Salute

“Scorie nel ventre della terra”. La nostra inchiesta su “il Settimanale” del TGR Rai

Michele Spena

“Scorie nel ventre della terra”. La nostra inchiesta su “il Settimanale” del TGR Rai

Dom, 18/12/2011 - 02:14

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CALTANISSETTA – Sembrava quasi una “mission impossible” ed invece l’inchiesta sulle presunte scorie nel ventre delle miniere Bosco e Raineri portata avanti da questa testata giornalistica e pubblicata sul numero di novembre, ha scosso molte coscienze e non solo. Si sono “scomodate” le telecamere della RAI per venire a verificare quanto contenuto nell’indagine. Un grande professionista come Rino Cascio, giornalista con esperienza ultraventennale nell’ambito di inchieste scottanti come mafia e malaffare in genere, ha intervistato un gruppo di persone per l’occasione convocate e raggruppate da uno degli artefici di questa inchiesta, il signor Salvatore Alaimo di Serradifalco. Presenti anche i giornalisti de IL FATTO NISSENO, Donatello Polizzi e Osvaldo Barba, autori delle due inchieste scottanti.

IL VIDEO

httpv://www.youtube.com/watch?v=kKOzV_D_gS8

L’INCHIESTA Scorie nel ventre della terra, miniere killer tra Serradifalco e Mussomeli

Miniera Bosco e lago, due bombe ecologiche minacciano Serradifalco

Le pagine 8 e 9 de 2Il Fatto Nisseno" di Novembre

SERRADIFALCO(CL) – Ambiente, miniere dismesse, rifiuti speciali e radioattivi, intrecci affari – politica, recrudescenza delle malattie tumorali. Sono molteplici gli argomenti affrontati da Salvatore Alaimo, nell’intervista in esclusiva che ha rilasciato alla nostra redazione e che si è trasformata in un’informativa redatta dallo stesso Alaimo ed inviata a varie autorità. L’ex assessore Provinciale al Territorio e all’Ambiente sotto la Presidenza (1994/1998) del Dott. Vincenzo Rampulla, non lesina critiche e offre una serie di spunti che avranno, sicuramente, sviluppi di vario genere.

All’intervistato la delega assessoriale, fu conferita in qualità di tecnico. <<Avevo iniziato un percorso virtuoso che portò l’Amministrazione Provinciale ad essere inserita, su proposta della Regione Siciliana, nel Sistema operativo nazionale finalizzato al controllo ed assicurazione della qualità dei dati rilevati dalle reti di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico che, si ricorda, si era riusciti a potenziare con una rete di controllo sofisticata e dotata di una strumentazione all’avanguardia>>. Alaimo ricorda due importanti iniziative: A) Il “Centro di ricerca” ideato e realizzato, negli anni 1997/1998, ed ubicato in un fabbricato posto all’ingresso dell’Istituto Agrario del capoluogo, al fine di supportare l’attività di sorveglianza dell’inquinamento ambientale e assicurare il controllo di qualità in diversi settori (acque, terreni, prodotti agricoli). La spesa sostenuta era stata di circa £ 800.000.000; B) Il progetto “ENVIREG”, realizzato con fondi della C.E. e del Ministero dell’Ambiente, con una spesa di diversi miliardi di lire, è collocato nei locali a piano terra della provincia, sul cui tetto venne posta un’antenna/parabola satellitare. La strumentazione istallata aveva, nell’immediato, come obiettivo la caratterizzazione puntuale dello stato d’inquinamento industriale e della compromissione ambientale a proposito delle aree industriali di Milazzo, Augusta, Priolo e Gela, nonché la realizzazione di nuove tecnologie integrate di controllo in rete e centralizzate presso la Regione, volte alla sorveglianza e alla prevenzione d’inquinamenti e rischi associabili alla movimentazione di sostanze tossiche e pericolose.

