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L’approfondimento. Mafia: 57 arresti nell’agrigentino, anche un sindaco. Sistema articolato, decapitate 15 cosche

Robin Hood

L’approfondimento. Mafia: 57 arresti nell’agrigentino, anche un sindaco. Sistema articolato, decapitate 15 cosche

Lun, 22/01/2018 - 17:29

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Una mafia ortodossa, antica, rigida e chiusa. Cosi’ antica da non volersi chiamare neppure mafia, “che e’ sbagliato”, “ma Cosa nostra” che “e’ tutto”. Affidabile, determinata che “spaventa tutti. Altro che i palermitani”. Eccoli ‘gli agrigentini della montagna’, cosi’ strutturati da essersi costituiti in un mandamento a parte. Ma che e’ stata colpita, demolita e decapitata duramente in una operazione – denominata appunto ‘Montagna’ – che i magistrati hanno definito “monumentale”. Cinquantasette gli arresti compiuti, spiegano i carabinieri del comando provinciale di Agrigento, coordinati dalla Procura di Palermo: le accuse sono, a vario titolo, quelle di associazione di tipo mafioso armata, finalizzata alle estorsioni, al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Vengono anche contestati l’intestazione fittizia di beni aggravata, lo scambio elettorale politico-mafioso, il concorso esterno in associazione mafiosa ed il favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Disarticolati i mandamenti di Santa Elisabetta e Sciacca, nonche’ sedici famiglie mafiose della provincia. Documentati stretti collegamenti con i vertici delle cosche di quasi tutta la Sicilia e con le ‘ndrine calabresi. Accertate estorsioni ai danni di 27 aziende e un fiorente traffico di droga. Il pizzo veniva preteso anche dalle cooperative per la gestione dei richiedenti asilo. In manette il sindaco di San Biagio Platani, Santino Sabella, autodichiaratosi “a disposizione”, agevolatore di affari e di appalti che con i clan avrebbe stretto anche un patto elettorale. E poi le estorsioni, a tappeto, nel silenzio delle vittime. Disposto il sequestro preventivo, per un valore di circa un milione di euro, di sette societa’ dei settori edili e del movimento terra, delle scommesse e della distribuzione di slot machines.

PALERMITANI ALLO SBANDO. “La provincia di Agrigento e’ piu’ seria. I palermitani sono come sono… le persone c’erano, ce n’erano una decina di affidabili. A Palermo non ci sono piu’ persone affidabili, se ce n’e’ ancora qualcuna, non lo so. Io posso arrivare fino a Corleone, dove ci sono persone con la testa sulle spalle, che ti dicono una cosa ed e’ una cosa”. La sfiducia verso Cosa nostra palermitana, considerata ormai allo sbando, senza piu’ una direzione vera, soprattutto dopo la morte di Toto’ Riina, e’ uno degli elementi che emergono dalle intercettazioni.
E’ venuto fuori anche, come ha spiegato il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi “una sorta di decalogo, un manuale del buon mafioso o del buon estorsore. C’e’ un mafioso che riesce a definirsi il ‘fiore all’occhiello’ della mafia siciliana, criticando addirittura il venir meno nella provincia palermitana di personaggi affidabili”.

PRIMO CITTADINO ‘A DISPOSIZIONE’. Santo Sabella, arrestato per voto di scambio politico-mafioso, e’ accusato di “avere concordato le candidature da presentare sia nella lista a suo sostegno in occasione delle elezioni comunali, che in quelle allo stesso contrapposte”. “I comunisti… non lo possiamo permettere e sti grillini… se ci dividiamo loro sono favoriti…”, diceva intercettato. Per i magistrati avrebbe garantito ai capimafia “agevolazioni nella gestione degli appalti pubblici banditi dal Comune”. “Ci siamo visti per Pasqua – dice non sapendo di essere captato dalle cimici delle forze dell’ordine – loro sono venuti qua… erano quasi fuori da questa gara e io mi sono messo a disposizione”. Avrebbe cosi’ esercitato “indebite pressioni nei confronti delle imprese esecutrici dei lavori appaltati dal Comune e in occasione della Festa degli Archi di pane”. Gli inquirenti contestano al sindaco pure di avere avvertito il boss reggente di San Biagio Platani Giuseppe Nugara della stringente attivita’ di controllo attuata nel territorio, anche attraverso un sistema di videosorveglianza diffuso. Insomma, rapporti compromettenti che avrebbero definito un quadro pesante di collegamenti tra mafia e politica in questa porzione dell’Agrigentino.

