggi il nostro Comune ne subisce le conseguenze.
Avendo, fin d’allora, previsto gli effetti del loro disastroso ed irresponsabile comportamento, ho denunciato pubblicamente queste cose, cercando addirittura di provocare lo scioglimento di quel Consiglio di cui ero Presidente. Non ci sono riuscito e non perché non ci fossero gli estremi, ma per quel famoso detto secondo il quale per i nemici la legge si applica mentre per gli amici si interpreta.
Sentirgli dire ora, dopo quattro anni di opposizione e più di un anno di sindacatura, che vuole vedere chiaro nei conti del comune, è un insulto all’intelligenza dei cittadini.
Il passato non si cancella mai definitivamente; anzi molte volte torna impietosamente ed implacabilmente a ricordare gli errori che abbiamo commesso e condiziona pesantemente il presente ed il futuro.
Altro argomento su cui si basa la mia disapprovazione è quello relativo alla tassa sulla N.U.
La Giunta Ricotta, verificato che da anni non si aumentavano le tariffe e che, di contro, erano aumentati di molto i costi di gestione del servizio, non potendo intervenire con i fondi del proprio bilancio, aveva deliberato di aumentarle in modo sensibile. Abbiamo cercato di spiegare che quello era un atto dovuto, un atto di sana amministrazione, ma i cittadini, irresponsabilmente aizzati, non ne hanno voluto sapere.
Hanno preferito dar credito a improvvisati tribuni della plebe, che, in malafede, si atteggiavano a difensori del popolo e, al momento del voto, hanno scelto coloro che promettevano la luna.
Poi uno della cricca diventa Sindaco e di tariffe di N.U. non se ne parla più. Avrebbe potuto abbassarle nel primo mese di attività amministrativa (giugno 2010), così come era stato solennemente promesso in campagna elettorale, se non altro per dimostrare che il dott. Ricotta aveva esagerato, ma non l’ha fatto. Così come non lo ha fatto nel 2011 e nel 2012. Anzi si rammarica per qualche cittadino che ha fatto ricorso e lo ha vinto. Solo ora si rende conto che quello che non pagano i cittadini lo deve pagare il Comune.
Malgrado ciò, nessuno ha aperto bocca, nessuno ha protestato, nessuno ha organizzato comitati, nessuno ha avuto l’onestà intellettuale di riconoscere che Ricotta aveva operato bene. “Bisogna pagare” proclama cinicamente e solennemente l’assessore al ramo e quasi tutti, rassicurati da quegli stessi che li avevano aizzati, docilmente provvedono a regolarizzare la loro posizione nei confronti dell’ATO.
L’amministrazione Ricotta, sulla base delle indicazioni fornite dal Consiglio comunale, ha portato in aula per l’approvazione il progetto del PRG. Si sono trovate mille scuse da parte di Dacquì e soci (qualcuna addirittura ridicola) per non approvarlo, fino a quando non è stato mandato un commissario ad acta, che lo ha approvato. Rimasto per anni, per incuria dell’amministrazione, in Assessorato prima e al Genio Civile poi, abbiamo saputo, da notizie di stampa, che il PRG è fermo al Comune. Osservo che se non ci fosse stato questo miope ostruzionismo, l’importante strumento urbanistico sarebbe già da tempo operante.
Che cosa fa o farà l’Amministrazione comunale non ci è dato sapere. Per una curiosità personale mi piacerebbe sapere anche che cosa hanno fatto o faranno i 35 tecnici che ai tempi della mia amministrazione, con tanta solerzia, si sono adoperati per affossare il piano proposto allora, ottenendo il risultato di avere una larva di piano.
Sono trascorsi più di due anni. Nessuno parla, nessuno fornisce spiegazioni, nessuno protesta, nessuno promuove comitati.
Altro argomento che merita una certa attenzione è, senza ombra di dubbio, il crollo della Scuola elementare.
