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Giuseppe Ayala in “Chi ha paura muore ogni giorno”, forti emozioni per il pubblico

Donatello Polizzi

Giuseppe Ayala in “Chi ha paura muore ogni giorno”, forti emozioni per il pubblico

Sab, 26/05/2012 - 16:23

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CALTANISSETTA – La difficoltà di trovare un aggettivo adatto che possa descrivere la rappresentazione e le intense emozioni che ha suscitato. Non è un incontro che può essere raccontato in una recensione, va vissuto. “Chi ha paura muore ogni giorno” è una piece autobiografica (tratta dal suo omonimo libro) che Giuseppe Ayala, nisseno doc, ha portato in scena venerdì 25 maggio al teatro Margherita, nell’ambito della prima rassegnale teatrale di arte varia, memorial “Peppe Nasca”, organizzata dall’Event Action. Scenografia scarna, essenziale, diretta come le parole del protagonista, ottimamente supportato da Francesca Ceci: poche sedie ed una magnolia, pianta che cresce in via Notarbartolo 23, la casa dove abitava Giovanni Falcone. Un susseguirsi d’immagini, interviste, racconti, date, nomi, tragici fatti di sangue, resi vividi dal racconto circostanziato di chi quegli eventi li ha vissuti in prima persona. Una testimonianza storica con la quale Giuseppe Ayala (sorprendente, in maniera positiva, affabulatore e coinvolgente narratore) ricostruisce le vicende del pool antimafia di Palermo, gli uomini che ne fecero parte: pregi, virtù, debolezze, ironie, delusioni, fallimenti, vittorie che sono accentuate dall’amicizia, sentimento preponderante. L’approssimarsi del finale tinteggia uno scenario cupo, ambiguo, tetro. Il maxiprocesso si concluse nel 1988 con una sentenza epocale: 2.665 anni di condanne e 360 colpevoli, ergastolo per diciannove boss. Poi il pool antimafia fu dissolto: il governo di allora cominciò a indebolire la polizia giudiziaria, privando i magistrati di uno strumento fondamentale per le indagini.
Maganuco TonyIl nostro lavoro non si arrestò per la reazione di cosa nostra” – dichiara Giuseppe Ayala – “noi fummo fermati da pezzi delle istituzioni dello Stato! E’ venuto il momento di chiarirlo!”. Straordinaria la metafora utilizzata per spiegare il perché ancora oggi la mafia sia una macabra realtà. Si tratta di una gara di calcio. Lo stato indossa la maglia azzurra, la mafia casacche dal colore “indefinito”: il problema è che alcuni giocano con una squadra ma in realtà parteggiano per l’altra. Per vincere la partita, lo Stato deve innanzitutto sistemare il colore delle maglie.
Il direttore artistico Tony Maganuco ha dichiarato: “I ragazzi delle scuole dovrebbero necessariamente visionare quest’opera che, a mio parere, vale più di mille libri o film o convegni Il, racconto diretto, crudo, scomodo ma realistico di chi quella fase storica l’ha vissuta in prima persona. Una nota a parte merita il pubblico; occupati poco più della metà dei posti disponibili, per un nisseno doc di tale portata era forse lecito attendersi ‘qual cosina’ di più in termini numerici. Forse anche come esponenti delle amministrazioni comunali o autorità dello Stato, era lecito attendersi maggiore partecipazione”.

Vi erano il sindaco Michele Campisi, l’Assessore alla Cultura Loredana Schillaci ed il magistrato Giovanbattista Tona. La regia è stata curata da Gabriele Guidi. I testi sono di Giuseppe Ayala con il contributo di Ennio Speranza, musiche Roberto Colavalle e Matteo Cremolini, luci Pietro Sperduti, proiezioni Alessia Sambrini collaborazione al progetto Massimo Natale.

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