Salvatore Alaimo

Alaimo, incalza ed afferma: <<C’è da osservare, come durante la successiva e decennale presidenza del Presidente Rampulla, il Dott. Filippo Collura, gelese, che nel frattempo era stato eletto – diceva essere stato sponsorizzato e proposto dall’ex Assessore Regionale alla Sanità Bernardo Alaimo di Serradifalco- il Centro di Ricerche e la struttura riguardante il progetto “ENVIREG”, che mi fu riferito era stato oggetto di un’indagine, furono entrambi posati ed abbandonati e di dette iniziative , ad oggi, non si è avuta più nessuna notizia>>.

Nell’esporre le sue osservazioni, dopo aver osservato negli ultimi decenni una notevole recrudescenza delle malattie tumorali,  Alaimo ha analizzato i  “Dati nazionali comparativi sui tumori” e ha voluto documentarsi sulle possibili cause che avrebbero potuto avere attinenza con il proliferare di tale  patologie, attingendo notizie e pareri di specialisti del settore. Sono emerse, secondo l’opinione del dichiarante, situazioni preoccupanti:

1) Nel vecchio sito minerario vicino a Serradifalco dovrebbe essere verificato se nei depositi di scarto della lavorazione della Kainite possano essere presenti radionuclidi naturali riconcentrati quali potassio quaranta (radiazione molto penetrante) e prodotti di decadimento delle catene Uranio-Torio. Altresì appare necessario verificare se le gallerie della miniera possono essere state utilizzate per depositarvi rifiuti speciali, pericolosi e/o radioattivi, atteso che la messa a deposito ed in sicurezza di materie contaminati da isotopi radioattivi comporta costi elevatissimi e difficoltà notevoli non essendo ancora stato realizzato il famoso deposito Nazionale, e stante che le miniere esauste, i depositi abbandonati, le gallerie e i laghi costituivano i siti ideali per lo smaltimento di materiali come: rottami ferrosi contaminati proveniente principalmente dai paesi dell’ex blocco sovietico; vecchie sorgenti per telecobalto-telecesio per terapie usate un passato in ambienti sanitari e radioterapia (sorgenti orfane); rifiuti a medio-bassa attività provenienti da dismissione di impianti nucleri; (Alaimo cita l’episodio che vide protagonista l’ex vigile urbano Gaetano Butera  che è stato approfondito nella pagina successiva, N.d.r.)

Il lago "Soprano" di Serradifalco

Il lago "Soprano" di Serradifalco

2) Meritevole di attenzione è inoltre l’area periferica dell’abitato data la presenza di caratteristiche geologiche per le quali si sono formati dei piccoli laghi, soprattutto il lago Soprano, i cui fondali possono essere stati interessati negli anni cinquanta/sessanta dal Fall-out radioattivo causato dalle esplosione atomiche Francesi  nell’atmosferica Sahariana. Infatti le argille chelanti, come nel caso del lago Pergusa, trattengono il Cesio 137 altamente radioattivo ed a persistenza secolare. Ed appare utile, altresì, una verifica  relativa a possibili affondamenti di rifiuti speciali e/o pericolosi in queste zone.

