RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO.
Questo articolo si propone di analizzare brevemente i principi fondamentali
La nascita della Repubblica. Il 2 giugno è una giornata celebrativa nazionale italiana, istituita per ricordare la nascita della Repubblica. Nonostante la Cassazione avesse proclamato ufficialmente la nascita della Repubblica italiana il 18 giugno 1946, la Festa fu fissata nel giorno del Referendum istituzionale, quando gli italiani vennero chiamati a pronunciarsi per decidere sulla forma di stato da dare al Paese. Pochi giorni dopo (il 28 giugno), venne eletto il Primo Presidente con il titolo di Capo provvisorio dello Stato ed iniziarono i lavori per l’Assemblea costituente, al termine dei quali venne proclamata la Costituzione Repubblicana.
L’esito della consultazione popolare “è stato l’atto creativo della nuova forma di Stato repubblicana ”:un potere costituente che ha “costituito”, per l’appunto, la nuova forma di Stato. Politicamente fu De Gasperi a proporre il referendum popolare, e giuridicamente fu il decreto luogotenenziale numero 151 del 25 giugno 1944 a stabilire che: “dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano, che a tal fine eleggerà, a suffragio universale, diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato”.
L’esito referendario fu tuttavia accompagnato da molte polemiche: anche se la vittoria fu abbastanza netta, questa non fu schiacciante, e non mancarono i dubbi sul fatto che quel margine fosse il risultato di brogli. Queste critiche tuttavia non riuscirono a delegittimare la Repubblica, perché, anche se si fosse provato che quel margine fosse stato frutto di brogli, la Monarchia non si sarebbe comunque salvata: essa si identificava nel Risorgimento e nei suoi plebisciti, non in un referendum che divideva il popolo a metà. Era ormai avvenuto il passaggio irreversibile ad una sovranità popolare, quindi che appartiene al popolo, un popolo libero che oramai si identificava nella nuova forma di stato: la Res- publica. Il referendum infatti fu indetto al termine della Seconda guerra mondiale, qualche anno dopo la caduta del fascismo, sostenuto per più di 20 anni dalla famiglia reale (cosa di cui si resero conto lo stesso Re e la gran parte degli elettori che avevano votato monarchia). Per entrambi i motivi, la Repubblica non fu mai minacciata.
L’Italia nel 2 giugno rinasce libera (dal fascismo) e repubblicana, ed oggi, quella del 2 giugno è forse la più popolare tra le feste nazionali.
- L’identità repubblicana e la non revisionabilità dell’art. 139
La Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, postula in 139 articoli i principi e la struttura della forma di governo repubblicana. Tra questi principi, alcuni non possono essere revisionati: pena la modifica non solo della forma di Stato, ma dell’identità stessa della Repubblica. L’art. 139 è un limite esplicito alla revisione costituzionale, secondo il quale “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Non fu semplice tuttavia postularne la non revisionabilità in Assemblea costituente.
Successivamente, anche se la dottrina maggioritaria ne ha sostenuto la non revisionabilità – sia dell’art. 139, sia dei principi fondamentali ad essa riconnessi- una dottrina minoritaria escogitò la possibilità della doppia revisione, una revisione cioè da attuarsi in due tempi:
- In un primo tempo si abrogherebbe l’art. 139 con le modalità previste con l’art. 138,
- In un secondo tempo si abrogherebbero gli articoli fondamentali.
Tale teoria fu largamente criticata, a favore della tesi sull’ impossibilità della revisione, il Mortati sostenne che “[L’articolo 139] ha inteso, come risulta dalla sua formula, sottrarre la forma repubblicana non solo al procedimento di revisione previsto dall’articolo 138, ma ad ogni altra specie di revisione che risultasse altrove regolata dalla costituzione, o che dovesse essere disposta in avvenire”. Tale tesi, è stata poi affermata dalla giurisprudenza costituzionale, nella celebre sentenza 1146/ 1988, la quale, indicando la forma repubblicana quale limite assoluto ed esplicito al potere di revisione, postula l’esistenza di alcuni principi supremi dell’ordinamento costituzionale, i quali, pur non essendo stati menzionati espressamente in costituzione, “appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.
L’esistenza di determinati principi collocati all’apice dell’ordinamento -quindi “supremi”- è oramai una teoria largamente condivisa tra gli operatori del diritto; meno condivise sono le soluzioni volte a stabilire quali siano questi principi, e se questi prevalgano sempre in assoluto, o se vadano bilanciati caso per caso. In ordine a questi principi, quelli che la stessa Costituzione denomina “fondamentali” è certo che rappresentano l’identità stessa della nostra comunità nazionale, un’identità costituzionale che “nasce” dalla sovranità popolare (ex. art. 1) e si “chiude” con la forma repubblicana (ex. art. 139 cost). Se difatti, ex art. 1 “la forma repubblicana è stata scelta dal popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, non può non appartenere all’identità Costituzionale la forma di Stato democratica, e con essa, tutti i corollari e i principi volti a costituirne l’identità. Un’identità nata da una nuova concezione dello Stato: non più solamente lo Stato- Nazione ma lo Stato-Comunità, scaturente dall’esito del processo che ha visto la comunità nazionale (il popolo italiano) ordinarsi in Stato.