Il 10 gennaio dello scorso anno cade un’ala della Scuola elementare. Per grazia di Dio non ci sono state vittime e io non mi permetto di indicare colpevoli o, peggio ancora, di addossare tutta la responsabilità all’Amministrazione in carica. Non faccio sciacallaggio. Mi limito solo a dire che certe cose non capitano per caso. A quest’ultima, semmai, attribuisco la grave colpa di non avere trovato in tempi brevi un’adeguata soluzione temporanea per superare le difficoltà del momento.
La confusione è stata totale. Si sono lasciate per tanto tempo le scuole chiuse con gravissimo disagio per i bambini e le loro famiglie, senza che nessuno abbia sentito il dovere di illustrare pubblicamente lo stato dell’arte e, soprattutto, la strategia che l’Amministrazione comunale intendeva seguire. Non oso immaginare che cosa sarebbe accaduto se l’evento si fosse verificato al tempo dell’Amministrazione Ricotta e lo show che l’opposizione di allora avrebbe immediatamente organizzato.
Dispiace vedere ora in questo stato di abbandono un patrimonio di edilizia scolastica, che è costato tanto impegno al Sindaco Alaimo, al sottoscritto e al Segretario comunale Mazzara e ci ha permesso di superare, primi in provincia, la triste piaga dei doppi turni.
Un evento di tale portata avrebbe richiesto il coinvolgimento oltre che della maggioranza anche quello della minoranza e dei tanti soggetti interessati alla rapida soluzione del problema.
E tutto questo subito e alla luce del sole.
Invece si tace per tanto tempo e su tutto il fronte, lasciando trasparire solo l’immagine di un eroico Sindaco che, novello Bertolaso, si sta impegnando fino alla spasimo per risolvere il problema.
Dopo quasi due mesi di assoluto silenzio, in un modo irrituale ed inutilmente costoso, il Sindaco convoca il Consiglio comunale ed annunzia, senza che nessuno dei soggetti interessati possa contraddirlo, le sue verità che non collimano con quelle di tanti altri.
Si sarebbe potuto, per esempio, limitare alle sole aule del piano rialzato l’uso della scuola materna di via Papa Giovanni XXIII (edificio bianco), puntellandone lo scantinato, vietando assemblee ed adottando altre misure precauzionali.
Lo stesso discorso vale per l’edificio rosso. Fatti gli opportuni e necessari accertamenti giudiziari, previa autorizzazione del magistrato che segue l’indagine, si sarebbe potuta demolire la parte pericolante e utilizzare, previa verifica, l’uso del corpo principale dell’edificio. Invece si fa la cosa più pilatesca possibile e, ad abundatiam, si chiude inutilmente e totalmente al traffico un’importante arteria del nostro paese, causando gravi disagi soprattutto alla circolazione stradale.
Ce lo vogliamo mettere in testa che quell’ala dell’edificio è venuta giù solo per imperizia dell’uomo?
Dopo un inverno con giorni di vento eccessivo nemmeno una briciola è più caduta. Lo vogliamo capire che blocchiamo inutilmente una strada senza una ragione vera?
Gli automobilisti lo hanno capito, tanto è vero che transitano tranquillamente tra i resti della segnaletica, che è rimasta ormai la sola cosa pericolosa.
L’Amministrazione fa finta di non vedere ma non ha il coraggio di revocare quel divieto che non aveva e non ha motivo di esserci.
Ma per certe decisioni e per certe soluzioni ci vogliono chiarezza di idee e un minimo di capacità di assunzione di responsabilità, che non è necessariamente incoscienza.
E questo, purtroppo, non è il caso nostro.
C’è in tutta Italia un’altissima percentuale di edifici scolastici che non sono, specialmente dopo l’entrata in vigore delle prescrizioni antisismiche, a completa norma di legge, ma non per questo si lasciano i bambini a casa.
Qui si è voluto con furbizia sfruttare la circostanza imprevista illudendosi che con un grosso finanziamento tutto possa tornare come prima, anzi meglio di prima.