Alaimo conclude affermando che: <<Considerato che il deposito, l’interramento, l’affondamento e la ricaduta di tali materiali può comportare nel tempo, e per tempi molto lunghi, una grave contaminazione delle matrici ambientali (suolo, acque superficiali e di profondità) ed alimenti (latte, carni, cereali, ortofrutta,ecc) con conseguente contaminazione corporea interna della popolazione residente in prossimità dei siti di deposito, interramento e da affondamento, appare improcrastinabile avviare uno studio di valutazione ambientale del sito minerario e dell’hinterland del paese con sopralluoghi strumentali, prelievi e relative analisi radiomentriche su campioni di acque, suolo, fanghi ed alimenti autoctoni. Tali ricerche comportano una spesa modesta , valutabile  in  alcune decine di migliaia di euro>>. La conclusione, sembra non lasciare adito a dubbi; il geometra serradifalchese, conclude perentorio: <<Ad ogni buon fine, anche ad escludere le ipotesi di inquinamento sopra descritte, la discarica dei residui della lavorazione dell’ex miniera di Bosco, incontrovertibilmente, inquina. Infatti, come tempo fa ebbe a relazionare un esperto geologo,  il dott. Angelo La Rosa, se non verranno eliminate le montagne di sale, oltre 4 milioni di tonnellate di materiali salini, i resti di lavorazione della miniera Bosco, i terreni attorno all’ex bacino minerario rischiano la desertificazione assoluta. Infatti, trattandosi di sale, quindi altamente solubile, con le piogge  e col passare degli anni, è stato sciolto e trasportato nei terreni provocando seri danni. In sostanza, considerato che le montagne di sale si sono formate a partire dagli anni 50/60,  è prevedibile che molti danni ai terreni sono già stati provocati e altri ce ne potranno essere per lungo tempo ancora. Infatti , si ha notizia, che è stato redatto  dalla “Resais” un progetto che riguardava l’ipotesi  di estrazione commercializzazione dei residui di lavorazione della miniera. Una  montagna di sale che contiene ancora un alta quantità di sale mista ad altri minerali , che al nord Italia e in tutta Europa viene utilizzato per molti usi industriali ad iniziare da quello riguardante lo spargimento del sale lungo  strade ghiacciate. Un affare che, a conti fatti, potrebbe impegnare almeno duecento operai per i prossimi dieci anni. Un progetto che si è fermato davanti ad alcuni ostacoli. Innanzitutto il vincolo che da venti anni vieta a chiunque l’ingresso nei luoghi per il rischio subsidenza anche se, oggi, in pochi credono che nella zona di Bosco/Palo possa ancora accadere qualcosa a livello geomorfologico. Il secondo nodo riguarda invece i fondi necessari per commercializzare il sale. Ma lo Stato e/o la Regione, che hanno l’obbligo della bonifica, potrebbero intervenire in tal senso trasformandola in bonifica “produttiva”, utilizzando a tale proposito i fondi che la Comunità Europea a messo a disposizione e che probabilmente saranno restituiti in quanto non utilizzati>>.

Il racconto di Salvatore Alaimo apre scenari dai colori foschi che inquietano. Le miniere dismesse ed i pericoli derivanti in maniera, diretta o indiretta, da questi siti (spesso privi di sorveglianza) possono ingolosire settori della criminalità che non esitano a lucrare sulla salute degli ignari cittadini.

La testimonianza. Il racconto dell’ex comandante dei Vigili urbani di Serradifalco

“Arrivano dei camion carichi di rifiuti ospedalieri”

L’utilizzo dei siti minerari dismessi come discarica illegale per rifiuti “speciali”, appartiene ad una letteratura pregna di racconti, indagini ed avvenimenti, talvolta, dai risvolti e dai contorni plumbei.

Per quanto attiene alla Miniera “Bosco” un episodio accaduto nell’estate del 1990, conferisce sostanza alle ipotesi. Il  protagonista del caso, Gaetano Butera, vigile urbano adesso in pensione, ha voluto raccontarci l’anomala vicenda. <<In quel periodo ero impegnato nella costruzione della mia villetta. Sulla strada che conduce alla miniera (bivio tra S.P.n. 40 e la S.P. 37), poco trafficata, avevo notato, in più occasioni, un grosso camion che era continuamente avvicinato da furgoni dalle dimensioni ridotte ed un conseguente movimento di scatole e cartoni>>. In quel periodo Butera, che ricopriva la carica di vice-comandante della polizia municipale, era a conoscenza, in maniera più o meno diretta, di tutto ciò che accadeva all’interno di Serradifalco e nei dintorni. <<Una mattina, in divisa e con la macchina di servizio, decisi di avvicinarmi al mezzo per tentare di capire cosa stesse accadendo. Nei pressi dell’autotreno vi erano numerose scatole recanti la scritta rifiuti ospedalieri, contenitori di plastica con etichette inconsuete ed altri oggetti. Il tir aveva una targa straniera: si trattava di un paese dell’est. Identificai l’autista: dai documenti risultava essere di nazionalità polacca; il soggetto in questione, mi mostrò un’autorizzazione, peraltro scaduta, per il trasporto e non per lo scarico, dei rifiuti ospedalieri>>. Il nostro intervistato cita con dovizia di particolari, una serie di circostanze a dir poco inusuali. <<Accertai che questi rifiuti, erano posizionati nel terreno retrostante una villetta, distante poco meno di un chilometro in linea d’aria dalla Miniera e da dove si godeva di un’ampia veduta panoramica del sito minerario. Immediatamente redassi una relazione di servizio, consapevole della gravità della vicenda>>.