PIZZO SU MIGRANTI. ASSE CON ‘NDRANGHETA. “SI SPAVENTANO TUTTI”. Un rullo compressore la mafia di Agrigento. Non e’ solo una questione di prestigio. Si tratta soprattutto di affari. Il pizzo, a esempio, fonte irrinunciabile di introiti, non risparmia nessuno: neppure le cooperative che si occupano dell’accoglienza dei migranti; nei confronti di due amministratori veniva pretesa, da un lato, l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa e, dall’altro, una percentuale per ogni ospite.
Le telecamere dei carabinieri hanno registrato incontri e riunioni segrete, evidenziando la completa ed attuale interconnessione tra i capi mandamento, i boss delle famiglie mafiose di quasi tutte le province siciliane e persino esponenti delle ‘ndrine calabresi. Gli investigatori hanno poi svelato una fitta rete di estorsioni. Emblematica e’ la conversazione intercettata, in cui i capi famiglia affermano: “Certi negozi vogliono fatto lo sconto. Se dobbiamo prendere sempre il coltello, quelli saltano il vallone e se ne vanno dall’altra parte. In sostanza ci deve essere la molla… stringi e allarghi, come l’elastico!”. Documentate richieste di pizzo ai danni di 27 societa’ appaltatrici di opere pubbliche di ingente valore. E i boss a ripetere: “Si spaventano tutti”.

In dieci casi, la “messa a posto” e’ andata a buon fine. La pretesa andava dai 2000 ai 20.000 euro. Per realizzarle, gli indagati hanno posto in essere i piu’ disparati atti intimidatori, fino ad arrivare all’incendio doloso di diverse macchine operatrici. Le ditte prese di mira sono soprattutto quelle del settore edile e del movimento terra e vengono dalle province di Agrigento, Palermo, Caltanissetta, Messina, Enna e Ragusa. I lavori erano stati commissionati da varie amministrazioni comunali nei piu’ disparati territori delle province di Agrigento, Palermo ed Enna. La messa a posto e’ stata tentata pure per una ditta incaricata dei lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione stradale a Lampedusa.

DEMOLITA LA ‘MONTAGNA’. Gli inquirenti ritengono che, “in un colpo solo, sia stato decapitato il vertice di Cosa nostra agrigentina”. Le indagini hanno pienamente fatto luce sugli attuali assetti organizzativi e gestionali dei mandamenti mafiosi di Sciacca e di Santa Elisabetta. Ma hanno anche documentato l’esistenza di un nuovo mandamento, quello, appunto, della “Montagna”, da cui, tra l’altro, prende il nome l’operazione. Il nuovo mandamento e’ risultato essere il frutto di una scelta fatta nel 2014 dal 37enne Francesco Fragapane, figlio di Salvatore, quest’ultimo gia’ capo provincia di Cosa Nostra agrigentina e da sempre in strettissimi rapporti con Toto’ Riina. Il rampante erede, poco prima di essere arrestato, mise il mandamento di Santa Elisabetta nelle mani del 78enne Giuseppe Luciano Spoto, capo famiglia di Bivona, annettendo di fatto tutte le famiglie mafiose dell’area montana agrigentina. E’ stata insomma fatta luce sui vertici di tutti i mandamenti agrigentini e delle sedici famiglie mafiose ad essi collegate. Sono stati infatti arrestati capi ed affiliati di Santa Elisabetta, San Biagio Platani, Bivona, Cammarata e San Giovanni Gemini, Favara, Raffadali, Cianciana, Sciacca, Casteltermini, Castronovo di Sicilia, Alessandria della Rocca, Sant’Angelo Muxaro, Palma di Montechiaro, Capizzi, Caltavuturo e Racalmuto.

