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Settant’anni della casa editrice Sciascia. L’areopago della “Piccola Atene”

Michele Spena

Settant’anni della casa editrice Sciascia. L’areopago della “Piccola Atene”

Ven, 28/10/2016 - 19:18

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Non era soltanto lo zolfo la ricchezza di Caltanissetta nel secolo passato; anche la cultura aveva il suo sottosuolo, da cui estrarre una sostanza ancora più preziosa: la propria identità. Era “l’antro” del commendatore Sciascia, una stanza foderata di libri, un paio di metri sotto il piano della libreria di corso Umberto, qualche gradino scosceso per raggiungere uno dei luoghi più importanti della produzione culturale italiana: la sala operativa della casa editrice fondata 70 anni fa a Caltanissetta, nell’hannus mirabilis della nascita della Repubblica e della democrazia, l’inizio della ricostruzione del Paese.

salvatore-sciascia4Salvatore Sciascia (1919/1986)  aveva solo 27 anni quando decide di aprire la sua libreria-editrice nella città dello zolfo, dopo gli anni della guerra (per lui servizio militare sin dal 1939). Veniva da Sommatino, da una famiglia-vivaio di editori, giornalisti, intellettuali: Filippo Ciuni, lo zio, titolare della libreria-editrice a Palermo dove Tomasi di Lampedusa passava tanti dei suoi pomeriggi di riflessione, promotore di una rete di iniziative e relazioni culturali tra la Sicilia e il mondo della cultura italiana sin dagli anni ’30. E poi Luigi Russo, maestro della critica letteraria nazionale, altro zio in linea materna, con cui rimase sempre strettamente legato anche con un ricco epistolario. Un altro cugino di Sciascia, Vito Cavallotto, avrebbe fondato anche lui librerie e casa editrice a Caltanissetta e poi a Catania.

I libri che Salvatore Sciascia cominciò a pubblicare sin dal dopoguerra hanno rappresentato un legame importante tra questo territorio “periferico” con l’Italia e l’Europa della ricostruzione. Non solo pani di zolfo e lavoratori emigrati partivano dal cuore della Sicilia per l’Europa in quegli anni difficili ma ricchi di grandi speranze; anche tanti libri, libri originali e di qualità, frutto del “lavoro del pensare”, che in quel giovane vulcanico avevano trovato uno scopritore dal fiuto eccezionale e dalla capacità di leggere la realtà e di individuarne le tendenze e le prospettive assolutamente profetica.

I primi testi sono di editoria scolastica, nel decennio 1947/57: testi di didattica e di pedagogia per le scuole popolari, con le quali l’Italia dell’analfabetismo voleva uscire dall’angolo del sottosviluppo e lanciava una scommessa sulla scolarizzazione di massa che voleva arrivare anche nelle campagne, nei quartieri operai delle città, sostituendo i vecchi “libri di Stato” della dittatura fascista con testi nuovi e adeguati alla nuova visione democratica che il Paese aveva scelto.

Sui temi della scuola l’impegno si sarebbe poi riconvertito con le riviste specializzate: “Itinerario della cultura e della scuola siciliana” con cui lanciava una battaglia culturale per diffondere in Sicilia l’istruzione professionale (1950-54) su cui scriveva di didattica Leonardo Sciascia, insegnante in quegli anni a Caltanissetta, prossimo a pubblicare con Laterza proprio il suo diario di maestro, “Le parrocchie di Regalpetra”.

Con Sciascia si ritrovavano a confrontarsi in un angolo della libreria, due poltrone e qualche sedia intorno a un tavolino, personalità dei più diversi orientamenti politici e culturali, con quello stile di apertura al dialogo trasversale che è stato la sua cifra relazionale costante: Luigi Monaco, il preside del Liceo Classico, Giuseppe Granata, già professore di Sciascia e poi senatore del PCI, Giuseppe Alessi, avvocato cattolico e antifascista che sarebbe diventato il primo Presidente della Regione, Pompeo Colajanni, il mitico comandante partigiano “Barbato” poi deputato comunista, Alfonso Campanile, raffinato poeta e intellettuale, il giudice Gaetano Costa, riservatissimo e lontano da ogni mondanità, che teorizzava come un magistrato in Sicilia dovesse “passeggiare da solo”.

Ritroveremo alcune di queste personalità alla direzione di collane editoriali fortunatissime: nel 1949 il preside Monaco dirige “Lo smeraldo”, da un’idea di Leonardo Sciascia che vi pubblicherà “Pirandello e il pirandellismo” nel 1953 vincendo il premio Pirandello, e “Il fiore della poesia romanesca” con prefazione di Pier Paolo Pasolini (in quegli anni agli esordi) che scatenò una polemica vivacissima con i critici più paludati sul valore letterario del dialetto, proprio negli anni in cui partiva “l’omologazione” linguistica e antropologica nell’Italia del consumismo su cui Pasolini tanto avrebbe scritto successivamente.

