E’ un viaggio nell’orrore quotidiano della violenza contro le donne, l’ultimo libro di Roberta Fuschi, giornalista nissena che, insieme alla collega catanese Patrizia Maltese, ha intervistato per mesi le donne ospitate nel Centro Antiviolenza Thamaia, raccogliendo i frammenti di quell’enorme mosaico che compone l’universo nascosto della negazione della dignità delle donne, i percorsi perversi che portano dalla svalutazione dell’autostima al femminicidio.
Dai racconti delle donne che si sono salvate e che intraprendono il percorso lungo e difficile del recupero emerge un inferno quotidiano di violenze inimmaginabili, che abita dentro le nostre case, in tutti gli strati sociali, senza distinzioni di condizioni economiche e culturali. Un inferno che è difficile guardare da vicino, anche se attraverso i racconti di chi lo ha subito.
Ogni otto minuti nel mondo muore una donna vittima della violenza maschile, una ogni tre giorni in Italia è cancellata dal femminicidio, la parola “sgradevole” che molti hanno fastidio a pronunciare. Ma finchè non hanno un nome le cose sono invisibili e femminicidio è una parola ormai consacrata nella lingua “alta” dall’Accademia della Crusca che l’ha definita “provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito o padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima”.
Il 93% dei colpevoli sono i partner, e ormai la violenza è la prima causa di morte per le donne (con i collegati contagi di AIDS e i suicidi indotti). Il “mancato assoggettamento” di cui parla la Crusca rende bene l’idea della somiglianza con altre forme violente di controllo delle persone e del territorio, quella criminalità mafiosa che allo stesso modo tende a considerare “cose” proprie le persone, che valgono soltanto per l’uso che se ne può fare, negando loro la dignità, la libertà di scegliere, di pensare autonomamente, di esistere.
Soltanto nel 1996 la prima legge in Italia contro la violenza sessuale, fino ad allora considerata reato contro la morale e non contro la persona; soltanto nel 2012 la legge veniva recepita in Sicilia, nella regione in cui per prima Franca Viola aveva rifiutato il matrimonio “riparatore” dopo il rapimento e la violenza, scardinando un altro residuo giuridico tribale che ancora sopravviveva nel nostro codice penale fino a pochi decenni fa. Nel 2013 la legge italiana sulla violenza di genere, ma ancora siamo indietro rispetto alle azioni di prevenzione e di educazione che ne superino le premesse culturali nella mentalità comune.
La violenza contro le donne, la sub-cultura che le vuole reificare, ridurre a cose, negando il loro valore, in nome di un presunto diritto al loro possesso esclusivo e permanente, non è soltanto una questione che riguarda i rapporti personali, ma anche la qualità delle relazioni sociali e quindi della democrazia. Sottomettere l’amore alla logica della violenza inquina tutte le dinamiche del potere e riporta indietro di secoli lo sviluppo delle società umane.
Dall’incipit del libro di Roberta Fuschi una sintesi efficace dello stato delle cose oggi: “Donne che riescono a chiedere aiuto, donne che si chiedono come abbiamo fatto a resistere tanti anni in un clima di terrore, donne che hanno dovuto nascondere ai parenti le violenze subite e hanno subito la violenza di non essere credute da operatori sociali e forze dell’ordine, donne che hanno avuto paura per i loro figli e provato compassione per il loro aguzzino. Donne, però, che ce l’hanno fatta”.

