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Processione di San Michele: “E ridimmu tutti… ma c’è picca di ridiri”

Michele Spena

Processione di San Michele: “E ridimmu tutti… ma c’è picca di ridiri”

Ven, 02/10/2015 - 00:00

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imageCALTANISSETTA – Processione del Santo Patrono San Michele Arcangelo.
Fiumi di pensieri, preghiere, speranze. Senso di appartenenza ad una città, spesso aggredita nelle parole, per le tante cose che vorremmo migliori, ma amata nei fatti.
O più semplicemente il desiderio di riappartenerci, abbracciati da tanti, come noi, propiziati dalla magica atmosfera della processione, affidano completamente la propria interiorità al Sacro, abbandonando per tutto il percorso ogni barlume di materiale, di scontato, di banale.
È come ascoltare una grande opera lirica, assistere ad un concerto di una filarmonica. Ogni voce, ogni strumento musicale sublima un’emozione.
Proviamo a questo punto a immaginare il momento, il più bello, quando il Direttore di Orchestra, in un attimo di follia, inizia a dar luogo ad una stecca mefistofelica, il momento in cui il soprano decide di abbandonare il proprio ipnotico assolo a favore di una performance da urlatore anni 60.
È la sensazione più simile a quella che abbiamo provato, e tanti ci hanno raccontato nel vedere la prima e seconda carica cittadina ridacchiare allegramente durante la processione. Ci chiediamo cosa possa avere provocato loro tanta ilarità, tanto divertimento, per indurli ad abbandonare un contegno antico che avrebbe, forse, dovuto suggerire un look più sobrio, meno informale, magari più monotono, ma certamente più aderente al comportamento di tanti che procedono a piedi scalzi, o in sedia a rotelle, e a chi non ha modo neanche di tirare il respiro, nella tensione di portare a spalla il simulacro del patrono.
Non è feticismo il nostro, ma il desiderio di quanti (e sono tanti) desiderano ascoltare musica d’autore, che non gradiscono essere distratti mente sperimentano, almeno una volta l’anno, la rassicurante sensazione di esseri inclusi in una comunità con elementi fondanti antichi, più profondi di moderni e vacui slogan per un proscenico ed improbabile cambiamento. Il legittimo desiderio di ritrovare, nelle nostre rappresentanze, quella reale sobrietà, da non confondere per una abusata informalità, che possa comunicare il senso di condivisione del peso di una popolazione afflitta ogni giorno da enormi difficoltà, e da questo punto di partenza trovare la strada per risorgere, non uno, ma ogni singolo giorno dell’anno come collettivo. Così, forse, anche molti altri, liberati dal grigiore della propria reale e problematica esistenza, si troveranno a confondere la festa del patrono per quella di carnevale.