Può darsi che la mia analisi in qualche punto sia stata superficiale e che sulla base di qualche accertamento si possano confutare le mie tesi. Per carità non ho mai pensato di essere infallibile (alcune delle osservazioni che ho avanzato sono condivise da tecnici che privatamente ho interpellato), ma me lo vogliono dire, e se non a me ai cittadini, qual è il programma di massima dell’Amministrazione comunale per risolvere il problema “edifici” scolastici? Intendono demolirli perché inagibili? Intendono metterli in sicurezza? Con quali finanziamenti? Entro quanto tempo?
Le “cellette” che si sono approntate sono chiaramente una soluzione provvisoria; non possiamo accettare che durino più dello stretto indispensabile. Se non altro per rassicurare gli utenti che l’Amministrazione comunale ha le idee chiare su come procedere e che questa è solo una situazione provvisoria. Anche perché, e lo dico soprattutto ai solerti cultori della legalità, esiste un regolamento di edilizia scolastica che prevede requisiti minimi (superfici delle sezioni, luminosità, spazi, servizi, ecc.) che nel nostro caso non ci sono, ma pare che nessuno ci faccia caso.
Voglio concludere la trattazione dell’argomento con la solita osservazione: anche in questo caso e per un problema così importante che tocca quasi tutte le famiglie, nessuno parla, nessuno protesta, nessuno organizza comitati. Accettano tutti, docenti compresi, con stoica rassegnazione lo stato di fatto, sperando nel miraggio di un finanziamento significativo che non verrà mai. Mi auguro di sbagliare ma ho la brutta impressione che questa precaria situazione si trascinerà ancora per molti anni.
Altro problema importante, specialmente per chi promette sviluppo per la nostra comunità, è quello dell’edilizia cimiteriale.
L’Amministrazione Ricotta, così come proposto dalla precedente giunta Alaimo, ha fatto ricorso al project financing per l’ampliamento del cimitero. Le due soluzioni proposte dalle ditte partecipanti non hanno soddisfatto, specialmente dal lato estetico, le esigenze dell’Amministrazione per cui l’iter si è bloccato.
Dopo due anni la pratica è ancora su un binario morto. Può essere che non ci si renda conto che soddisfacendo le legittime esigenze di oltre 100 cittadini che hanno fatto richiesta di concessione di suolo cimiteriale, si darebbe un impulso reale all’economia del nostro paese? I problemi non si risolvono da soli tenendoli nel dimenticatoio né si può sperare che dal momento che una sessantina di morti all’anno ci sono sempre, le richieste diminuiscano.
Non ci sono i fondi in bilancio? Bene. Si potrebbe seguire la soluzione pensata dall’Amministrazione Ricotta, che non ebbe il tempo di concretizzare e che sommariamente sintetizzo lasciando ai tecnici il compito di vestirla di atti legali.
Si assegnano (per ordine cronologico delle richieste, per sorteggio, ecc.) i lotti ai richiedenti. Costoro pagherebbero anticipatamente il suolo acquistato e con le somme incamerate dal Comune si avvierebbe la procedura di esproprio. Immaginate quale contributo in termini di occupazione e di sviluppo potrebbe derivare dalla soluzione del problema?
Invece l’Amministrazione comunale dorme; così come dormono gli interessati che, al di là di qualche timida protesta, non si permettono con iniziative più vistose, anche in questo caso, di disturbare il conducente.
A questa brevissima carrellata di inefficienze non poteva mancare, per una mia personale predilezione, il problema del lago Cuba. Per informare le nuove generazioni mi sarebbe piaciuto raccontare la storia di questo lago, che ha connotato la mia vita politica ma la circostanza non me lo consente.
Che il lago non esisteva lo dimostrano i miei ricordi personali e di quanti hanno una certa età, il fatto che in estate vi giocasse la nostra squadra di calcio e, per ultimo, la presenza di un rudere (oggi di proprietà Lobue) che ospitava un mulino-pastificio. Ve lo immaginate quel sig. don Carmelo Ippolito che andava a localizzare un’attività del genere sulle sponde del lago?
