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Scuola, Save the Children: senza mensa 48% alunni in Italia, svetta la Sicilia con l’80%

Redazione

Scuola, Save the Children: senza mensa 48% alunni in Italia, svetta la Sicilia con l’80%

Gio, 07/09/2017 - 08:40

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ROMA – Quasi la meta’ degli alunni (il 48%) delle scuole primarie e secondarie di primo grado non ha accesso alla mensa scolastica: mancano regole condivise e questo contribuisce all’ampia disparita’ nelle modalita’ di accesso e di erogazione del servizio. A rilevarlo e’ il rapporto ‘(Non) Tutti a Mensa 2017’, quarta edizione del monitoraggio realizzato alla vigilia dell’inizio dell’anno scolastico da Save the Children nell’ambito della campagna ‘Illuminiamo il Futuro’. In 8 regioni italiane oltre il 50% degli alunni, piu’ di un bambino su 2, non ha la possibilita’ di accedere al servizio mensa e la forbice tra Nord e Sud continua a essere ampia, con 5 regioni del Meridione che registrano il numero piu’ alto di alunni che non usufruiscono della refezione scolastica: Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (69%), Campania (65%) e Calabria (63%). Quattro di queste registrano anche la percentuale piu’ elevata di classi senza tempo pieno (Molise 93%, Sicilia 92%, Campania 86%, Puglia 83%), superando ampiamente il gia’ preoccupante dato nazionale, stando al quale circa il 69% di classi non offre questa opportunita’. In quattro delle stesse regioni si osservano anche i maggiori tassi di dispersione scolastica d’Italia (Sicilia 23,5%, Campania 18,1%, Puglia 16,9%, Calabria 15,7%). “Anche quest’anno i dati confermano che l’offerta del servizio di refezione e del tempo pieno ha un valore essenziale in azioni come il contrasto all’abbandono scolastico – commenta Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia Europa – la mensa, oltre a svolgere una funzione cruciale nell’educazione alimentare, rappresenta non solo un mezzo di inclusione e socializzazione fondamentale, ma anche uno strumento per combattere dispersione e indigenza. Non dimentichiamo che in Italia la poverta’ minorile e’ in costante aumento: e’ un dovere investire sul servizio di mensa scolastica, garantendo un pasto proteico al giorno a quel 5,7%5 di bambini che non ha altro modo di consumarlo”.

Per il terzo anno consecutivo, all’interno del rapporto Save the Chidren ha analizzato la proposta di refezione scolastica per le scuole primarie di 45 Comuni capoluogo di provincia con piu’ di 100mila abitanti: il servizio mensa non e’ presente in modo uniforme nelle scuole dei territori, solo in 17 Comuni e’ disponibile in tutti gli istituti primari. Sono Reggio Calabria, Siracusa e Palermo le citta’ in cui la refezione scolastica e’ presente in un numero di scuole inferiore al 10%. Osservando invece il numero di alunni che ne usufruisce, e’ stato rilevato che 17 Comuni offrono la mensa a meno del 40% dei bambini, con cifre al di sotto del 5% nei Comuni gia’ menzionati: Reggio Calabria e Siracusa con beneficiari del servizio sotto alla soglia dell’1% e Palermo con poco piu’ del 2%. In quattro Comuni, invece, a fruirne e’ il 100% degli alunni (Cagliari, Forli’, Monza, Bolzano). “Fino a quando le amministrazioni locali continueranno ad avere piena discrezionalita’, esisteranno delle disparita’. Non solo: il servizio potrebbe non essere garantito affatto nel caso in cui l’amministrazione fosse in difficolta’ finanziaria. Messina – osserva ancora Raffaella Milano – e’ emblematica in tal senso, perche’ il servizio non e’ stato erogato a causa di motivi connessi al bilancio. Per questo continuiamo a chiedere con forza la riqualificazione della mensa da servizio a domanda individuale a servizio pubblico essenziale, proseguendo lungo il percorso avviato col IV Piano Nazionale Infanzia. Il servizio mensa deve essere garantito in modo uniforme: a prescindere dalla provenienza e dalla condizione economica, ogni bambino deve poterne usufruire”. Molto variabili anche agevolazioni e tariffe per il servizio di refezione scolastica: un quarto dei Comuni afferma di non prevedere l’esenzione totale dal pagamento della retta ne’ per reddito, ne’ per composizione del nucleo familiare, ne’ per motivi di carattere sociale. Di questi, 89 ammettono tale possibilita’ solo in caso di disagio accertato tramite la segnalazione da parte dei servizi sociali. Tre (Bolzano, Padova e Salerno) escludono anche questo tipo di eccezione. Per quanto riguarda le agevolazioni, sono comunque disomogenee, con l’applicazione di criteri diversi e che sommano, in taluni casi, le soglie reddituali a motivazioni di natura familiare o sociale. La residenza, inoltre, continua a essere un requisito restrittivo per l’accesso alle agevolazioni in 27 dei Comuni esaminati (piu’ della meta’).

