“Dal basso, verso l’alto. Combattere i nostri demoni interiori per rialzarsi dopo essere stati messi al tappeto dalla vita e vincere: riprendere in mano le redini della propria esistenza. Vincere partendo dal basso è molto più complicato”. La sua è una storia di rinascita, di sport, di vita, di emozioni, di sacrifici e di allenamenti durissimi, di un’esperienza sportiva estrema conosciuta come Ironman. Una filosofia di vita racchiusa in chilometri: 3,86 di nuoto, 180,260 in bicicletta e 42,195 di corsa.
Maurilio Usai, 47 anni di Caltanissetta, istruttore di arti marziali ed allenatore Ironman, in un freddo pomeriggio dicembrino, nella nostra redazione, ci ha raccontato un romanzo “vero” con un minimo comune denominatore: l’amore per lo sport e la consapevolezza di portarsi sempre un passo oltre i propri limiti.
“Ho iniziato a praticare arti marziali da bambino agli inizi degli anni ’80, karate Kyokushinkai con il mitico Maestro Riccardo Villa: tecnica, disciplina ed educazione. Poi con il Maestro giapponese Shinan Wakiuchi. Iniziai la trafila delle gare, miriadi di tornei, fino a giungere al Mondiale in Giappone dove sono riuscito a classificarmi 32° su 250 partecipanti”. Decide di andare avanti fedele alla sua linea di pensiero: trovare i propri punti deboli ed oltrepassarli. Si reca in America e studia il muay thai, torna in Sicilia ed inizia a diffondere questa disciplina: oltre a lui un solo maestro nell’isola. Al via una nuova avventura sui ring con la carriera da professionista di boxe thailandese: combattimenti, titoli anche continentali e tanti allenamenti con la scoperta del nuoto, della corsa e della bici come valido sostegno della preparazione fisica.
L’esperienza e la forte connotazione etica, permeano i suo insegnamenti e la sua attività di Maestro. Nel 2003 si accorge che molti dei suoi allievi storpiano le sue “didattiche”, si chiude in se stesso, decide di allenarsi da solo, inizia ancora una volta un nuovo viaggio interiore. Il destino, come spesso avviene, è in agguato. Una serie di avvenimenti personali devastano la sua esistenza: la morte del padre, un grave problema di salute alla gola, il fallimento di un’attività commerciale, il divorzio. I colpo duri atterranno il maestro-guerriero. Racconta e svela: “Gli amici mi chiamano la Fenice, dalle ceneri risorgo più forte. Ho deciso che dovevo rialzarmi che non potevo restare ancorato, per colpa delle avversità, al fondo della mia esistenza. Forte dello spirito delle arti marziali ho approcciato l’Ironman che con le arti marziali condivide dinamiche mentali. Dovevo ripartire è lo spessore dell’impegno richiesto, ha attivato la mia voglia di tornare a combattere. Basti un dato: per preparare un Ironman servono 48 settimane di allenamenti, con due sedute quotidiane”.
Maurilio Usai riparte e questa volta la distanza da colmare non è solo chilometrica, ma è anche nei pensieri, nella ricostruzione della propria forza interiore. Riscopre la voglia ed il desiderio di tornare ad insegnare arti marziali (siamo nel 2012) e inoltre crea (recentemente) un gruppo di adepti dediti all’Ironman: obiettivo la gara francese a Pays d’Aix in Provenza dell’Ironman 70.3, in programma nel maggio 2017, che ha le seguenti distanze (dimezzate rispetto al full Ironman) 1,9 km di nuoto (1,2 miglia), 90 km in bicicletta (56 miglia) 21,097 km di corsa, mezza maratona (13,1 miglia). La definizione di Ironman 70.3 è il risultato dalla somma delle tre distanze in miglia terrestri (1,2 + 56 + 13,1 = 70.3).