Gaetano Butera

Merita un approfondimento la circostanza concernente la proprietà dell’immobile. La villetta, è stato accertato, era stata acquistata alcuni mesi prima da una signora residente a Bisceglie. Come mai una gentil donna nativa di una ridente località marina pugliese, aveva deciso di acquistare un fabbricato nell’entroterra siculo, nei pressi di una miniera, in una zona a forte rischio ambientale? Il mistero s’infittisce.<<Pochi giorni dopo, un elicottero dei carabinieri sorvolò la zona. Mi recai presso il mio comandante, per chiedere spiegazioni e mi avvisò di aver attenzionato la Benemerita, considerata la rilevanza dell’episodio. Da allora silenzio assoluto sulla vicenda. Nessuno mi ha mai chiamato per confermare la mia relazione. La villetta che veniva utilizzata come deposito, accertai alcuni giorni dopo con un mio sopralluogo, era stata abbandonata. I rifiuti collocati nel terreno retrostante erano spariti e dei camion non se ne ebbe più traccia o notizia>>. Sono molteplici gli interrogativi che scaturiscono da questo racconto. Da quanto tempo andava avanti questo scarico di rifiuti nella villetta? Le scatole ed i contenitori di plastica, dove venivano poi portati? La posizione dell’immobile, a poca distanza dalla miniera, è soltanto una fortuita coincidenza? Come mai sull’accadimento è calato il più assoluto silenzio? Il ragionamento, conduce a ritenere molto probabile un traffico illecito di rifiuti speciali (plausibilmente di vari generi) che per modalità, tempistica ed attuazione, aveva bisogno di “copertura” a vari livelli.

