Caltanissetta – Non è stato un viaggio di piacere, ma uno dei tanti “viaggi della speranza” che da anni migliaia di famiglie siciliane affrontano in silenzio. Questa volta a salire su un treno verso Bologna sono stati Liborio Bilardo, sua moglie e il piccolo Alessio, un bambino disabile che necessita di cure specialistiche che la Sicilia, purtroppo, non è in grado di garantire.
Gli amici, sui social, hanno fatto sentire la loro vicinanza con messaggi e like. Un affetto sincero che ha riempito il cuore della famiglia, pur senza cancellare la consapevolezza amara che il loro non era un viaggio qualsiasi. Era l’ennesima partenza forzata, alla ricerca di ciò che dovrebbe essere un diritto universale: cure adeguate nella propria terra.
Il papà nisseno racconta con schiettezza la sua esperienza, trasformandola in una riflessione che riguarda tutti. In Italia – sottolinea – esistono ancora due sanità: quella del Nord, con strutture all’avanguardia e servizi efficienti, e quella del Sud, spesso in affanno e costretta a rinviare o negare prestazioni fondamentali. Un divario che nel 2025 continua a pesare come un macigno sulla vita di chi nasce con disabilità o patologie complesse.
Bilardo non punta il dito contro i medici o gli operatori siciliani, anzi. Ne riconosce la dedizione e le capacità, spesso limitate solo dalla mancanza di mezzi e strutture adeguate. Ma la realtà resta drammatica: ogni partenza significa sacrifici economici, logistici e psicologici enormi, che gravano su famiglie già messe a dura prova dalla malattia.
In questo racconto c’è tutto: l’amarezza di lasciare la propria terra, la rassegnazione silenziosa, la forza di guardarsi negli occhi e andare avanti. Ma anche la rabbia di sapere che i bambini siciliani meritano lo stesso sostegno e le stesse possibilità dei coetanei del Nord. E che invece, troppo spesso, restano abbandonati a se stessi.
La riflessione di Liborio Bilardo è amara, ma anche lucida. Un appello a non rassegnarsi, a non tacere di fronte a un’ingiustizia che non può diventare normalità. Perché finché i viaggi della speranza saranno l’unica strada, il diritto alla salute resterà un privilegio e non una conquista condivisa.