Tralasciamo questo aspetto che ormai non interessa più nessuno, tantomeno i giovani.
Da circa 12 anni, sulla base di spinte ambientalistiche, la zona è stata dichiarata, per decreto, riserva naturale e affidata alla provincia per la gestione. Me lo volete dire quale adempimento è stato curato dei tanti previsti in decreto? Sono anni che i proprietari aspettano l’indennità di espropriazione. Ma, come per tutti gli altri adempimenti, nessuno si muove, nessuno protesta, tanto meno l’Amministrazione comunale e i tanti improvvisati cultori dell’ambiente che pensavano ad un futuro radioso per questo piccolo Eden.
Tanti sono ancora gli argomenti che meriterebbero di ricevere attenzione ma, non essendomi proposto di scrivere un romanzo, cercherò, per sommi capi, di accennare ad alcuni di essi:
– C’è un Corpo dei Vigili Urbani inconsistente come quantità e come qualità. Non c’è alcuna vigilanza sul territorio, sull’abusivismo edilizio, sull’occupazione di suolo pubblico, sul controllo del servizio N.U. e, soprattutto, sulla circolazione stradale. Sono, i vigili, come le luci dell’albero di Natale: si accendono ad intermittenza molto irregolare; qualcuna addirittura non si accende affatto. Non voglio esprimere giudizi sulle singole persone, ma non mi pare che brillino per efficienza e competenza.
Sono le specchio fedele dell’Amministrazione comunale.
Ci sono, per esempio, gli spazi di sosta a pagamento; non ho capito se funzionano o no e se il controllo viene effettuato su tutte le strade o solo sulla via Duca.
Non ho capito perché si costringono gli automobilisti provenienti dalla Via Cavalieri di Vittorio Veneto a fare un lungo giro per andare in piazza e non si ripristina il doppio senso di circolazione almeno nel primo tratto della Via De Gasperi.
Non ho capito se non mettono il divieto di sosta in detta via perché non lo ritengono opportuno o perché sono consapevoli di non avere la necessaria autorevolezza per farlo rispettare.
– C’erano programmati 12 alloggi popolari nella zona Calvario. Come mai hanno lasciato scadere i termini per gli adempimenti previsti?
Ce lo vogliono spiegare?
– C’è una villa comunale con annesso un malandato parco giochi; come mai, loro che si erano battuti al tempo di Ricotta per un’apertura più prolungata, hanno ridotto l’orario di fruizione per il pubblico?
Ce lo vogliono spiegare?
– C’è un parco urbano distrutto e completamente abbandonato a se stesso.
Ce lo vogliono dire che cosa intendono fare?
– C’è una biblioteca comunale che dopo avere trovato finalmente una sede dignitosa e funzionale, è stata trasferita in una zona periferica e difficilmente raggiungibile. Questo ha determinato la diminuzione dei frequentatori oltre che un inutile sperpero di denaro pubblico.
Ce lo vogliono spiegare perché e a chi è venuta in mente questa brillante idea?
– C’è un paese, soprattutto nelle zone periferiche, dove il servizio di NU è molto carente, un servizio di raccolta differenziata inefficiente e in regresso, cittadini che si arrangiano buttando nei cassonetti di tutto e di più (provate a guardare che cosa la gente vi deposita soprattutto in quelli di periferia); cassonetti itineranti, alcuni inservibili, che vengono improvvisamente spostati da un posto all’altro.
Ce lo vogliono dire, visto che paghiamo ancora con la “tariffa Ricotta” che, come avevano promesso, non hanno ritoccato, che cosa intendono fare?
– C’è una legge che prevede le cosiddette “quote rosa” in giunta. Il Sindaco conosceva l’esistenza della norma ma non ha ritenuto di applicarla. Cosa molto grave per un predicatore di legalità. Per applicarla ha aspettato l’esito della sentenza.
La cosa però che più mi ha stupito è sentirgli ipocritamente dire che dalla giunta se ne è andato il “migliore” (l’avv. Sollami). Non mi permetto di esprimere valutazioni specialmente sulle persone che non conosco bene.