Nei Comuni monitorati le tariffe massime variano dai 2,30 euro (Catania) ai 7,28 (Ferrara), mentre quelle minime vanno da 0,30 (Palermo) a 6 euro (Rimini). Il risultato di questa disomogeneita’ e’ che, per esempio, la tariffa minima di Rimini (6) corrisponde quasi al triplo della tariffa massima prevista a Catania (2,30). Una famiglia con un reddito annuale medio (Isee 20mila euro) pagherebbe una tariffa uguale o inferiore a 3 euro in 8 Comuni, mentre in 13 sarebbe applicata loro una tariffa uguale o superiore a 5 euro. Un nucleo con reddito annuale basso (Isee 5mila euro) sarebbe esentato dal pagamento in 9 Comuni, a Rimini, Bergamo, Modena e Reggio Emilia pagherebbe una tariffa superiore a 3 euro. Nel corso dei tre anni di monitoraggio alcuni Comuni hanno apportato delle modifiche verso una maggiore equita’, grazie alla riduzione delle tariffe minime: e’ il caso di Bergamo (-1,50 in tre anni) e Livorno (-1,20) o di quelle citta’ che, nonostante il lieve aumento delle tariffe massime, hanno comunque diminuito le minime (Brescia, Andria, Monza). Dismomogenea, inoltre, la compartecipazione delle famiglie ai costi: varia da un massimo nei comuni di Bergamo, Forli’ e Parma, che riferiscono di caricare sulle famiglie il 100% circa del costo, a un minimo dichiarato da Bari (30%), Cagliari, Napoli e Perugia (35%). “Queste differenze nell’accesso e nelle tariffe sono dannose: hanno contribuito, per esempio, a far si’ che molte famiglie preferissero per i figli il panino da casa alla mensa; molti alunni sono per questa ragione costretti a consumare il pranzo da soli. Per loro il pasto diventa un momento di isolamento invece che di socialita'”, afferma Antonella Inverno, responsabile Unita’ Policy&Law Save the Children.

Fattore di forte discriminazione, poi, e’ anche la scelta di 9 Comuni monitorati di non consentire l’accesso al servizio mensa ai quei bambini la cui retta non e’ stata pagata regolarmente: ai bambini i cui genitori o tutori sono in ritardo col pagamento e’ imposto di mangiare in classe e a volte subiscono l’umiliazione del tornello che, per via della tessera mensa non ricaricata, impedisce la loro entrata nel locale. Sono 35 i Comuni che, invece, non si rivalgono sugli alunni in caso di insolvenza, attivando la procedura di recupero crediti senza la sospensione del servizio. Il rapporto ‘(Non) Tutti a Mensa 2017’ riporta anche i risultati dell’indagine condotta nell’ambito di ‘Fuoriclasse’, il programma di contrasto alla dispersione scolastica promosso da Save the Children sul territorio nazionale, che raccoglie l’opinione di 1.656 alunni della scuola primaria di 8 realta’ (Milano, Torino, Napoli, Roma, Scalea, Bari, Ancona e Padova). A piu’ del 59% dei bambini la mensa piace abbastanza (42%) o molto (17%). Al 28% la mensa non piace e al 13% non piace per niente. Dimensioni, rumorosita’ e pulizia sono cause di scontento tra i bambini, ma a influire sul parere, c’e’ anche la percezione della qualita’ del cibo: il 22% lo reputa cattivo al punto di lasciarlo spesso, per il 40% e’ abbastanza buono, per il 26% e’ buono e solo per il 12% e’ ‘cosi’ buono da fare il bis’. Il 57%, inoltre, afferma che il cibo arriva in tavola non riscaldato. Affinche’ tutti i bambini “possano esercitare a pieno il proprio diritto allo studio”, Save the Children ricorda che “e’ indispensabile intervenire in modo organico. Dalla mensa che deve diventare un servizio essenziale, all’accesso ai buoni libro che deve esser assicurato in tempi certi e rapidi, fino alla cessazione della cattiva prassi di render difficoltosa l’iscrizione a scuola per coloro che non pagano i contributi volontari”, conclude Antonella Inverno.

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