- La Repubblica e i suoi simboli
Le feste di una nazione, con il loro corredo simbolico, costituiscono un osservatorio privilegiato per poter ricostruire l’identità e la memoria pubblica di una nazione: “Una nazione racconta se stessa, e plasma i suoi caratteri identitari, anche nella celebrazione di feste ufficiali e ritualizzate”; questo perché durante le feste nazionali -ma anche commemorazioni o altre cerimonie civili- i rituali attivano i simboli di identificazione del popolo (monumenti, bandiere, inni, stemmi), e con essi “la politica recupera la propria matrice “religiosa” nel senso originario e pre-confessionale”. Sono simboli della Repubblica italiana:
- Il Tricolore: è caratterizzato da tre fasce verticali di uguali dimensioni, e si ispira al modello francese del 1790 ove le tre bande uguali rappresentano i tre cardini delle democrazie moderne (di discendenza francese) : libertà, fraternità, uguaglianza. Sui colori, due dei quali (rosso e bianco) provenienti direttamente dai moti napoleonici (e, infatti, comuni con la Francia), ci sono varie interpretazioni: da una parte i prati, le nevi e il sangue versato, dall’altra la speranza, la purezza del popolo e la passione con cui gli italiani hanno sempre combattuto. Il Tricolore ha una propria festa, istituita il 31 dicembre 1996, che si festeggia ufficialmente il 7 gennaio a Reggio nell’Emilia, città dove venne decretato per prima ufficialmente quale bandiera nazionale da parte della Repubblica Cispadana (7 gennaio 1797); contemporaneamente, a Roma, presso il Palazzo del Quirinale, il cerimoniale prevede invece il cambio della Guardia d’onore in forma solenne con lo schieramento e la sfilata del Reggimento Corazzieri in uniforme di gala e della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a cavallo.
- L’Inno Nazionale: il “Canto degli Italiani”, su libretto di Goffredo Mameli e musiche di Michele Novaro, scritto nel Risorgimento, fu scelto per l’Italia repubblicana quale inno provvisorio. La questione fu quasi del tutto trascurata in Assemblea costituente e, nonostante numerosi progetti di legge, sino al 2017 lo era soltanto de facto, non de iure. Degno d’essere ricordata è l’impegno del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi volto alla valorizzazione e al rilancio dell’Inno quale simbolo d’identità nazionale.
- L’emblema: fu adottato soltanto il 5 maggio del 1948, dopo l’espletamento di un concorso pubblico. È caratterizzato da quattro elementi: la stella (personificazione dell’Italia), la ruota dentata (simbolo dell’attività lavorativa, traduce in modo figurato l’art. 1 della Costituzione), i rami di ulivo (simbolo di pace) e la quercia (incarna la forza e la dignità del popolo italiano). Questi ultimi sono espressione delle specie floreali più tipiche.
- Lo stendardo: costituisce il segno distintivo della presenza del Capo dello Stato e segue perciò il Presidente della Repubblica in tutti i suoi spostamenti. In realtà, subito dopo la proclamazione della Repubblica, il simbolo provvisoriamente adottato a questo fine fu proprio la bandiera nazionale e lo stendardo arrivò solo nel 1965.
I simboli di una Nazione non possono che rifletterne l’identità, tuttavia, tra questi simboli, l’unico ad esser stato costituzionalizzato è quello della bandiera, a chiusura dei principi fondamentali. Che funzione ha avuto e continua ad avere la sua costituzionalizzazione? Prima di procedere all’analisi della funzione dell’art. 12, si vuole qui brevemente sottolineare come, nelle democrazie occidentali, il simbolo costituzionalizzato per eccellenza sia proprio la bandiera (Germania, Francia, Austria, Portogallo), tuttavia non manca in talune costituzioni (Francia e Portogallo) la costituzionalizzazione anche dell’inno. Peculiare il caso della Spagna che costituzionalizza sia la bandiera Nazionale che quelle delle Comunità autonome, riflettendo la sua peculiare attenzione alle esigenze autonomistiche.
