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Liberamente tratto dal “De officiis” di Marco Tullio Cicerone

Michele Spena

Liberamente tratto dal “De officiis” di Marco Tullio Cicerone

Lun, 19/06/2017 - 15:20

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19Si osserva, purtroppo, che la cronaca della politica, è pregnata da vicende, in cui l’interesse generale dei cittadini arretra rispetto all’interesse particolare della politica stessa, o dei politici.

Nel contesto dell’opera drammaturgica di Michele Dimartino “O Tempora o Mores (n.d.r. che tempi che costumi) la politica al tempo degli dei”, Edoardo Siravo, nei panni di un attualissimo Marco Tullio Cicerone interpreta il “De officiis”, ultimo trattato prima della morte del filosofo, che  lascia ai posteri un testamento spirituale, individuando i nuclei essenziali su cui deve fondarsi l’azione ed il pensiero di chi governa e ha responsabilità pubbliche.

Scrive Cicerone sul nucleo dell’Interesse Pubblico:“In generale, quelli che stanno per governare lo Stato tengono ben presenti due precetti: primo, agire per l’esclusivo vantaggio dei cittadini senza curare e quasi dimenticando i propri interessi; secondo, provvedere all’organismo dello Stato nella sua totalità evitando di privilegiare alcune parti e trascurarne altre. Infatti, come avviene quando ci si occupa di un bambino, il governo di uno Stato, deve esercitarsi per il bene non dei governanti, ma dei governati”.

Il filosofo individua nell’interesse pubblico, il principio ispiratore dell’azione di governo, assimilando la collettività, non già con atteggiamento di superiorità, ma piuttosto con istinto di protezione, sublimando nella metafora del genitore e del figlio in tenera età. Il primo rinuncia a qualsiasi precetto della propria individualità a favore della protezione della propria creatura che è esponenzialmente più importante. Allo stesso modo il governante deve rinunciare a qualsiasi proprio vantaggio, a favore dell’interesse generale.

Sul  nucleo dell’ Equità. “D’altra parte quelli che provvedono a una parte dei cittadini e ne ignorano un’altra, introducono nello Stato il più funesto dei mali: la discordia, che diventa poi sedizione; con il risultato che alcuni si propongono come amici del popolo, altri come sostenitori delle classi più abbienti e quasi nessuno si preoccupa del bene di tutti. Per questi motivi nacquero ad Atene grandi discordie; per questi motivi scoppiarono nella nostra repubblica non solo sedizioni, ma anche rovinose guerre civili, mali, questi che un cittadino austero e forte, degno di governare lo Stato, odierà e fuggirà con orrore: consacrandosi interamente allo Stato, senza cercare, per sé, né ricchezza né potenza, egli lo custodirà e lo proteggerà nella sua interezza, in modo da provvedere al bene di tutti i cittadini”.

La diseguaglianza, reale e percepita dal popolo, è fonte di discordie. Un leader politico austero e forte, ed in quanto tale degno di amministrare lo Stato, ripudia la futile ricerca di visibilità e consenso attraverso vacue promesse a taluni, spesso ritenuti “fedeli”, rispetto ad altri. Tutto ciò si tradurrà, infatti nell’acuire le differenze ed i conflitti. Egli costruisce la parte prevalente della propria autorevolezza con l’esempio, rinunciando alla ricchezza e all’ebrezza dell’esercizio del potere, esercitando il proprio mandato per provvedere al bene autentico di tutti i propri cittadini. Egli consacrandosi allo Stato, così come il genitore nei confronti dei figli, assume il compito di proteggere tutti in maniera equanime.

Sul nucleo della Giustizia. “Inoltre Egli (n.d.r. il governante) non susciterà con false accuse, né odio né disprezzo contro alcuno; anzi, si atterrà così strettamente alla giustizia e all’onestà che, pur di mantenerle ferme e salde, affronterà i più gravi insuccessi e incontrerà persino la morte, piuttosto che venirvi meno. Non bisogna dare ascolto a chi ritiene giusto adirarsi fieramente con i nemici, e anzi vede appunto nell’ira il carattere distintivo dell’uomo magnanimo e forte: no, la virtù più bella, la virtù più degna di un animo grande e nobile è la mitezza, la clemenza. Negli Stati liberi dove regna l’eguaglianza del diritto, bisogna anche dare prova di una certa flessibilità, e di quella che è solita chiamarsi padronanza di sé, per non incorrere in una inutile e odiosa scontrosità”.

Il governante deve agire con onestà intellettuale ed equilibrio, accettando anche i fallimenti. Queste virtù, associate alla autorevolezza e padronanza dell’esercizio dell’azione di governo, ne accrescono il prestigio. Il leader deve quindi ripudiare le futili ed appariscenti manifestazioni di potenza, dimostrando clemenza e flessibilità. Egli deve offrire l’esempio al popolo, conducendosi ad estremi sacrifici, pur di  non rinnegare la propria pubblica alta missione.

Sul nucleo dell’Ordine Pubblico. “E tuttavia la mite e mansueta clemenza merita lode solo a patto che, per il bene superiore dello Stato, si faccia un giusto uso della severità, senza la quale nessun governo è possibile. Ogni punizione, ogni rimprovero, però, devono essere privi di offesa, e non mirare alla soddisfazione di colui che punisce o rimprovera, ma solo al vantaggio dello Stato. Soprattutto è da evitare la collera nell’atto stesso del punire: chi si accinge al castigo in preda alla collera, non osserverà mai quella giusta via di mezzo, che corre tra il troppo e il poco. No, no! L’ira è da tenere lontana in tutte le circostanze della vita, e bisogna assicurarsi che i reggitori dello Stato siano come le leggi, le quali puniscono non per impeto d’ira, ma per dovere di giustizia”.

L’elegia della fermezza nell’applicazione delle norme (senza la quale nessun Governo è possibile), garantendo l’equilibrio e il ripudio dell’ira nell’azione sanzionatoria, conclude le regole che Cicerone ha voluto tramandare ai posteri.

Quanto di ciò, eternamente valido, viene oggi concretamente applicato, lo lasciamo al giudizio del lettore.

Michele Spena

 

 

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