Il Natale celebra un Dio che si fa bambino nella fragilità. Eppure, oggi, quella fragilità è calpestata ovunque. Come Don Bosco 2000, viviamo ogni giorno accanto a chi abita le periferie ferite del mondo.
“Non possiamo volgere lo sguardo dall’altra parte: le macerie dell’Ucraina, il dolore atroce di Gaza e le guerre “invisibili” che stanno lacerando l’Africa, dal Sudan al Mali, fino al Congo.
Dietro i numeri delle migrazioni non ci sono statistiche, ma volti. Sono ragazzi che scappano da zone senza diritto dove scuole e ospedali non esistono più.
La pace non cade dall’alto. Non basta che tacciano le armi se non si disarmano prima i cuori e i linguaggi. Il nostro appello quest’anno non è solo per i governi, perché aprano corridoi umanitari e vie di negoziato, ma è rivolto a ciascuno di noi: la pace inizia quando smettiamo di considerare l’altro come un estraneo o, peggio, un nemico” dichiara Agostino Sella, presidente Don Bosco 2000.
Queste guerre, in Africa, in Europa e in Medio Oriente, sono un monito severo: la pace non nasce da sola e non è mai garantita una volta per tutte. Chiede coraggio politico, ascolto reciproco, capacità di dialogo, ma anche la conversione profonda dei cuori, perché nessuna trattativa regge se resta l’odio nei linguaggi, nelle paure e nelle memorie collettive.
In questi territori difficili come il Mali, il Sudan, il Congo e altre aree segnate da violenza e instabilità bisogna lavorare per creare nuove opportunità, percorsi di riconciliazione e di sviluppo locale, perché la migliore prevenzione della guerra è una vita degna per tutti.
Bisogna diventare “artigiani di pace” nei gesti quotidiani, nell’accoglienza e nella scelta di non girarci dall’altra parte.

