Salute

Salute. Tutto quello che c’è da sapere sul long Covid

di Emanuele Perugini - Agi

Salute. Tutto quello che c’è da sapere sul long Covid

Gli scienziati sono alla ricerca di una definizione precisa e riconosciuta da tutta la comunità internazionale per questa serie di sintomi che colpisce molte persone infettate dal virus Sars-Cov2. Vittima illustre, la Regina d'Inghilterra
Mer, 22/06/2022 - 23:05

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Si fa presto a dire Long Covid. Ancora oggi gli scienziati sono alla ricerca di una definizione precisa e riconosciuta da tutta la comunità internazionale per questa serie di sintomi che colpisce molte persone infettate dal virus Sars-Cov2. Persino la Regina Elisabetta sembra esserne caduta vittima nei mesi scorsi. “Il Sars-CoV2 causa un’infiammazione molto importante che in alcuni soggetti persiste anche dopo la risoluzione della malattia e la negativizzazione al virus. In molte persone rimane uno stato di astenia come quello che sta affrontando la Regina Elisabetta”.

Arianna Di Stadio neuroscienziata italiana docente all’università di Catania studia da tempo gli effetti del Long Covid ed è stata la prima a trovare la cura per la sintomatologia del Long Covid per i disturbi di perdita di gusto e olfatto correlati alla perdita della memoria. “L’infiammazione è causata dalla proteina Spike, l’aggancio che permette al virus di infettare le cellule e diffondere la malattia nel corpo. Il nostro esercito immunitario – spiega – fa fronte all’infezione in vari modi; il primo è a livello locale, bloccandone l’ingresso e limitando l’infezione nelle alte vie respiratorie. Nel caso questo sistema non funzioni e il virus si diffonda, il sistema immunitario affronta l’infezione combattendo il virus”.

Continua Di Stadio: “Il virus grazie alla potente infiammazione che determina, crea un diversivo per le cellule del sistema immunitario così da diffondersi in vari organi. Con il diffondersi dell’infiammazione alcune cellule ‘spaventate’ dal dilagarsi dell’attacco nemico, agiscono usando un’eccessiva forza che causa in alcune persone la ‘tempesta da citochine’. Le citochine stesse causano un ulteriore infiammazione che impatta negativamente sul sistema immunitario. Le citochine infiammatorie così come i ‘caduti sul campo’ sono i responsabili della stanchezza”.

Perché questo senso di spossatezza

E aggiunge: “Più il sistema immunitario ha sofferto per la guerra contro il Covid, più si è stancato, più fa fatica a far tornare il nostro esercito immunitario in forma. Accade che le cellule immunitarie non in perfetta forma continuano a produrre citochine infiammatorie e la cattiva infiammazione è altresì responsabile dell’astenia, disturbo che sta colpendo la Regina Elisabetta. Ma si puó combattere questo disturbo”.

Infatti, secondo la neuroscienziata, “alcune molecole possono essere di aiuto per rinfrancare il sistema immunitario agendo a vari livelli. Il palmitoiletalonamide è in grado di ridurre il livello di citochine infiammatorie migliorando l’ambiente immunitario e rinfrancandolo. Sebbene le evidenze scientifiche siano a supporto dell’utilizzo della molecola prevalentemente per trattare la neuro-infiammazione, a causa della sua capacità “anti-infiammatoria” puó essere un valido supporto anche per rinfrancare il sistema immunitario ed essere efficace per contrastare la fatica post-infezione”.

Differenza tra uomini e donne

Le donne hanno maggiori probabilità di soffrire di long Covid rispetto ai maschi e sperimentano sintomi sostanzialmente diversi. A riferirlo, nuovo studio pubblicato oggi sulla rivista Current Medical Research and Opinion, sottoposto a revisione paritaria. Il long Covid è una sindrome in cui le complicanze persistono per più di quattro settimane dopo l’infezione iniziale di Covid-19, a volte per molti mesi. I ricercatori del Johnson & Johnson Office del Chief Medical Officer Health of Women Team hanno osservato che le donne con long Covid presentano una varietà di sintomi tra cui problemi a orecchie, naso e gola; disturbi dell’umore, neurologici, cutanei, gastrointestinali e reumatologici; così come la fatica.

I pazienti di sesso maschile, tuttavia, avevano maggiori probabilità di soffrire di disturbi endocrini come diabete e disturbi renali. L’analisi dei dati è stata condotta su circa 1,3 milioni di pazienti. Più precisamente, nell’ambito della revisione, i ricercatori hanno limitato la ricerca di articoli accademici a quelli pubblicati tra dicembre 2019 e agosto 2020 per Covid-19 e tra gennaio 2020 e giugno 2021 per la sindrome di long Covid. La dimensione totale del campione che copre gli articoli esaminati ammontava a 1.393.355 individui unici.

Chi rischia di più il long Covid

Uno dei punti che sembrano spiazzare i ricercatori di tutto il mondo è che per ogni variante del virus in circolazione, esiste anche una specifica forma di long Covid. Lo suggerisce uno studio, presentato a marzo durante il Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive (ECCMID), condotto dagli scienziati dell’Università di Firenze e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi.

Il team, guidato da Michele Spinicci, riporta che più della metà dei pazienti ospedalizzati a causa di Covid-19 può sperimentare sintomi post-acuti associati alla malattia. Il Covid lungo è stato riportato dai soggetti indipendentemente dall’età, dalla presenza di comorbilità e dalla gravità delle condizioni durante il ricovero.

I ricercatori hanno eseguito uno studio osservazionale retrospettivo su 428 pazienti trattati presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi tra giugno 2020 e giugno 2021. Gli scienziati quindi considerato la diffusione del ceppo originale di Wuhan e quella della variante Alpha (B.1.1.7). I sintomi più comuni all’interno della coorte, riportano gli autori, erano mancanza di respiro, affaticamento cronico, problemi di sonno, difficoltà visive e confusione mentale.

