Salute

Affido familiare, l’esperienza nissena. Nasce “Le Madri della città”

Michele Spena

Affido familiare, l’esperienza nissena. Nasce “Le Madri della città”

Mar, 07/11/2017 - 16:31

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Accogliere un minore in difficoltà, offrirgli il sostegno e l’affetto di cui ha bisogno per crescere. Un gesto d’amore che dà gioia a chi apre la porta della  propria casa e del proprio cuore e di chi viene accolto, è l’affidamento familiare.

Introdotto dalla legge n. 184 del 4 maggio 1983, poi modificata dalla legge 149 del 28 marzo del 2001 e dalla legge n. 173 del 13 novembre del 2015, l’affido familiare si basa su un provvedimento temporaneo che si rivolge a bambini e a ragazzi fino ai diciotto anni, di nazionalità italiana o straniera, che si trovano in situazioni di instabilità familiare. L’affidamento è dunque un servizio di aiuto e sostegno creato nell’ottica della tutela dei diritti dell’infanzia, garantendo al minore il diritto a crescere in un ambiente che possa soddisfare le sue esigenze educative e affettive, in grado di rispettare i suoi bisogni, in riferimento alle caratteristiche personali e familiari e alla sua specifica situazione di difficoltà.

Da ben cinque anni “Le Madri della città”, della consulta delle aggregazioni laicali, hanno avviato un percorso volto a prendersi cura dei minori che vivono in situazioni difficili contribuendo a promuovere la cultura della solidarietà avviando un percorso di formazione rivolto alle coppie, alle famiglie e ai single che vogliono vivere l’esperienza dell’affido familiare.  Un percorso  grazie al quale si è creata una rete di famiglie che in questi anni hanno aperto le porte delle loro case a tanti bambini.

Il progetto “Le Madri della città” nasce nel 2010 dalla consapevolezza che nella società contemporanea, contrassegnata da un indebolimento o quasi annullamento dei legami di prossimità, la donna con la sua specificità di genere che la rende capace di relazionarsi all’accoglienza e di prendersi cura degli altri può contribuire a reinventare e rifondare il senso del legame sociale.

Con questo intento un gruppo di donne  appartenenti a varie associazioni, animate e guidate anche dallo psicologo Piero Cavaleri, si sono ritrovate a discutere  dell’importanza che può assume oggi la donna nella società se matura in lei e negli altri la consapevolezza della sua vera identità e del dono che essa può diventare per l’umanizzazione delle relazioni tra individui, tra gruppi e tra popoli per realizzare un mondo al plurale, fra uguali che si riconoscono e si promuovono reciprocamente. Inizialmente sono state coinvolte le donne della consulta delle aggregazioni laicali, tant’è che per volontà del Vescovo, è diventato un progetto della consulta puntando l’attenzione su temi quali l’affido familiare, donna e lavoro, donna e famiglia, donna e violenza domestica, donna e disabilità.

“Un progetto – afferma Pinella Falzone, referente Le Madri della città  – che va controcorrente in una società dove la cultura va verso l’individualismo dovuto alla fragilità della persona che non può più farsi carico né di se stesso né degli altri. In tutti questi anni abbiamo coinvolto tantissime persone con lo scopo di mettere in rete le risorse dei gruppi e delle associazione che operano nel territorio per la creazione di una comunità solidale. Un percorso formativo quello che abbiamo avviato che rientra in un più ampio progetto e che rappresenta il risultato di quanto emerso nel corso del primo convegno de ‘Le madri della città’ nel maggio del 2011 incentrato sul rapporto donna e famiglia.  In quell’occasione è emersa la carenza di una cultura dell’accoglienza in città e l’idea di farsi promotori nel territorio di un progetto volto alla costituzione di una banca dati delle famiglie disponibili a farsi carico  in via temporanea di un minore a rischio su segnalazione dell’autorità giudiziaria o dei servizi sociali”.

“Un percorso – aggiunge – non semplice, inizialmente abbiamo sensibilizzato tutti i gruppi di spiritualità e le parrocchie, creato un gruppo di formatori e cercato di coinvolgere le assistenti sociali del Comune. Nel giugno del 2012 abbiamo tenuto il primo corso formativo che ha visto il coinvolgimento di 20 coppie e  nel maggio del 2013 abbiamo organizzato al Museo Diocesano un convegno, portando la testimonianza di due famiglie che avevano intrapreso la strada dell’affido familiare. Oggi grazie al nostro impegno esiste una banca dati di famiglie disponibili a farsi carico in via temporanea di un minore a rischio per dare sollievo ai tanti bambini ed adolescenti che non hanno alle spalle una famiglia in grado di soddisfare i loro bisogni materiali, educativi ed affettivi”.