Ce lo vuole spiegare il Sindaco, se era il migliore, perché ha tolto proprio lui e con tanto ritardo?
– C’è un continuo e ingiustificato ricorso ad esperti e legali vari che la situazione finanziaria attuale, figlia di quegli anni di irresponsabilità del gruppo al quale il Sindaco apparteneva, non ci permette.
C’è inoltre una dura polemica che va avanti da mesi tra il Sindaco e l’opposizione. Sostiene quest’ultima che l’art. 5 dello Statuto di Terre di collina attribuisce all’Unione la gestione del contenzioso e della consulenza legale dei singoli comuni, mentre l’art. 32 prevede l’inefficacia degli atti comunali su materie trasferite alla stessa.
Sindaco, lei che a motivo della sua professione non può non capire, continua a non tenere conto delle disposizioni anzidette.
Ci vuole spiegare in base a quale norma nomina gli avvocati?
Ce lo vuole spiegare, inoltre, perché non si avvale del legale di Terre di collina (del quale aveva chiesto la testa per essere libero di dare incarichi a suo piacimento) dal momento che facciamo parte di questa Associazione?
E giacché c’è ci vuole dire perché non si avvale di personale del Comune?
Su quest’ultimo argomento non mi dilungo più di tanto perché lo ha trattato con competenza e assiduità il geom. Alaimo nei suoi conosciutissimi fogli gialli. Personaggio controverso e scomodo per qualcuno, non ha peli sulla lingua e certamente non le manda a dire, dimostrando di non avere alcun timore riverenziale verso chicchessia.
Una cosa mi da fastidio: sentir dire a qualcuno (i cretini sono una razza che non si estingue mai) che, siccome lo dice Totò Alaimo, la cosa non è del tutto credibile.
Sappiamo tutti che una verità è sempre una verità, a prescindere dalla persona che la proclama. E che molte cose che ha detto Totò Alaimo siano vere non c’è ombra di dubbio.
– C’è un’amministrazione che aveva solennemente proclamato, penso in ossequio al patto etico, di rinunciare all’indennità di carica. C’è qualcuno che, a quanto pare, si è pentito e ne ha richiesto il pagamento.
Ce lo vuole chiarire il Sindaco se la notizia è vera e chi sono gli amministratori che ci hanno ripensato?
– C’è un assessore che ha, in questi giorni, rassegnato le dimissioni dalla Giunta e,sentendo il testamento che ha diffuso attraverso la stampa, mi verrebbe voglia di implorarlo di restare ancora per completare la sua opera perché, sono certo, nessun altro sarà mai come lui. Provo un senso di colpa per essere stato tanto miope da non vedere tutto quello che aveva fatto e che si accingeva a fare per questo nostro fortunato paese.
Mi pento addirittura di quello che ho detto prima sulla N.U. a Serradifalco. Peccato che mi sia convertito solo io.
Ce lo dice, il Sindaco, per tornare alle cose serie, se c’è puzza di bruciato e se c’è qualche altro che farà lo stesso passo?
– C’è un consigliere che ha minacciato le dimissioni se non saranno mantenute tutte le promesse fatte per consentire alla squadra di calcio di aver una struttura idonea per disputare il prossimo campionato.
Ce lo vuole dire, considerato il tempo e le risorse necessarie, come farà a mantenere un impegno del genere?
Tutti gli argomenti trattati ritengo siano importanti ma la cosa che più mi ha infastidito, anzi nauseato, è l’approvazione all’unanimità della delibera n. 32 del 13/03/2012. Con questo atto la Giunta si è costituita parte civile nel procedimento penale n. 129/2007, n. 16/2008 e 80/2012.
Una “stronzata” così G. Dacquì, quello vero, non l’avrebbe mai fatta.
A leggere le spiegazioni fumose e chiaramente artificiose, che giustificano l’atto, anche un incompetente come me si rende conto che le motivazioni di quella delibera non sono la tutela di interessi reali del Comune ma l’esigenza di dimostrare l’estraneità dell’Amministrazione alla mafia.
