Nella Sicilia di fine ‘800 Verga raccontava che gli uomini si distinguono in “berretti” (i contadini) e “cappelli” (i proprietari e i borghesi), affidando ad un capo di abbigliamento la rappresentazione sociale di chi lo indossava. Nel ‘900 della società di massa gli intellettuali europei facevano saltare questa contrapposizione e adottavano il basco, (in fondo una versione internazionale della “coppola” siciliana, senza visiera e orientata di lato), copricapo di origine popolare degli operai della Spagna del nord. Interclassista e unisex, da Picasso a Ungaretti, da Nenni a Che Guevara, da Greta Garbo a Marlene Dietrich, dai partigiani della guerra di Spagna ai repubblichini di Salò, il basco ha attraversato la storia e il costume del ‘900 connotando le personalità che lo indossavano con uno stile informale e impegnato, anticonformista e battagliero, sicuramente alternativo e antiborghese.
Anche per questo è significativo il titolo dell’ultimo libro di Walter Guttadauria: “L’uomo dal basco”, edizioni Lussografica, una biografia dedicata a Nicolò Granata, artista eclettico del ‘900 nisseno, pittore, grafico, designer, caricaturista, protagonista di una vicenda culturale ed umana di grande interesse, che ha attraversato con la sua vita il secolo scorso con una esperienza originale che ha coniugato arte ed economia, bellezza e promozione pubblicitaria, ironia e ricerca stilistica di forme nuove.
Granata (1901/1985) è stato il primo a realizzare, a partire dagli anni Venti, una produzione artistica legata alla promozione commerciale: decine di marchi di aziende (Lussografica, l’impresa di famiglia, è stata una sua invenzione), progetti di vetrine, insegne, facciate di negozi in tutta la Sicilia, prime prove di arredo urbano, e un’infinità di immagini pubblicitarie connotate da un design elegante, di grande impatto comunicativo ma con un retroterra culturale evidente.
Del resto, all’attività legata all’economia Nicolò Granata, il professore per i nisseni, aveva affiancato per tutta la vita una produzione pittorica rilevante, che è richiamata nel libro da una sezione di immagini che riproducono i suoi quadri migliori, preceduta da un accurato testo critico di Franco Spena.
Fortemente legato alla sua città, nato nel cuore del centro storico, a due passi dal Santuario del Signore della Città nella chiesa che anticamente si chiamava di San Nicolò: da questo il suo nome di battesimo. In quella strada la sua famiglia gestiva un panificio, e da qui il legame primigenio tra produzione e commercio che il pane da sempre rappresenta, insieme al legame sociale profondo che intorno al pane si costruisce nelle comunità.
Nell’antica scuola San Giusto Granata frequenta le scuole elementari, allievo del mitico maestro Lo Monaco, rimasto nella memoria di generazioni di nisseni per la bacchetta quadrata con cui accarezzava le nocche dei più discoli in caso di necessità. E già dai banchi scuola la sua matita veloce schizzava disegni e figurine, portandolo giovanissimo all’Accademia delle Belle Arti di Palermo in cui perfeziona il suo talento naturale con la padronanza delle tecniche più elaborate del disegno creativo.
Negli eventi significativi della città tra le due guerre la matita affilata di Granata porta il segno di una presenza vivace: dalla prima edizione della Coppa Nissena di automobilismo al processo per l’omicidio di Gigino Gattuso, al processo contro il locale segretario del Fascio e deputato Damiano Lipani, le caricature dei protagonisti, rappresentazioni psicologiche più efficaci delle fotografie, immortalano i partecipanti con uno stile ironico ed elegante, dalle pagine de “La Vespa”, della “Sicilia Nuova”, del “Lumicino”, sicuramente facendo discutere gli ambienti sociali della città, e portando nella formazione dell’opinione pubblica nissena uno sguardo non conformista, una lettura antiretorica di uomini e situazioni, anche negli anni della dittatura fascista che certamente non concedeva spazi alla libertà di stampa.
Ed è proprio legata al fascismo la curiosità più interessante del libro e della mostra delle opere di Granata che nelle sale del Museo Diocesano ne ha accompagnato la presentazione: il ritratto di Mussolini, un ritratto double-face, sicuramente unico nella storia della ritrattistica ufficiale, dipinto su entrambi i lati della tela con due immagini molto diverse del Duce. Il ritratto gli era stato commissionato dai gerarchi locali in occasione della visita a Caltanissetta del capo del fascismo nel 1937 e Granata aveva raffigurato il Duce con la marsina gallonata e la feluca dell’Accademia d’Italia, ma non era piaciuto ai committenti. Troppo diverso dalle immagini tradizionali del Duce, forse, per i nisseni, troppo simile ad un Capitano della Maestranza piuttosto che al capo supremo del regime.
Dovendolo rifare, Granata scelse di risparmiare sulla tela, e dipinse la seconda versione sul retro della prima, che, non essendo trattato, richiese un uso massiccio del colore dando come risultato una pittura materica dai toni marcati, che rendevano ancora più truci lo sguardo e l’espressione del Duce e vicine allo stile del Futurismo le suggestioni simboliche del dipinto.
Una sorta di ritratto di Dorian Gray involontario, un Mussolini ritratto con le espressioni differenti dell’ufficialità coreografica del potere e della sua inquietudine quotidiana. Un ritratto involontariamente profetico, anche per un altro motivo: per dipingere la seconda versione, Granata capovolse la tela, e il Duce risultò dipinto a testa in giù. Otto anni prima che nella storia.