Donatello Polizzi

Ranieri, la miniera dei misteri che impaurisce i musssomelesi

MUSSOMELI – Su quel ramo del fiume Gallodoro…….Lì, in quel tratto di strada che si inerpica per una serie di tortuosi tornanti, tra boschi e distese pianeggianti coltivate a grano, laddove tutto ricorda una grande macchia mediterranea, esiste anche una superficie di terra,  che sembra desolatamente brulla. Li, cumuli di terra di riporto hanno creato nel tempo un falso altopiano dove, se solo si prova ad “assaggiare” la terra, si ha la netta sensazione di un forte ed intenso sapore salmastro. E tracce di sale, sono ancora visibili lungo tutto il tratto che costeggia quella che fu la miniera Raineri. Un posto che tanti sconoscono: altri, fanno anche volentieri a meno di ricordare. La miniera di Ranieri, per quello che è stato l’indotto lavorativo mussomelese, non ha avuto alcun impatto salvo qualche sporadica collaborazione per qualche tecnico dell’epoca. Un alone di mistero ha sempre attorniato questo territorio, dove l’aridità del terreno che delinea e delimita il luogo estrattivo ha sempre contrastato con la rigogliosità di una natura particolarmente generosa da queste parti. Se la miniera Raineri nulla o quasi ha lasciato nella memoria storica della collettività mussomelese durante la sua attività, lo stesso non si può dire per quello è successo, o per meglio dire, sarebbe probabilmente accaduto, durante il rimanente periodo di quiescenza. Già, la storia è la stessa che da tanti troppi anni incombe anche sulla più nota e discussa Miniera Bosco, luogo destinato secondo quella ritenuta come fantasia popolare, a ricevere cumuli di scorie radioattive e rifiuti tossici da un lungo quanto silente peregrinare di camion. Anche la miniera Raineri, nella sua storia pressoché dimenticata e quasi insignificante, non è stata esente da simili “pettegolezzi”. Anzi, ai più è nota per questo triste quanto presunto squallido ruolo, piuttosto che per la sua attività estrattiva, passata quasi inosservata agli occhi della comunità mussomelese. Pochi sono disposti a parlare dell’argomento. Tanti non sanno e nulla vogliono sapere di questo luogo, tanto solitario quanto “maledetto”. Chi ha voglia di accennare l’argomento, parla solo di inspiegabili fari notturni di camion che, giunti in direzione di quello che è il luogo fisico della miniera, sparivano  misteriosamente, forse perché spenti cautamente dagli autisti o probabilmente perché i mezzi pesanti venivano lasciati definitamente all’interno della miniera con tutto il loro carico. Già, una storia simile a molte altre, con la stessa trama, oscura quanto inspiegabile, laddove il limite tra fantasia popolare e verità è talmente sottile da far si che questa rimanga una brutta, orrida leggenda. Sulla miniera Raineri aleggia anche un’altra di quelle definibili come “verità nascoste”. Occultate, come le viscere di ogni miniera che, come quella di Raineri,  raggiunge profondità di alcune centinaia di metri, e presenta gallerie e cunicoli per un’estensione totale di diverse decine di km. Sostiene una cospicua fetta di comunità mussomelese che la “montagna di sale maledetta” stia restituendo lentamente attraverso le falde acquifere tutto ciò che non è sale e che non è prodotto dalla natura. Un modo come un altro per far conoscere quello che non è più un segreto di stato ma che è anzi divenuto forse il segreto di Pulcinella. Ammesso che lo stesso esista. Intanto, se così fosse, sarebbe questo un ennesimo caso di ecomafia, un neologismo italiano coniato da Legambiente per indicare le attività illegali delle organizzazioni criminali che arrecano danni all’ambiente. In particolare sono generalmente definite ecomafie le associazioni criminali dedite al traffico e allo smaltimento illegale di rifiuti e all’abusivismo edilizio su larga scala. Nell’attesa di sapere se quello che accade all’interno di quello che fu un tempo luogo destinato ad estrazione di salgemma, a Mussomeli, così come in altre parti del Vallone, ci si continua ad ammalare e morire di tumore. I casi di neoplasie crescono ogni anno e la preoccupazione che qualcosa nei dintorni della città di Manfredi minacci oscuramente la comunità locale, aumenta e cresce con la notizia di altri casi di cancro. E sempre di più si guarda con sospetto e con insofferente indignazione quella che un tempo fu la miniera Raineri.