Anch’io, che non sono un simpatizzante di questa Amministrazione, sono convinto di questa estraneità. Se c’è un reato che dovrebbe esserle contestato è, semmai, quello di manifesta incapacità amministrativa.
Si rendono conto del male che hanno provocato a quelle persone, a quelle famiglie già di per se profondamente colpite da quelle vicende, con il loro farisaico comportamento?
Si rendono conto degli steccati che si sono eretti con le famiglie degli interessati alla vicenda giudiziaria e dei rapporti sociali che si sono determinati?
Le presenze saltuarie in Chiesa in occasione di particolari cerimonie religiose non conferiscono automaticamente quello spirito di amore e di carità umana che la Chiesa richiede ai credenti.
Torniamo all’aspetto politico della vicenda.
Che la delibera fosse chiaramente finalizzata a rassicurare chi di dovere non c’è ombra di dubbio.
Se il Sindaco per una purificazione tardiva della sua amministrazione abbia chiesto le dimissioni di qualcuno, come qualcun altro ipotizza, io non lo so e francamente non mi interessa più di tanto.
Mi chiedo a che cosa serve ora cacciare qualche incolpevole componente della maggioranza dopo avere richiesto e accettato i voti di quelle persone e dei loro familiari in occasione delle elezioni, dal momento che si era già fin da allora a conoscenza del “problema”.
Se ci si accorge di avere sbagliato, c’è un’altra via più dignitosa, che non mi permetto di suggerire, ma non può essere certamente quella di riacquistare la verginità perduta con la mortificazione immeritata dei compagni di avventura. La legalità non ha bisogno di apparenze e di maestri ma di testimoni.
Passiamo ad abbozzare qualche considerazione politica finale.
Due anni e passa di Amministrazione Dacquì hanno dimostrato una sola cosa: al peggio non c’è limite.
Avrebbero potuto, vista l’aria politica che si respirava, vincere da soli ma hanno preferito, contro ogni logica, dare vita ad una indecente ed eterogenea alleanza della quale, purtroppo, nessuno si è scandalizzato più di tanto. Così come nessuno si scandalizza per la ibrida alleanza governativa tra Lombardo e il PD, avversari nell’ultima competizione regionale e ora alleati di governo. Mi viene il voltastomaco quando li sento parlare di etica politica, di legalità e di lotta alla mafia.
Mi vengono in mente le profetiche dichiarazioni del Segretario del PD locale che, alla stampa nel 2010, aveva solennemente proclamato: “Mai più ammucchiate prive di contenuti”. Quasi quasi ci avevo creduto. Evidentemente non si finisce mai di imparare.
Figuratevi se voglio tentare di giustificare il Sindaco ma almeno due considerazioni vanno fatte.
La prima: se un papa sbaglia o si rivela incapace di adempiere alla sua missione, una certa responsabilità ce l’avranno pure i cardinali che lo hanno eletto. Io credo di sì. Abbiano il coraggio, allora, i signori che lo hanno portato alla vittoria di assumersi pubblicamente le loro responsabilità e di agire di conseguenza.
La seconda: riflettano i 2.735 elettori che lo hanno plebiscitariamente votato e si ricordino, almeno per il futuro, che il voto è una cosa seria.
L’avv. Dacquì aveva fatto parte di quella minoranza-maggioranza che, pur di distruggere Ricotta, non aveva esitato a mettere in ginocchio il paese, dicendo no ai bilanci, dicendo no al piano regolatore, dicendo no alla centrale, dicendo no a tutto quello che l’Amministrazione proponeva. La conseguenza è che, oggi, il Sindaco è costretto a navigare in un mare di guai finanziari e non può permettersi, essendone, assieme ad altri l’artefice, di addossare la colpa alla passata Amministrazione. Sta raccogliendo ora quello che aveva seminato allora.
Ci poteva stare benissimo che vincesse la sinistra, ma premiare con il voto un soggetto che non teneva in alcuna considerazione gli interessi della comunità è stato un atto di puro autolesionismo.