LO VOI, “PRESENZA DI COSA NOSTRA ATTUALE E VITALE”. “In assoluto e’ la piu’ grossa operazione antimafia nel territorio agrigentino. Sono state colpite da misura cautelare soggetti provenienti da numerosi Paesi e da numerose famiglie mafiose”, ha detto Lo Voi, facendo luce su uno spaccato che conferma “la ancora attuale e vitale presenza di Cosa nostra nel territorio”. Una organizzazione che, soprattutto nel territorio agrigentino, “si connota per una particolare rigidita’ e chiusura delle sue strutture, ma che continuamente ricerca contatti e mantiene contatti con mandamenti di altre province dell’intero territorio siciliano”.

I NOMI. Al centro dell’inchiesta ci sono Francesco Fragapane, mandamento di Santa Elisabetta; Giuseppe Nugara, reggente della famiglia mafiosa di San Biagio Platani; Giuseppe Quaranta, referente della famiglia di Santa Elisabetta; Giuseppe Luciano Spoto, reggente della famiglia di Bivona; Calogerino Giambrone, Salvatore La Greca e Vincenzo Mangiapane della famiglia mafiosa di Cammarata e San Giovanni Gemini, Pasquale Fanara, della famiglia mafiosa di Favara, Antonino Vizzì. reggente della famiglia di Raffadali; Ciro Tornatore, reggente della famiglia di Cianciana; Salvatore Di Gangi, reggente del mandamento di Sciacca; Giuseppe Scavetto, della famiglia di Casteltermini; Giovanni Gattuso, reggente della famiglia mafiosa di Castronovo di Sicilia.

Tra i coinvolti anche Santo Sabella, sindaco di San Biagio Platani, eletto alle ultime amministrative. I pm della dda di Palermo gli contestano di avere concordato le candidature delle ultime comunali del 2014 con esponenti mafiosi di vertice del suo paese e fatto illecite pressioni nell’assegnazione di appalti.

In carcere finiscono Carmelo Battaglia, Giuseppe Blando, Giorgio Cavallaro, Vincenzo Cipolla, Franco D’Ugo, Giacomo Di Dio, Santo Di Dio, Salvatore Filippo Di Ganci, Angelo Di Giovanni, Vincenzo Dolce, Francesco Maria Antonio Drago, Concetto Errigo, Pasquale Fanara, Francesco Fragapane, Raffaele Salvatore Fragapane, Giovanni Gattuso, Alessandro Geraci, Angelo Giambrone, Calogerino Giambrone, Raffaele La Rosa, Roberto Lampasona, Calogero Limblici, Calogero Maglio, Vincenzo Mangiapane (1954), Vincenzo Mangiapane (classe ’55), Vincenzo Mangiapane (classe ’71), Domenico Maniscalco, Antonio Giovanni Maranto, Pietro Paolo Masaracchia, Giuseppe Nugara, Salvatore Pellitteri (classe ’92), Vincenzo Pellitteri, Luigi Pullara, Salvatore Puma, Giuseppe Quaranta, Pietro Stefano Reina, Santo Sabella, Giuseppe Scavetto, Calogero Sedita, Giuseppe Luciano Spoto, Massimo Spoto, Vincenzo Spoto, Gerlando Valenti, Stefano Valenti, Giuseppe Vella, Salvatore Vitello e Antonino Vizzì.

Arresti domiciliari per Adolfo Albanese, Salvatore La Greca, Calogero Quaranta, Stefano Di Maria, Salvatore Montalbano (classe ’92), Calogero Principato, Marco Veldhuis, Antonio Domenico Cordaro, Francesco Giordano e Domenico Lombardo.

Il giudice Filippo Serio ha imposto l’obbligo di firma a Vincenzo Valenti, Nazarena Traina, Viviana La Mendola e Antonio Scorsone.

Due indagati sono sfuggiti all’arresto perché all’estero. Si tratta di Antonio Licata e Daniele Fragapane.

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