- L’art. 12 ed il Tricolore
“La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali e di uguali dimensioni”. L’art 12, collocato in Costituzione quale ultimo principio fondamentale sembra essere un intruso, quasi un “falso” principio fondamentale tant’è che né la dottrina, né la giurisprudenza si sono soffermati molto su tale articolo. Gli stessi Costituenti dubitarono del suo inserimento in costituzione: il presidente Umberto Tupini domandò espressamente se fosse proprio necessario un articolo sulla bandiera, e, Mario Cevalotto rispose proprio che “tutte le costituzioni hanno un articolo sulla bandiera”. Non solo, ma la stessa attuazione dell’art. 12 della Costituzione è relativamente recente, in ordine alla legge n. 22 del 1998 (Disposizioni generali sull’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea), che si dichiara adottata in attuazione proprio della suddetta norma costituzionale. Prima di questo intervento legislativo la materia continuava ad essere regolamentata dalla previgente normativa (r.d.l. n. 2072/1923), salvo un intervento di normazione secondaria, il d.p.c.m 3 giugno 1986. Un’altra disposizione da menzionare a suggello dell’importanza della simbologia è la tutela penale, ove viene previsto il “vilipendio alla bandiera”.
La tutela del Tricolore è una tutela ad ampio raggio nel nostro ordinamento: dalle norme vigenti prima dell’ordinamento costituzionale per poi trasformarsi ed erigersi a vessillo della conquista repubblicana. La Corte costituzionale ha spiegato con una specifica sentenza questa transazione di significato: la n. 189 del 1987,ove esprime il superamento della bandiera nazionale quale mero “simbolo di sovranità nazionale” (la mera sovranità dello Stato-Nazione, identificato con lo stato fascista) Nell’ordinamento democratico pluralista difatti, la bandiera nazionale non è più soltanto il simbolo dell’unità statale, ma anche e soprattutto dell’identità democratica, in quanto tale aperta al “confronto con le idealità perseguite da popoli di altri Stati e da Nazioni diverse”.
La bandiera difatti è sia simbolo della sovranità esterna dello Stato (volta a distinguersi dagli altri stati), ma anche di sovranità interna (volta a simboleggiare ed evocare il popolo, quale soggetto giuridico titolare della sovranità). Non solo, essa è simbolo di identità storica, evocando “il sentimento di un vincolo comunitario [..] essa mette in contatto i vivi con i morti”. Ed è proprio quale evocazione dell’identità storica che si erge a simbolo di unità.
Un’unità che non può essere divisa, ed è proprio una recente sentenza della Corte costituzionale che erge l’art. 12 a tutela dell’identità nazionale, dell’unità. La sentenza 183 del 2018 ha difatti avuto ad oggetto la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni di una legge regionale del Veneto (n. 28 del 2017), la quale, nell’ottica della rivendicazione della propria autonomia, aveva predisposto l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici adibiti a sede di amministrazioni statali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi. Al fine di dichiarare che non era meritevole di tutela la pretesa della Regione di imporre l’uso di segni ad organi ed enti che pur operando in maniera decentrata “sono espressivi di una collettività distinta e più vasta”, opera una ricostruzione del simbolo del Tricolore, richiamando la sua stessa sentenza (189 del 1987), nell’ottica di una ricostruzione dell’identità democratica nazionale.
La sua peculiare collocazione (a chiusura del catalogo dei diritti fondamentali) ha indotto parte della dottrina a considerarlo non revisionabile in quanto componente essenziale del patto repubblicano. La ragione risiederebbe nel sottrarre tale disposizione (e i valori che racchiude) alle possibili modifiche o strumentalizzazione da parte delle maggioranze politiche, garantendo la neutralità ideologica dell’inno: “simbolo ed epitome di valori condivisi”.
La peculiare collocazione all’interno della costituzione ne evidenzierebbe il rapporto endiadico tra il simbolo e i principi fondamentali dell’ordinamento, perché essa è, al tempo stesso “simbolo della Repubblica, quale simbolo di significazione politica, e simbolo dello Stato, di significazione giuridica”. Tale connubio si è avuto con l’istituzione di un’apposita giornata celebrativa nazionale: la “Giornata nazionale del Tricolore”, istituita a sigillo giuridico di un’ identità politica unitaria.
In questa visione, cui la bandiera «è una vera e propria decisione costituente, non solo nel senso (ovvio) che è stata presa dall’Assemblea costituente, ma anche in quello, più proprio, che è una decisione fondamentale sulla forma e sulla sostanza del patto repubblicano», ci appare qui concludere che sia da considerarsi quale principio supremo dell’ordinamento e come tale, non revisionabile, pena l’emersione di un nuovo assetto costituente, di una nuova forma di Stato, ove la bandiera continuerebbe ad assurgere a simbolo storico, non più a simbolo democratico.
La sua peculiare collocazione è volta a riflettere tutto questo, e, se è vero che il diritto pubblico è considerato come “il diritto di uno stato qualsiasi anche non libero, mentre diritto costituzionale è il diritto dello stato libero”, non è un caso che il Tricolore sia stato inserito proprio nella Costituzione: una bandiera “libera”, di un popolo- finalmente- libero.
Calogero Jonathan Amato, Giurista