Avrei capito che si proponesse, se non c’era la disponibilità di soggetti con una certa esperienza, un altro giovane serio; ricorrere, però, a chi aveva dato prova di sconoscere l’etica della responsabilità, è stato un comportamento grave e dannoso per tutti. Nessuno di costoro ha ora il diritto di indignarsi per come vanno le cose.
L’altro candidato, a mio modo di vedere, aveva più esperienza e più capacità amministrativa ma non è stato votato anche perché molti leggevano Amato ma avevano in mente Ricotta.
Il nostro, purtroppo, è un paese strano. Non ha una forte identità politica e culturale, non ha memoria storica, non ha coerenza e nemmeno capacità di indignarsi. Manca la partecipazione attiva e consapevole alle scelte della politica e si lascia sedurre dalle cose effimere; certe volte si indigna ma non è capace di avere comportamenti conseguenti. In politica vota per l’uno o per l’altro non perché ha cambiato idea ma perché spera che l’altro sia diverso e migliore.
In un’epoca in cui tutto si brucia velocemente, questo nostro paese, la cui unica peculiarità è quella di non averne alcuna, mostra di non avere punti di riferimento certi, di non avere fermezza e coerenza nelle scelte di fondo. La vita che è in continuo divenire non concede pause, ci chiama, ci impone di procedere con un ritmo sempre più veloce e coinvolgente.
Non possiamo essere “l’asin bigio” di carducciana memoria che, al passare della vaporiera (il progresso), “tutto quel chiasso ei non degnò d’un sguardo e a brucare serio e lento seguitò”.
Capisco che il lavoro, la famiglia e gli altri impegni quotidiani non lasciano molto tempo per la partecipazione attiva e consapevole alla vita politica e sociale, ma estraniarsi completamente significa restare in balìa degli altri che non sempre sono dei benefattori.
L’ultima riflessione la voglio riservare ai Consiglieri comunali che, fermo restando il rispetto per le singole persone, non mi pare abbiano brillato né per impegno né per capacità. Non hanno inciso più di tanto e certamente non lasceranno tracce indelebili del loro lavoro e della loro presenza in Consiglio comunale.
Quelli dell’opposizione, poi, hanno avuto una insperata fortuna: quella di trovarsi di fronte ad un Sindaco e ad una Giunta dalla sconsolante limitatezza amministrativa, che ha offerto una miriade di opportunità di critica. Non ne hanno saputo approfittare e quelle poche volte che ci hanno provato, lo hanno fatto in maniera così soft che nessuno se ne è accorto.
A proposito di silenzi surreali colpisce anche quello delle forze politiche, “A strata nova” in particolare, che hanno sostenuto l’avv. Dacquì in campagna elettorale.
E’ imbarazzo o pentimento?
L’immobilismo politico e amministrativo in questi due anni è stato totale ma nessuno prepara barricate. Mi sono sforzato, per cercare di essere obbiettivo, di segnalare qualche problema risolto, qualche impegno mantenuto, qualche opera non dico realizzata ma almeno avviata. Non sono riuscito a trovare un bel niente. Ho cercato di rintracciare queste notizie nelle relazioni semestrali. Non ho trovato nemmeno quelle.
Se c’è qualcuno che si accingeva ad avviare il processo di beatificazione, ci rinunci subito perché lo stato di coma profondo dell’ammalato non lascia speranze di sopravvivenza.
Lasciatemi essere, una volta tanto, presuntuoso: tutto questo lo avevo previsto ma non pensavo che il fallimento fosse di queste dimensioni. Il fatto più grave però è che nessuno pensa di togliergli la spina. Ma se piace a tutti non sarò certo io a protestare. Godetevelo. Me ne farò una ragione e cercherò di sopravvivere.
Le cose dette non intendono rappresentare un quadro completo né, tantomeno, pretendono di essere “verità assolute”: mi aiutano, però, a sentirmi vivo e libero!
Michele Territo