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Anche Mussomeli ha la sua Cappella dello “Spàsimo” (di Fra’ Luigi Sapia)

Redazione

Anche Mussomeli ha la sua Cappella dello “Spàsimo” (di Fra’ Luigi Sapia)

Mar, 22/03/2016 - 00:10

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Foto 2Da quando nel 1515 Raffaello Sanzio dipinse il tema della IV Stazione della Via Crucis, cioè l’incontro di Gesù con la Madre Addolorata, per il Monastero dello Spàsimo di Palermo, questa sua opera (ormai intesa in Sicilia come “lo Spàsimo” ) è stata tante volte riprodotta, anche in forma speculare ( come la copia di Jacopo Vigneri nel Santuario di San Francesco all’Immacolata di Catania).
Il mussomelese Mons. Giuseppe Sorce Vullo con due suoi libri ha cercato di provare che anche il relativo dipinto del Prado (in Madrid) è una copia e che l’originale fu nascosto in un Monastero di Caltanissetta, ma purtroppo tanti si sono rifiutati pregiudizialmente anche di esaminarli.
A Mussomeli, nella chiesa di San Francesco, la cappella dello Spasimo è sorta nel 1986, ma in una nuova composizione originale: assemblando cioè il gruppo statuario di Leo Moroder sul fèrcolo di Totò Montagnino con le pitture vigorose del palermitano Totò Bonanno. Il risultato fu sorprendente.
Il tutto nacque dallo spasimo della famiglia di Sebastiano Nigrelli per l’immatura scomparsa del figlio Totuccio, che così viene commemorato nell’iscrizione posta al centro del fercolo: “Nella pietà di questa Fotodolce immagine, il tuo ricordo, o Totuccio, per noi diventa santo”.
Nella scena del gruppo i personaggi sono ridotti all’essenziale: Gesù, Maria e Maddalena; quest’ultima, diversamente che nell’opera di Raffaello, cerca di sostenere non soltanto la Madre, ma anche il Figlio.
Nella loro bellezza l’intensità del pathos dei volti di Maddalena, Gesù e Maria si riflette e, nello stesso tempo, viene accentuato dal cinèreo “cielo d’inverno” dello sfondo: cosicché vi si possono applicare le parole di Francesco Costa: “sembrano sintetizzare l’angoscia e il dolore dell’universo di fronte alla tragedia del Calvario”. Calvario, che alle loro spalle si staglia tra gli alberi con le sue tre croci ancora vuote, e, insieme all’oscurità del cielo, fa da controcanto al cielo aurorale primaverile del catino dell’abside.
L’insieme è poi completato da tre pezzi forti, dipinti dallo stesso Totò Bonanno, situati nel prospetto inferiore del fèrcolo, e che acuiscono, con la loro drammaticità realistica, ancora di più lo spàsimo del Mistero Pasquale: “Ultima Cena”, “Bacio traditore di Giuda”, “Lavacro delle mani di Pilato”.
Merito anche del Guardiano P. Nicola Mulè, il quale non soltanto svolse il ruolo di coordinatore, ma inoltre, a spese del convento ed a costo di “sudore e lacrime” (com’era suo costume), ingrandì in profondità le dimensioni della Cappella (a cura di Frà Luigi Sapia)

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