Stando a quanto emerge dalle stime degli studiosi, le persone con le forme più gravi erano associate a un rischio circa sei volte superiore di sviluppare il Long Covid rispetto ai pazienti con decorso più lieve. Allo stesso tempo, chi aveva avuto bisogno di un supporto di ossigeno ad alto flusso sembrava avere il 40 per cento di probabilità in più di sperimentare problemi. Il rischio di Covid lungo tra le donne era quasi doppio rispetto alle controparti maschili.

Omicron è meno pericoloso di Delta

La variante Omicron del virus Sars-Cov2 ha meno probabilità di causare il long Covid rispetto alla variante Delta dello stesso virus. A dirlo, è l’analisi dei ricercatori del King’s College London dello studio ZOE COVID Symptom, pubblicata oggi su The Lancet. Si tratta del primo studio sottoposto a revisione paritaria sul rischio di long Covid e sulla variante Omicron. Il long Covid è definito dalle linee guida NICE come la presenza di sintomi nuovi o in corso da più quattro settimane dopo l’inizio della malattia.

Questi ultimi includono affaticamento, mancanza di respiro, perdita di concentrazione e dolore articolare. I sintomi possono influenzare negativamente le attività quotidiane e in alcuni casi possono essere gravemente limitanti.

I ricercatori hanno scoperto che le probabilità di sperimentare il long Covid con la variante Omicron erano tra il 20 e il 50% in meno rispetto al Delta, a seconda dell’età e del tempo trascorso dalla vaccinazione. Lo studio ha identificato 56.003 casi di adulti nel Regno Unito risultati positivi per la prima volta tra il 20 dicembre 2021 e il 9 marzo 2022, quando Omicron era il ceppo dominante.

I ricercatori hanno confrontato questi casi con 41.361 casi risultati positivi per la prima volta tra il 1 giugno 2021 e il 27 novembre 2021, quando la variante Delta era dominante. L’analisi mostra che il 4,4% dei casi di Omicron era long Covid, rispetto al 10,8% dei casi Delta. Tuttavia, il numero assoluto di persone che hanno sperimentato Covid da lungo tempo era infatti più alto nel periodo Omicron. Ciò è dovuto al gran numero di persone infettate da Omicron da dicembre 2021 a febbraio 2022. L’Office of National Statistics del Regno Unito ha stimato che il numero di persone con long Covid è effettivamente aumentato da 1,3 milioni nel gennaio 2022 a 2 milioni a partire dal 1 maggio 2022. L’autrice principale, Claire Steves del King’s College di Londra, ha dichiarato: “La variante Omicron sembra sostanzialmente meno avvezza a causare long Covid rispetto alle varianti precedenti, ma ancora 1 persona su 23 che contrae il Covid-19 continua ad avere sintomi per più di quattro settimane. Dato il numero di persone colpite, è importante continuare a sostenerle sul lavoro, a casa e all’interno del SSN”.

“Non possiamo ancora stabilire se la variante Omicron sia associata a una probabilità diversa di sviluppare long-Covid, sarà necessario attendere ancora qualche mese, al più che esistono già diverse sotto-varianti del ceppo e alcune di esse si conoscono ancora poco”, ha spiegato all’AGI Marco Fiore, ricercatore presso l’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc). Nei giorni scorsi è stato sostenuto che la variante Omicron possa essere associata a un rischio minore di sviluppare sintomi a lungo termine, ma allo stesso tempo, vista la maggiore trasmissibilità, la variante di SARS-CoV-2 potrebbe essere legata a un numero di casi di long-Covid comunque più elevato. “Con la diffusione di Omicron, più trasmissibile ma apparentemente meno grave della precedente Delta – aggiunge l’esperto – era stato ipotizzato che la nuova variante avrebbe mantenuto pressoché inalterato il numero di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi. In realtà oggi vediamo che gli ospedali non sono in sovraccarico e i morti, per fortuna, non aumentano”. “Per stabilire se Omicron sarà legata a un rischio più o meno elevato di long-Covid sarà invece necessario attendere qualche mese – precisa Fiore – ci sono ancora pochi dati a riguardo”.

Il ruolo dei vaccini

Altro discorso riguarda il ruolo dei vaccini. In uno studio ancora in preprint ma confermato da ricercatori dell’Università di Genova, si spiega che proprio le persone vaccinate sarebbero vittima di long covid. “Il vaccino deve essere considerato un farmaco, e, come tale, può provocare effetti collaterali. Piuttosto che parlare di long-Covid, userei questa locuzione per definire i sintomi che sono stati osservati a seguito dell’inoculazione”.

Così Marco Fiore, ricercatore presso l’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc), commenta all’AGI un lavoro pubblicato in pre-print sulla rivista MedRxiv, secondo cui la somministrazione delle vaccinazioni sarebbe associata a un rischio più elevato di long-Covid. Nello studio, non ancora sottoposto a revisione paritaria, sono stati rilevati sintomi dell’infezione in pazienti che avevano ricevuto la vaccinazione. I

n totale, gli autori avevano segnalato 23 persone che tra gennaio e settembre 2021, avevano manifestato polineuropatia, una condizione che provoca malfunzionamento simultaneo di nervi periferici in tutto il corpo. “Negli ultimi anni – precisa l’esperto – sono state somministrate diverse decine di milioni di dosi di vaccini, tra le varie alternative sul mercato. Il numero di effetti collaterali indesiderati segnalati è davvero esiguo se confrontato con questi valori. Per questo, piuttosto che considerare questi episodi come long-Covid, tenderei ad assimilarli come normali conseguenze della vaccinazione”.