Tra Mussomele e Serradifalco è alta l’incidenza delle neoplasie

La pagina 11 de "il Fatto Nisseno" di Novembre

MUSSOMELI – Il primo decennio del terzo millennio ha di fatto sancito un incremento di casi di tumore talmente elevato, da indurre nella popolazione del Vallone un vero e proprio sentimento di preoccupazione. E se per molti anni quest’argomento è stato totalmente ignorato dalla politica in genere, di recente a causa soprattutto di una vera e propria falcidia di giovanissime vite, è insorto nelle realtà associative locali un vero e proprio sentimento di rivolta e ribellione verso quello che è un problema che non può e non deve essere ignorato dai rappresentanti istituzionali di ogni ordine e grado. Grazie all’iniziativa dell’allora Comitato Pro-salute, oggi Associazione Vita, in collaborazione con altri enti no-profit che è nata l’ Associazione Temporanea di Scopo STILI DI VITA POSITIVI, avente il fine di gestire il presente progetto “Registrazione dei tumori e Stili di vita positivi nella provincia di Caltanissetta. Conoscere per prevenire – Conoscere per Curare.”, conferendo mandato collettivo speciale gratuito con rappresentanza al Direttore Generale della Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa, per il Registro Tumori di Ragusa, quale capofila dell’ATS. Grazie all’attività del Registro dei Tumori e ai dati pubblicati sul sito www.cemtrotumoricl.it è possibile avere un’idea chiara e precisa di quello che accade in ogni singola realtà locale del Vallone. Attraverso le Schede di Dimissione Ospedaliere (di seguito SDO) analizzate dal 2004 al 2008  sono stati confrontati i dati per i siti minerari interessati, cioè Mussomeli e Serradifalco. Emerge che Mussomeli, con 687 casi è il 7° paese tra i 22 dell’intera provincia di Caltanissetta per pazienti con diagnosi di tumore maligno con una media annua di 137,4. 107 stati le morti di tumore quasi equamente distribuiti tra i due sessi. Mentre Serradifalco è all’11° posto con 477 casi per pazienti con diagnosi di tumore maligno con una media annua di 95,4. 55 sono stati le morti di tumore quasi equamente distribuiti tra i due sessi.  Solo quest’anno diverse decine sono stati i decessi per tumore e di questi una buona percentuale è stata rappresentata da giovani. In tempi in cui il nucleare torna a sembrare l’unica risposta possibile al fabbisogno energetico del nostro Paese Mussomeli potrebbe essere un’altra piccola località, nel cuore della Sicilia, che è pronta a dimostrare che così non può e non deve essere. Mussomeli non può e non vuole essere “un’altra” Pasquasia, quella cittadina in  provincia di Enna, che se oggi è una municipale sconosciuta ai più, in passato ha raggiunto una certa fama grazie alla sua miniera di sali alcalini misti ed in particolare kainite per la produzione di solfato di potassio. La miniera di Raineri, così come quella di Pasquasia e di Bosco, è stato un sito che fino ad ventennio fa circa ha dato lavoro a tante persone e che da allora, a quanto pare, semina morte. A parlare per primo della presenza di rifiuti radioattivi nella miniera di Pasquasia era stato nel 1992 il pentito di mafia Leonardo Messina, già membro della cupola di Cosa Nostra, che lì aveva lavorato come caposquadra. Secondo il suo racconto – sul punto considerato attendibile dal Procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna – le attività illegali, in quella zona, proseguivano dal 1984: quando l’Enea (all’epoca Ente nazionale per l’energia atomica) aveva avviato uno studio geologico, geochimico e microbiologico sulla formazione argillosa e sulla sua resistenza alle scorie nucleari. E quando funzionari del Sisde avrebbero contattato l’amministrazione comunale per richiedere il nulla osta a seppellire in loco materiale militare di non meglio specificata natura. Cosa che proverebbe l’utilizzo della miniera come deposito di scorie ancora prima della sua dismissione e che spiegherebbe il motivo per cui dopo il 1992 il Corpo regionale delle miniere ha interrotto l’attività di vigilanza e di manutenzione degli impianti e la Regione ha affidato il controllo degli accessi alle miniere a quattro società di sicurezza privata, attualmente rimosse dall’incarico.
Nel 1997 la procura di Caltanissetta aveva disposto un’ispezione su una galleria profonda 50 metri costruita all’interno della miniera proprio dall’Enea e aveva rilevato la presenza di alcune centraline di rilevamento rilasciate dall’Ente, ma che non si riuscì a chiarire che cosa esattamente dovessero misurare. Forse la radioattività?  Nell’attesa di qualche risposta valida si aspetta con ansia che anche la miniera di Raineri venga doverosamente e scrupolosamente attenzionata. Non fosse altro per dare valide risposte ed un contributo attivo all’attività svolta dai promotori del Registro dei Tumori.

Osvaldo Barba

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