Salute

Ricostruiamo come in un dopoguerra. Quando torna la politica?

Michele Spena

Ricostruiamo come in un dopoguerra. Quando torna la politica?

Mar, 03/01/2017 - 15:23

Condividi su:

C’è un iceberg che galleggia, silenzioso e inquietante,  nel mare gelido della nostra storia di oggi: è un intreccio di indagini giudiziarie e di campagne di opinione che ha investito, uno dopo l’altro, gli esponenti del mondo imprenditoriale siciliano, su questioni rilevanti per la nostra economia, recente e futura, e sulla credibilità delle stesse istituzioni.

Emerge, con l’iceberg,  il fallimento della capacità complessiva della società siciliana di esprimere una classe dirigente all’altezza dei suoi problemi e delle sue potenzialità: sul piano politico clamorosamente (il governo Crocetta e l’Assemblea Regionale sono lì a dimostrarlo), sul piano sociale ed economico drammaticamente, con un mondo imprenditoriale assurto negli ultimi anni a modello di un nuovo sistema possibile, celebrato in tutta Italia fino a scalare i vertici di Confindustria, UnionCamere, Banco di Sicilia, Unicredit, Sole 24 Ore, etc., etc., che sul binomio Legalità-Sviluppo aveva giocato il suo brand e il suo marketing, e che oggi si consegna al giudizio dell’opinione pubblica senza avere costruito neppure l’embrione di un nuovo sviluppo e senza avere più intorno a sé nemmeno l’ombra di quell’aura di “legalità” che lo aveva circonfuso di speranze messianiche almeno da un decennio a questa parte.

Se mettiamo in fila alcuni punti, cruciali per l’economia della nostra isola, la capacità di governare i processi e di costruire soluzioni si è rivelata uguale a zero: la FIAT a Termini Imerese, smantellata con un indotto di migliaia di posti di lavoro senza ancora un’alternativa possibile in campo; il polo chimico di Gela, stritolato da anni da una crisi di investimenti che continua a tagliare l’occupazione senza che la riconversione promessa sia partita nei fatti; le Zone Franche della Legalità, qui, nel centro della Sicilia, che avrebbero dovuto attrarre investimenti da ogni parte d’Italia e sperimentare un nuovo modo di fare impresa e di mobilitare le risorse del territorio, non pervenute. Per non parlare poi dei precedenti recenti: legge 488, Patto territoriale, sante alleanze imprenditori-sindacalisti-politicanti, fruttuose soltanto di consociativismi nei Consigli di Amministrazione e nel sottobosco del sotto-governo.

Se a questi grandi temi aggiungiamo la chiusura delle attività dell’Averna, venduta e dismessa dal territorio senza colpo ferire, e l’assenza di qualsiasi iniziativa imprenditoriale urbanistica o anche solo edilizia che riesca ad utilizzare le risorse che pure le leggi  hanno indirizzato verso il recupero dei centri storici, la realizzazione dei paesi-albergo e l’housing sociale, il quadro delle prospettive di vita economica si desertifica ancora di più, così come si desertificano i nostri paesi, le nostre città, per un’emigrazione delle migliori risorse giovanili che ha precedenti soltanto nel fallimento della riforma agraria e della crisi delle miniere, mezzo secolo fa.

La corruzione, le collusioni con i poteri criminali, se e quando saranno accertati dalla magistratura, non aggiungeranno che il colpo di grazia ad un fallimento storico, epocale, di un’intera generazione di imprenditori, politici, sindacalisti, professionisti, classe dirigente in una parola, che non ha saputo pensare e costruire un progetto di società, organizzare in modo limpido ed efficace gli interessi legittimi, far funzionare le istituzioni per promuovere e accompagnare i processi di trasformazione, produrre beni e servizi, investire e redistribuire le risorse, con vantaggio di tutti, per il bene comune, in proporzione al lavoro prodotto da ogni soggetto, individuale e collettivo.

Quanti investimenti, quanti posti di lavoro, quanti progetti si sono realizzati, in questi anni, nel nostro territorio, in concreto?  Mentre la propaganda mediatica millantava la nuova era di una classe dirigente giovane, pulita, coraggiosa, capace di sfidare i poteri criminali e di fare circolare aria di cielo sulla palude stagnante della “vecchia” politica, della “vecchia”  imprenditoria, con in testa le icone mediatiche di deputati e senatori saldamente insediati nei Parlamenti, in Europa, a Roma e a Palermo, fino all’ultima “pupazzata” (avrebbero detto Sciascia e Pirandello) dei cento governi Crocetta e del suo teatro del grottesco?

