MUSSOMELI – Con la barba incolta, i capelli lunghi, e a bordo di una Fiat 500 alla scoperta della Sicilia. Poi, d’improvviso, nel bel mezzo di una tappa di trasferimento, la vista di una fortezza abbandonata, con le pareti diroccate, ma comunque severa per quella sua posizione su una rocca che sovrasta la collina, a tradire (nonostante quel declino) un passato maestoso. La curiosità dei due, giunti da Bologna in una Sicilia assolata dal sole agostano, li spinge ad avventurarsi nel ventre di quel maniero solitario, immobile, dimenticato e lasciato ad ardersi nella calura. Entrambi giovanissimi espugnano quel fortilizio,
complice il portone d’ingresso dischiuso vi accedono, lo visitano e poi prima di lasciarlo, portano via un vecchio catenaccio appeso al portone, e che di lì a poco, e per i successivi 40 anni, diventerà testimone del loro viaggio. Era l’estate del 1971, quei giovani Indiana Jones dai pantaloni a zampa di elefante, sono diventati adulti, dei professionisti affermati: ma il ricordo del Castello di Mussomeli non li ha mai lasciati, tant’è che adesso, a distanza di quattro decenni, uno dei protagonisti di questa storia, Massimo Degli Esposti, inviato de “Il Giorno”, ha deciso di rendere il lucchetto alla città. “Avevo diciassette anni, assieme al mio amico Giovanni Gualdrini, oggi ortopedico al Rizzoli di Bologna, facemmo un viaggio in Sicilia. A Mussomeli vi arrivammo per puro caso, durante una tappa di trasferimento a bordo di una gloriosa Fiat 500 mentre da Agrigento cercavamo di raggiungere Palermo. Ci accorgemmo di quel castello, mezzo diroccato e assolutamente abbandonato. Allora era in rovina. Prima di andare, presi il catenaccio del portone d’ingresso, come se fosse un souvenir e lo portai via con me. Non ho mai pensato a quel gesto come ad un furto, il castello dava la sensazione di essere stato abbandonato”. Ma in questi anni Massimo Degli Esposti ha sempre pensato di ripercorrere quel tragitto, magari restituendo quel
testimone arrugginito di un momento indimenticabile della sua vita. “Ho saputo che il Castello è stato restaurato. Ho una grande voglia di rivederlo, di rivivere quella visita compiuta 40 anni fa, e per questo sono pronto a riconsegnare quel catenaccio”. Un atto simbolico, un modo per ricongiungersi con una fase della propria giovinezza e per eliminare definitivamente ogni possibile senso di colpa per un innocuo “furto” commesso in nome dell’avventura.
di Giuseppe Taibi dal Giornale di Sicilia di domenica 1 maggio