Dietro quel faccione affabile, dal sorriso sornione e gentile, si nasconde una maschera a volte leggera, altre inquieta. Mille volti, mille smorfie, mille personaggi da raccontare e vite da sviscerare. Lui che comico e’ sempre stato, da vero genio creativo ha intuito che non poteva restare incatenato ai soggetti che ha reso mitici, con il rischio di trovarsi condannato al tormentone, alla banalita’ della ripetizione ossessiva della battuta, al pericolo di regredire alla macchietta. Carlo Verdone, 70 anni il prossimo 17 novembre, e’ l’archetipo perfetto dell’attore innovativo, capace di reinventarsi ogni giorno. Perche’ se oggi si celebra il grande attore lo si deve anche a film come “Borotalco”, “Acqua e sapone”, “Al lupo al lupo”, “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”, in cui piu’ che alla commedia all’italiana strizza l’occhio al cinema americano.
Il destino di Verdone sembra gia’ segnato dalla nascita. Figlio di Mario, tra i piu’ grandi critici e storici del cinema, cresce in un’ambiente in cui si respira fortemente la settima arte. Di fronte casa sua, nel centro di Roma tra via dei Pettinari e via delle Zoccolette, vive un certo Alberto Sordi, che lui da piccolo avverte gia’ come un mito. Negli anni successivi raccontera’ dei sassi che lancera’ contro la finestra dell’attore e della sorella che furente lo sgrida dal balcone. E’ il primo contatto con quel gigante che in molti hanno tentato di accostargli. Da sempre infatti Verdone viene considerato l’erede artistico di Albertone, per via di quella capacita’ di raccontare i personaggi anche piu’ differenti, di trasportare sul grande schermo vizi e virtu’ di un popolo. Negli anni i due hanno lavorato assieme, come in “Troppo forte” (dove pero’ la prova di Sordi appare sgraziatamente esuberante), e in “Viaggio con papa'”, dal connubio piu’ armonioso.
Di sicuro, e continua lui stesso a ripeterlo, Carlo Verdone ad oggi non ha un vero e proprio erede; forse perche’ troppo diverso dalle nuove generazioni, difficile per altri ripetere una carriera che lo ha portato a misurarsi con prove differenti. Un coacervo di vite artistiche dietro quel volto da italiano che sa prendere in giro e soprattutto prendersi in giro. Gli esordi negli anni ’70. Maturita’ classica al Liceo Tasso, laurea in Lettere alla Sapienza, si accosta al cinema con sperimentazioni quasi di avanguardia, armato di una cinepresa Bolex Paillard vendutagli da Isabella Rossellini. Opere underground di cui non resta nulla dopo che le bobine andarono perse dalla Rai. Ma la sua grande dote e’ stata quella di imitare e rappresentare personaggi; dal salotto di casa finira’ sul palco di un teatro sperimentale, l’Alberichino, dove mettera’ in scena il suo primo spettacolo “Tali e quali”.
A scoprirne il talento fu il critico Franco Cordelli che su Paese sera scrisse una divertita ed entusiasta recensione. Enzo Trapani attirato da quella nomea crescente lo volle in “No stop”, il programma Rai che lancera’ i piu’ grandi comici di quella generazione. Quei personaggi fecero appassionare Sergio Leone che intui’ il potenziale dell’attore, capendo che quel successo in tv avrebbe avuto un seguito anche nelle sale. Nacque con Leone il Verdone attore e regista. Il primo fu un “Sacco bello”, film cult per eccellenza, poi arrivo’ “Bianco, rosso e verdone”. Dopo le due pellicole, che furono un successo, Verdone fu davanti ad un bivio: proseguire sulla strada della comicita’, puntare sul refrain dei personaggi con il rischio di stancare e diventarne ostaggio, oppure dare una svolta? Opto’ per la seconda soluzione, complice la sponda di Mario Cecchi Gori azzardo’, si gioco’ la carta della comicita’ matura priva di macchiette.
“Borotalco” e’ il film che ha dato una sterzata alla sua carriera; poi arriveranno “Acqua e sapone”, “Io e mia sorella”, “Compagni di scuola”, film corale che va annoverato tra le prove piu’ difficili e ben riuscite di Verdone, considerato “Il grande freddo” italiano. Ed ancora titoli come “Stasera a casa di Alice”, “Al lupo al lupo”, “Perdiamoci di vista”. Verdone in queste pellicole continua a fare ridere, ma stavolta tinge le storie con una leggera pennellata di malinconia. Non nasconde le fragilita’, e’ del racconto l’eroe anti-eroe, un po’ romantico ma decisamente goffo, non si vergogna delle debolezze, gioca con le proprie paure, i tic, le frustrazioni tipiche dell’uomo. Di alcuni tipi non ne estremizza mai i sentimenti, non li carica all’eccesso di valori, non li polarizza, portando sul grande schermo le insicurezze ma sempre con pudore.
Il 2020 non e’ stato certamente il suo anno fortunato; oltre il film ritirato anche un delicato intervento chirurgico alle anche che ha superato brillantemente. Lui che comunque con la medicina ha sempre avuto un ottimo rapporto. Della sua passione per la scienza medica e di una buona conoscenza della letteratura farmaceutica (e’ cosi’ sapiente da fornire consigli agli amici alle prese con piccoli disturbi), ha pure connotato alcuni film come “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”, sublime opera dedicata alle ansie dei tempi moderni. Nonostante un 2020 sciagurato, Carlo Verdone puo’ essere considerato un uomo fortunato, forse baciato dalla buona sorte grazie a quel secondo nome- talismano che e’ Gregorio (a Roma si dice “Un gran Gregorio” per significare una grande fortuna), che gli e’ stato messo appunto per evitare che la data della sua nascita, venerdi’ 17, potesse segnarlo per sempre.
Di sicuro la sua e’ stata una carriera lunga e fausta, ma non si puo’ dare il merito soltanto alla sorte. Perche’ Verdone e’ stato e restera’ uno straordinario talento. Capace di reinventarsi ma soprattutto ligio ad un dovere che ha assolto senza pecche: riuscire a fare sorridere. Un attore “troppo forte”, che ha regalato film un “sacco belli”.