Soltanto una catena di faide tra gruppi di potere (la “rottamazione” prima di Renzi si chiamava così) che hanno decapitato vecchi gattopardi, spesso sostituiti con agili iene, come il vecchio Tomasi di Lampedusa aveva previsto nel suo romanzo.

La nuova classe dirigente siciliana, in tutte le sue articolazioni, politiche, economiche, professionali, ha continuato ad applicare il vecchio schema, rispetto alle iniziative dello sviluppo: la speculazione. Non la produzione, l’investimento,  la riqualificazione del lavoro, del territorio, la valorizzazione delle risorse, che altrove sono il gusto e il fascino dell’imprenditoria e della professionalità. Ma  la speculazione: realizzare il minimo (spesso soltanto a livello virtuale, cartaceo) impadronendosi del massimo delle risorse pubbliche e dei benefit possibili. Gli ultimi esempi nel settore petrolifero e dell’energia, collegati alle infrastrutture portuali in Sicilia, al centro dell’ultimo “caso” Lo Bello-Gemelli- Guidi- etc., etc.,  sembrano confermarlo.

Senza un progetto, senza una visione, senza una capacità autentica di andare oltre quello che nell’economia mineraria dell’800 si chiamava “coltivazione a rapina”, il metodo gestionale che ha sfruttato e distrutto nel secolo scorso la civiltà dello zolfo, consegnandone il cadavere alla Regione perché ne facesse un Ente pubblico quando non c’erano più profitti da spremere per i privati.

La politica ha balbettato di fronte alla crisi, di fronte alle inchieste, di fronte alla corruzione. La politica  ha fallito ampiamente, in Sicilia, anche sul piano istituzionale, con la torsione clientelare e speculativa di quell’Autonomia speciale che avrebbe dovuto essere l’infrastruttura giuridica della capacità di riscatto e di sviluppo dell’Isola. Negli ultimi quarant’anni il decadimento è stato ancora più rapido e sconfortante, fino a fare pensare all’irredimibilità, di cui aveva parlato Leonardo Sciascia riprendendo proprio Tomasi di Lampedusa.

Si dice che spesso la letteratura è più capace di dire la verità rispetto alla politica, all’informazione, e persino alla scienza, almeno sulle vicende umane, che segnano l’indirizzo di una società, di un “contesto”.

Se non ci si vuole accomodare a coltivare la retorica della disperazione, pensando di liberarci della responsabilità “non negoziabile” che vivere nella storia ci consegna, tutti i giorni della nostra vita, è urgente lavorare a ricostruire, come in un dopoguerra, le premesse democratiche della nostra vita civile, le basi economiche, i legittimi conflitti sociali, la competizione di punti di vista, visioni e progetti, la capacità di leggere e comprendere la società nelle sue trasformazioni e la capacità di affermare una direzione politica, su cui misurare il consenso, senza l’alibi di un civismo falsamente neutrale, foglia di fico per coprire la mediocrità di chi non sa essere classe dirigente, ma rivela comunque l’ambizione di volere occupare il potere, in maniera stanziale, non dinamica, come per un’investitura profetica, ma senza risultati apprezzabili.

Manca la politica, quella autentica, quella che genera idee, progetti, realizzazioni, che su questo seleziona i suoi gruppi dirigenti, la politica che si sa confrontare, sa gestire democraticamente il conflitto, sa costruire mediazioni alte, legami sociali forti, sa riconoscere la  libertà e la dignità delle persone, sa fare a meno del clientelismo e del patteggiamento, incubatori della corruzione e del rapporto con i poteri criminali.

Quando torna questa politica? Quando la sappiamo ricostruire? Facendola parlare con i linguaggi nuovi, con le tecnologie della contemporaneità, ma con la sostanza “pesante” delle idee che si sanno trasformare in cambiamenti veri, nella vita delle persone in carne ed ossa?

Senza la politica una società democratica non può vivere, non può respirare. Ci interessa ancora la democrazia?

Fiorella   Falci

Pubblicità Elettorale