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Stato-mafia, giudici: ‘dialogo’ per spaccare Cosa nostra

Redazione

Stato-mafia, giudici: ‘dialogo’ per spaccare Cosa nostra

Sab, 06/08/2022 - 18:15

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La trattativa ci fu, e fu una “improvvida iniziativa” quella del Ros che nel 1992, dopo la strage di Capaci, contatto’ Vito Ciancimino perche’ facesse da intermediario con Toto’ Riina. Ma non si puo’ configurare come un reato. E l’unica finalita’ dei carabinieri era quella di fermare le stragi “insinuandosi in una spaccatura” all’interno di Cosa nostra. Facendo leva su tensioni e contrasti, si cercava insomma di dialogare con Bernardo Provenzano per colpire meglio l’ala stragista di Toto’ Riina. 

E’ il passaggio cruciale della sentenza con la quale la corte d’assise d’appello di PALERMO(presidente Angelo Pellino) ha assolto il 23 settembre dell’anno scorso i generali Mario Mori e Antonio Subranni, il colonnello Giuseppe De Donno e Marcello Dell’Utri. Condannati invece Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca che, loro si’, avevano l’obiettivo di un’azione eversiva. Per i magistrati si chiama minaccia di un corpo politico dello Stato. Il corpo politico che dovrebbe essere costretto ad adottare provvedimenti a favore della mafia era il governo di Silvio Berlusconi. Ma la minaccia di cosa nostra non arrivo’ a destinazione. 

O, almeno, non c’e’ la prova che questo sia accaduto. Il piano fu “arrestato al livello del tentativo”, da attribuire a Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, scrivi i giudici in una sezione della sentenza lunga 2.971 pagine. La Procura generale ha tempo fino al 15 ottobre per decidere se impugnarla. Ci sono poi altri passaggi che fissano in modo chiaro il ragionamento svolto dai giudici d’appello. Uno riguarda l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e l’ex guardasigilli Giovanni Conso. Per loro arriva, dopo tanti anni, una sorta di riabilitazione. 

Fu “ingeneroso e fuorviante”, e perfino “frutto di un errore di sintassi giuridica”, alzare ombre sulla loro disponibilita’ a cedere alle minacce di Cosa nostra. “Con il risultato – aggiunge la sentenza – di dover compiere poi acrobazie dialettiche per affrancarli da un giudizio postumo di responsabilita’ penale”. Un altro capitolo importante della sentenza contesta la tesi che la trattativa abbia prodotto una accelerazione della strategia di via D’Amelio per uccidere Borsellino. I giudici di appello non la come quelli di primo grado che avevano seguito la linea dell’accusa. “L’operazione Borsellino era gia’ in itinere”, avvertono. “E allora si puo’ concedere che l’essere venuto a conoscenza che uomini dello Stato erano fatti sotto per negoziare non ebbe l’effetto di osare la prima all’attentato a Borsellino, sconvolgendo un’ipotetica diversa scaletta del suo programma criminoso: piu’ semplicemente, non fece cambiare di una virgola, a Riina, i suoi piani”, scrive la corte. 

Semmai, si può’ credere che l’ordine di Riina per l’attentato di via D’ Amelio “possa avere trovato origine nell’interessamento di Borsellino al rapporto mafia e appalti”. Intendeva riprendere in mano il dossier per approfondire alcuni spunti. Ma non ne ebbe il tempo. Quanto alla trattativa, la linea di Mori e degli altri sarebbe stata quella di mandare segnali. E in questo senso va interpretata la scelta di “preservare la liberta’ di Provenzano”, cioe’ di non arrestarlo. Ma non perche’ ci erano collusioni o “patti” (promesse e benefici) da onorare ma perche’ i carabinieri del Ros ritenevano che la leadership di Provenzano “avrebbe di fatto garantito contro il rischio del prevalere di pulsioni stragiste o di un ritorno alla linea dura di contrapposizione violenta allo Stato”.

 Anche la mancata perquisizione del covo di Riina puo’ essere ricondotta a questa strategia. Era un atto “simbolico”. Serviva a un volonta’ un “segnale di buona proseguita e di disponibilita’ sulla via del dialogo”. E non era un segno di Stato.

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