Lui non è soltanto un atleta con all’attivo vari Ironman (full e 70.3) ma anche un allenatore che ha studiato per conseguire la certificazione di Ironman Coaching. Inizia a contagiarci con la sua passione, tira fuori le sue emozioni, coltivate, esaltate, stampate nei suoi pensieri, da centinaia di chilometri (tra gare ed allenamenti) in bici, in mare o piscina e di corsa. “Dovreste vedere, sentire, cosa comporta finire una prova del genere. Quando tagli il traguardo tutta la gente che assiepa il percorso ed incita senza sosta, in coro urla ‘you are an ironman’. Poi ti consegnano una maglietta, solo tua, in cui c’è scritto ‘finisher’: certifica che hai completato la gara. Una scarica di adrenalina”. Racconta l’enorme organizzazione di una competizione di questa tipologia: i punti ristoro con cibo, acqua e bevande isotoniche; le centinaia di volontari lungo il percorso; dopo il traguardo, i gazebo, l’assistenza medica, le flebo, un universo che si muove coordinato. Sgombera il campo immediatamente dallo spauracchio dei “prodotti vietati”: in ogni gara controllo doping obbligatorio per i professionisti ed a campione per gli age-group (non professionisti). “Dopo l’ultima gara a Palma di Maiorca, ero in compagnia di un altro italiano, torniamo in albergo per preparare i bagagli e poi andiamo in un locale a cena. Indossavamo la t-shirt finisher, la gente ha iniziato ad applaudirci e tutti ci hanno aiutato a sistemare le valige in auto, a spostare le bici: è stato davvero incredibile”.
Lui vuole sottolineare la differenza tra preparare e gareggiare in un ironman, esperienza fattibile e gratificante, è essere un ironman come lifestyle. Curare l’alimentazione, non saltare mai gli allenamenti quotidiani, vivere a contatto con il confine dei propri limiti: torna ad evidenziare la vicinanza con lo spirito delle arti marziali. “Non è per tutti, richiede impegno. Il mio sogno è qualificarmi per il mondiale che si svolge ogni anno alle Hawai a Kailua-Kona. Serve l’invito che si guadagna acquisendo slot durante le gare cui partecipi. Proprio lì nacque l’uomo di ferro nel 1978 sotto gli ombrelloni di paglia di un bar. John Collins, ufficiale dell’US-NAVY, discuteva con un gruppo di amici su quale fosse la più dura delle prove sportive tra quelle che si disputavano sul posto: i 3,8 Km di nuoto della Waikiki Rough Water; i 180 Km in bicicletta della Around Oahu Bike Race; i 42,192 Km di corsa della Honolulu Marathon. Non arrivando ad un accordo Collins e i suoi amici inventarono una supergara che includesse tutte e tre le discipline, una di seguito all’altra e la chiamarono Ironman”.
Maurilio avverte che la prima sfida è con se stessi: serve rigore e volontà, la stessa volontà che ti porta ad accettare gli oltre 8 mesi di allenamenti per preparare la gara. Non si toglie tempo al lavoro o alla famiglia. “Le ore di una giornata non sono mai abbastanza per un Ironman, si sacrifica il sonno. Mia figlia Rachele, 9 anni, cammina con una maglietta con la scritta future Ironman. Ha le idee chiare, pratica nuoto ed è davvero ordinata, attenta, meticolosa. Mio figlio David, 11 anni, gioca a pallavolo, anche lui è interessato alle mie gare. Spero quanto prima di poterli portare con me per offrirgli la possibilità di toccare con mano questa disciplina che ha un ambiente incredibilmente familiare. Figli che sostengono padri o madri e viceversa, tutti insieme in un clima festoso, gioioso e di grande empatia. Anche viverlo da fuori, arricchisce enormemente”.
Guarda improvvisamente l’orologio, sorride e mi avverte: “E’ tardi, devo andare ad allenarmi”. La disciplina, la regola come bussola nella vita: “Non cedere mai di un millimetro, essere disciplinati, non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e comunque rialzarsi sempre dopo ogni colpo. Alla fine, la grande sfida della vita consiste nel superare i nostri limiti”.

