CALTANISSETTA – “Giungono con regolarità dalla cronaca quotidiana, non solo da quella locale, continue sollecitazioni a volgere ancora una volta l’attenzione alle condizioni dei nostri centri storici, fra i quali, certamente, anche quello di Caltanissetta. Da Agrigento e Favara, con una tipologia costruttiva molto simile alla nostra, da Catania, con il caso del quartiere San Berillo, ma anche da più lontano, da Parigi, con il progetto di rinnovo dello storico grande magazzino La Samaritaine, non mancano gli spunti per nuovi argomenti di riflessione.
Alla luce dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni a Caltanissetta, mi sembra utile considerare proprio il caso di Parigi, dove in questi giorni è stato approvato da quel Comune il progetto che porterà al rinnovo del complesso edilizio dei grandi magazzini La Samaritaine, del primo ‘900, un simbolo della città. Il progetto prevede che parte della struttura venga utilizzata come albergo di lusso, parte come uffici, ed ancora, e questo è il dato per me più significativo, che una parte venga utilizzata per accogliere alloggi popolari, in forza di una espressa richiesta (accolta) della amministrazione parigina.
Sembra un messaggio nuovo, una inversione di tendenza, anche rispetto alla attuale situazione delle periferie di quella stessa città: niente ghetti, ma una quanto più possibile uniforme distribuzione sociale sul suolo cittadino, probabilmente nella convinzione che proprio la separazione per ceto, nazionalità, religione, possa solo concorrere all’insorgere di elementi di instabilità e frattura nella vita della comunità cittadina. Si tratta di un segnale di rilievo, soprattutto ed essenzialmente, a mio avviso, per il significato che contiene: non si può lasciare la città al governo delle sole leggi del profitto, non si può trattare la città alla stregua di una qualsiasi altra merce. Senza voler con questo alludere ad alcuna accezione negativa del termine profitto, anzi. Semmai bisogna interrogarsi per capire se il profitto da solo è sufficiente a garantire una città equilibrata, vivibile, auspicabile per tutti i cittadini.
Osservando ad esempio sotto quest’ottica il centro storico di Caltanissetta, sono proprio le sue attuali condizioni, che destano oggi sentimenti oscillanti tra la sincera preoccupazione ed il desolato sconforto, a rappresentare sotto gli occhi di tutti il risultato di una clamorosa sconfitta: quella della programmazione, della pianificazione, della progettualità intesa come capacità e necessità di prevedere, prevenire e predisporre. In una parola la sconfitta delle idee, vinte dalla forza sottile ma tenacissima, dalla inerzia inarrestabile dei fatti minuti, quotidiani, ovvero dall’aver lasciato totalmente il destino di questa parte di città alla mercé dell’interesse dei singoli.
I quali, nel corso dei decenni, hanno fatto esattamente ciò che era giusto, logico e prevedibile aspettarsi che facessero dalla loro prospettiva: abbandonare, non appena possibile, vetuste, povere e malferme case per soddisfare una naturale, sana e condivisibile aspirazione al benessere ed miglioramento delle condizioni di vita proprie e dei propri cari. A partire dalla casa. Un movimento lento, costante e prevedibilissimo in tutti i suoi effetti, dalla progressiva sostituzione degli abitanti al depauperamento degli immobili, abbandonati a se stessi o spesso occupati oggi da chi non possiede valide motivazioni per il recupero, prima ancora che le possibilità economiche. Ed allora probabilmente ha un valore relativo, superficiale, andare a cercare i “sintomi” di questo malessere. I muri spanciati, i solai ed i tetti crollati ed ogni altro indizio del degrado sono solo il “segno”, il simbolo visibile di una condizione generata da cause molto meno “fisiche”, “strutturali”, ma non per questo meno concrete, reali.