In quello stesso anno 1949 nasce “Galleria”, rivista-rassegna bimestrale diretta da Calogero Natale (magistrato-giornalista) e poi da Leonardo Sciascia, con monografie curatissime di letteratura e arti figurative, e, dal 1954, i “Quaderni di Galleria” sempre diretti da Sciascia, che inizia le sue pubblicazioni (130 titoli fino ad oggi) con “Dal Diario” di Pasolini, la sua prima raccolta di poesie edita in Italia. Il secondo numero ospiterà “La selva” di Cesare Pavese. Seguiranno “Quaderni” con testi di Roversi, Caproni, Bevilacqua, Fortini, Biagio Marin, Guttuso, Maria Attanasio, Campanile, Vilardo.

Il fiuto editoriale di Salvatore Sciascia lo rende un talent-scout eccezionale. Pubblica nel 1961 le poesie dello spagnolo Vicente Alexander che avrebbe vinto il Nobel  sedici anni dopo. Alla vigilia delle elezioni americane del 1960 pubblica la biografia del candidato democratico Kennedy scritta da un giornalista italo-americano e qualche mese dopo vola alla Casa Bianca invitato dal 35° Presidente, eletto.

Nel 1956 pubblica “Questa mafia” di Renato Candida, comandante dei Carabinieri di Agrigento. In anni in cui della mafia in Sicilia le istituzioni negavano ufficialmente l’esistenza, rompe il tabù del silenzio editoriale e apre la breccia a tutta la pubblicistica sull’argomento con un’analisi di grande interesse sulla trasformazione della mafia dal latifondo all’imprenditoria.

L’ultimo volume pubblicato da Rosso di San Secondo, il drammaturgo nisseno entrato nella storia della letteratura e del teatro europeo del ‘900, esce per la casa editrice Sciascia: “Banda municipale”, una raccolta di novelle dedicate dall’autore “A Caltanissetta mia città natale”. Era un’operazione di prospettiva, per rilanciare all’attenzione della critica e dei lettori un autore “anomalo”, divergente, su cui sembrava essere sceso il silenzio dopo la lunga ombra di Pirandello che ne aveva per anni appannato la stella.

Il catalogo della casa editrice, che dal 1956 apre una sede a Roma e da allora indicherà Caltanissetta-Roma come luogo di produzione, si arricchisce di titoli e di autori di assoluto prestigio e tematizza nei settori della storia locale, dell’economia e della sociologia una riflessione inedita sul territorio siciliano e le sue dinamiche contemporanee, coinvolgendo le forze più vive del mondo universitario con studi che hanno aperto nuovi percorsi alla ricerca storiografica. Il primo studio contemporaneo sulla storia nissena, “Caltanissetta feudale” del prof. Alfredo Livecchi, esce da Sciascia nel 1975, e fa scoprire ai nisseni di avere avuto una storia.

Perché Salvatore Sciascia, oltre che promotore di cultura, aveva una visione imprenditoriale integrata del prodotto editoriale, ed è stato uomo delle istituzioni economiche: Presidente della Camera di Commercio e Consigliere di Unioncamere, Presidente dell’Associazione dei Commercianti e componente del Consiglio ministeriale per i Beni Culturali e del Libro e del direttivo dell’Associazione Editori Italiani e Consigliere presso la Banca d’Italia.

Il coraggio, la fantasia e l’intuizione di questo editore della provincia più lontana hanno molto contribuito a sprovincializzare la cultura italiana, pubblicando testi e studi sulla letteratura americana, spagnola, francese, insieme ai primi studi critici importanti sugli autori siciliani (Brancati, Savarese, Lanza) illustrati dai più importanti pittori contemporanei, che andava a presentare a Roma, per dare il massimo della rilevanza nazionale, sin dagli anni ’50, portando sotto i riflettori dell’Italia che decollava verso il “miracolo economico” le radici lontane di quell’intreccio tra cultura e società che stava sostenendo la ricostruzione civile e democratica, prima ancora che economica, del Paese.

Quando, negli anni del dopoguerra, era andato a conoscere Benedetto Croce, il monumento vivente della cultura italiana del secolo passato, il grande filosofo alla fine dell’incontro lo aveva salutato dicendo: “Sciascia, voi siete ‘nu guaglione intelligente”, e di questo giudizio il “Commendatore” (lo chiamavano tutti così) era sempre andato molto fiero, e lo raccontava spesso, con un lampo giovanile nello sguardo, che lo ha accompagnato, insieme al suo coraggio, per tutta la vita.

Oggi Giuseppe Sciascia, figlio  del fondatore, dirige la casa editrice con grande tenacia ed equilibrio, presidiando uno spazio culturale difficile in tempi di crisi, con una eredità di qualità da sviluppare e la mission di mantenere ampio lo sguardo sul contesto di riferimento di cui  continuare ad essere una espressione autorevole.

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