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Operazione ‘MALLEUS’ e ‘REDIVIVI’: le mire del clan Rinzivillo sui mercati ittici Italiani e tedeschi. il VIDEO

Michele Spena

Operazione ‘MALLEUS’ e ‘REDIVIVI’: le mire del clan Rinzivillo sui mercati ittici Italiani e tedeschi. il VIDEO

Mer, 04/10/2017 - 14:33

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CALTANISSETTA – Sono sottoposti al 41 bis, il carcere duro, ma nonostante cio’ hanno gestito senza grossi problemi l’attivita’ della famiglia mafioso Rinzivillo. Le indagini coordinate dalla Dda di Roma e di Caltanissetta, che oggi hanno portato all’arresto di 37 persone, raccontano che i fratelli Antonio e Crocifisso Rinzivillo controllavano dalla cella “l’attuale operativita'” del clan attraverso la figura del ‘reggente’ Salvatore (scarcerato nel 2013 e oggi in manette a Roma) il quale, a seguito degli interventi repressivi disposti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ed eseguiti dalla Squadra Mobile di Caltanissetta nel giugno e nel novembre 2015, nel contesto delle operazioni ‘MALLEUS’ e ‘REDIVIVI’, veniva richiamato in Sicilia dalla Capitale, per riorganizzare le illecite attivita’ della famiglia mafiosa e riaffermare il predominio sul territorio, coprendo la vacanza di comando venutasi a creare.

La Squadra Mobile di Caltanissetta e i militari del Gico di Roma lo hanno chiamato “il patto mafioso sul commercio di pesce”. Le indagini sul clan Rinzivillo, culminate oggi con l’arresto di 37 persone, hanno svelato l’esistenza di “un vero e proprio accordo di spartizione territoriale per il commercio di prodotti ittici in tutta la Sicilia, con mire espansionistiche anche sui mercati romano, milanese e tedesco” e dimostrato come la famiglia mafiosa gelese “abbia utilizzato le societa’ ittiche per il reimpiego dei proventi illeciti derivanti dalle attivita’ criminali del sodalizio mafioso”. Nello specifico, Salvatore Rinzivillo
ha avuto l’opportunita’ di “infiltrarsi” nel mercato di settore attraverso imprese mafiose da lui controllate, riconducibili ai gelesi Carmelo e Angelo Giannone, padre e figlio. Dall’inchiesta della magistratura e’ poi emerso che lo stesso boss ha preso contatti con esponenti mafiosi di Mazara del Vallo (costringendo alcuni imprenditori locali a fornire il pesce a credito piuttosto che a fronte di pagamento in contante all’atto della consegna), con importanti pregiudicati messinesi e perfino con un boss italo-americano del calibro di Lorenzo De Vardo, che vive a New York, anche per l’avvio di importanti iniziative economico-commerciali, personaggio conosciuto dalle forze dell’ordine sin dai tempi del maxiprocesso di Palermo, quale appartenente alla “famiglia mafiosa Bonanno – fazione Catalano di Cosa Nostra”. Le indagini della Dda di Caltanissetta hanno riscontrato significativi rapporti di Rinzivillo con clan mafiosi catanesi: appartenenti alla famiglia calatina di Francesco La Rocca, storico capomafia di San Michele di Ganzaria; appartenenti al clan dei “Carcagnusi” (Mazzei), sodalizio criminale catanese con interessi anche nella Capitale e, per esso, indirettamente, con Sergio Giovanni Gandolfo detenuto all’estero. A tale ultimo proposito, l’atteggiamento di Rinzivillo nei confronti dei “Carcagnusi”, dapprima conflittuale, e’ cambiato al punto che, nel febbraio del 2016, si e’ attivava per affidare la tutela legale di Galdolfo all’avvocato del foro di Roma (oggi arrestato) Giandomenico D’Ambra facendo da tramite tra quest’ultimo ed i familiari del primo.

Secondo la Dda di Caltanissetta, il legale costituisce l’archetipo dell’esponente della cosiddetta ‘area grigia’: un professionista che si serve della criminalita’ organizzata e di cui quest’ultima, a sua volta, si avvale in un chiaro e diretto rapporto sinallagmatico. Su richiesta e per conto di Rinzivillo, infatti, l’avvocato D’Ambra ha intessuto affari illeciti di interesse comune, ha incontrato altri affiliati del clan gelese che agiscono in Lombardia, nonche’, per propri fini, non ha esitato ad avvalersi dei “servizi” che gli appartenenti all’organizzazione criminale risultavano in grado di dispensare con il metodo dell’intimidazione (dando mandato a Rosario Cattuto di porre in essere un’aggressione fisica ai danni di un soggetto per portargli via, con violenza, un orologio “Philip Patek” del valore di circa 40mila euro. Non solo, ma le indagini hanno chiarito come il legale si preoccupasse addirittura di raccogliere notizie su indagini in corso, specie se relative a Salvatore Rinzivillo per poter assumere le necessarie contromisure elusive delle investigazioni. Ritenuti i fedelissimi del boss, i due nominati carabinieri Cristiano Petrone e Marco Lazzari. Quest’ultimo, secondo chi indaga, avrebbe gestito i contatti con altri affiliati del clan mafioso, tra cui Ivano Martorana, luogotenente di Rinzivillo in Germania ed operante nel settore del traffico illecito di sostanze stupefacenti, nonche’, assecondando la volonta’ dello stesso boss circa la necessita’ di evitare contatti diretti con soggetti di una certa caratura criminale e ritenuti a rischio di attivita’ investigative, fungendo da “collegamento”, assieme a Martorana, per fare da tramite nei contatti tra il boss gelese e Nicola Gueli, oltre a svolgere taluni “servizi” di appostamento e sopralluogo, funzionali alla realizzazione di attivita’ estorsive, quale quella commessa ai danni della famiglia Berti. In definitiva, sia a D’Ambra che a Lazzari e’ contestata la condotta illecita di concorrenti esterni rispetto all’associazione mafiosa Cosa Nostra, riferita al clan Rinzivillo, avendo posto a disposizione del boss i propri servigi, funzionali agli illeciti scopi.

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