La città delle case, delle strade, delle piazze, non può precedere la città “pensata”, espressione dei desideri della comunità che la abita. Mentre invece è accaduto proprio questo, ovvero che le “idee”, i “progetti” di città sono stati sostituiti dall’incedere dei fatti. E ciò che si vede, non solo in centro storico, ma anche ed in misura non minore nelle zone di espansione, lo testimonia. Certamente è semplice e comodo giudicare o commentare a posteriori, tuttavia se una osservazione, una critica può essere mossa alle varie amministrazioni che si sono alternate alla guida della città per decenni ebbene credo sia proprio questa: non aver espresso (o almeno non in maniera sufficiente) una “idea” della città, come luogo di una comunità, come vincolo di coesione di una comunità.
Le sole norme di P.R.G. forse non sono state, e non sono tutt’ora, sufficienti da se stesse a realizzare le previsioni dello strumento urbanistico medesimo, almeno non in tutta la città. Norme, prescrizioni e codici che, probabilmente a causa dei tempi amministrativi, sembrano sempre rincorrere l’attualità, cercando in qualche modo di arginarla.
Il mancato, o limitato, intervento degli operatori economici del settore edile in centro storico, all’interno dei quartieri, dove evidentemente a fronte di una certa complessità tecnica non si prefigurano adeguati ritorni, dimostra che è necessario integrare e coinvolgere l’intervento dei privati con una visione “pubblica” di quello che “dovranno” essere queste parti della città. E’ necessario appunto mettere a fuoco un obiettivo.
E forse, per cercare spunti, intuizioni, potrebbe essere utile sollevare per qualche momento gli occhi dal centro storico, dalle sue case e vie, per leggere quei segnali che la società contemporanea ci offre, ovunque ci si volti. Segnali che (come osservato dall’Ing. Giorgio Bongiorno) ci parlano di una società che in molti modi differenti, sereni e drammatici, punta comunque alla multietnia, allo scambio di culture che probabilmente costituisce la sola linfa vitale in grado, oggi, di fornire nuova energia ad un contesto che appare sempre più vetusto ed incapace di trovare forza di rinnovamento al suo interno, come testimoniano i dati sull’età media e sulla diminuizione delle nascite. Alla luce di ciò, chinato di nuovo lo sguardo sul nostro centro storico, è possibile individuarne le potenzialità. Considerando che ad oggi il centro storico costituisce l’unico contenitore in città di vani a basso e bassissimo costo, poichè non sembra che in altre zone sia possibile reperirne a prezzi inferiori, l’obiettivo “pubblico” cui tendere a mio giudizio è quello di garantire adeguato e civile decoro a chi vi risiede o ha intenzione di farlo, tramite interventi di risanamento immobiliare e successiva rilocazione a prezzi calmierati. Cioè attribuire un indirizzo ed un ruolo preciso al centro storico. Per far ciò sarebbe opportuno rivedere proprio quella rigidità di norme e prescrizioni che quasi congelano ogni possibilità di intervento sugli immobili, mummificandoli. Fatto salvo il mantenimento del tessuto viario, delle puntuali emergenze architettoniche che vi insistono e delle volumetrie, dovrebbe consentirsi una maggiore possibilità di rimodulazione degli isolati, proprio per eliminare quelle condizioni strutturali e distributive delle singole abitazioni che ne hanno costituito una delle cause di abbandono. Ad esempio, per il quartiere Provvidenza, potrebbe essere utile valutare la possibilità di riprendere ed ampliare con funzione di parcheggio le rimesse ubicate all’interno del bastione di Via Francesco Crispi, prevedendo delle risalite che portino direttamente all’interno del quartiere medesimo, rinnovandolo al tempo stesso, un po’ come accade, ad esempio, a Perugia.
Come si intuisce il risanamento del nostro centro storico può diventare sia un importante “laboratorio” urbanistico, sia una non trascurabile opportunità economica per le imprese del settore, avendo l’accortezza, e concludo, di comprendere in un quadro “pubblico” ogni intervento, evitando accuratamente di provocare un allontanamento di chi in questi ultimi anni ha occupato e occupa quegli immobili, ma piuttosto portandovi una impronta di civiltà e decoro”.
Arch. Michele Lombardo