Lo scorso 22 febbraio si è svolto il primo incontro che ha dato il via al 5° corso del progetto formativo sull’affido familiare promosso da Le Madri della città che si concluderà il 24 maggio. Un corso che quest’anno darà voce  anche alle famiglie affidatarie e alle case famiglia.

Una cinquantina in tutto le famiglie formate in questi anni che hanno dato la loro disponibilità all’affido,  la metà circa i casi concretizzati.

“Alcuni affidamenti – ha affermato Gabriella Tomai, consigliere della Corte d’Appello di Caltanissetta – Sezione Minori, per anni magistrato del Tribunale dei Minori e che per un periodo ne ha retto la presidenza – sono andati bene altri no, alcune famiglie non sono risultate idonee ad accogliere i bambini a  secondo dei singoli casi, altre hanno deciso di non proseguire questo percorso perché non hanno retto il legame con la famiglia di origine. Il vero regista, in questo caso, è il servizio sociale che deve disegnare dei progetti che devono essere in grado di superare le ritrosie e le difficoltà che possono sorgere.  Altre famiglie del bacino  di Caltanissetta e San Cataldo sono invece  risultate una risorsa positiva  per comuni più lontani. Un  percorso quello avviato, con una banca dati di famiglie disponibili all’affido familiare, che dovrebbe prima o poi portare a una presa in carico da parte del servizio sociale o quanto meno –  vista l’attività di sensibilizzazioni e informazione portata avanti da Le madri del la città –  i vari comuni dovrebbero mettere su un Centro affidi per seguire singolarmente caso per caso o  come gruppo le famiglie affidatarie e sostenerle anche psicologicamente. Esperienza quella del gruppo di auto già  sperimentata anche da Le madri della città”.

“Accogliere un bambino in difficoltà  – aggiunge – non significa aprire solo la porta di casa ma il cuore e lasciarsi contaminare, non significa attivare un meccanismo di omologazione di quel bambino e di quella realtà sociale a me. Come dice papa Francesco significa sporcarsi le mani e uscirne con la puzza del carcere. Si deve fare i conti con la realtà di origine del bambino che non va squalificata ma aiutata ed educata assieme ai servizi sociali, solo così l’affido può funzionare”.

“La novità di questo percorso avviato da  Le madri della città  –conclude Gabriella Tomai-  che sta dentro quel progetto culturale della chiesa cattolica è che l’idea che le cose che noi facciamo e vogliamo fare devono avere una significatività culturale, ovvero devono attivare una meccanismo di modificazione del pensiero sulle cose, un pensiero che deve diventare azione. Non è importante la consacrazione del fatto. Avremmo potuto fare in passato dei protocolli, quest’ultimi devono essere il risultato finale e non l’avvio di un percorso. Accendere i riflettori su una dichiarazione d’intenti non serve a far cambiare la realtà, la società”.

Un’esperienza quella de Le madri della città che  –  nel tentativo di  coinvolgere anche i comuni del distretto socio-sanitario D8  per creare le basi  di un centro affidi –  è stata portata anche a Sommatino con tre coppie che si sono aggiunte al percorso intrapreso, a Delia  dove si sono svolti degli incontri alla chiesa Madre con le coppie appartenenti ai gruppi di spiritualità  e a San Cataldo.

“La maggior parte  delle coppie – ha affermato Pinella Falzone  – che hanno intrapreso il percorso dell’affido familiare fanno parte di  una mentalità cristiana e di un’esperienza ecclesiale  ma siamo certe che in città ci sono tante persone che posso fare questa esperienza  di apertura del proprio cuore e che possano capire che questo dei minori a rischio è una ferita sociale che avrà delle ripercussioni sul futuro della società. Per cui lavorare con i minori e adolescenti per creare un clima familiare che possa aiutarli a crescere in modo equilibrato e con una forma di affettività sanata può avere ripercussione positive sulla società. Bisogna rifondare l’etica del bene che è il bene del noi in quanto unità. Le Madri della città attraverso il carisma della donna vogliono fare questo. Il bene si globalizza con delle esperienze che mettono in rete e in dialogo persone che possano strutturare un noi polifonico che cammini per creare una cultura verso un mondo migliore. Questo nonostante le difficoltà è quello che ci spinge ad andare avanti”.

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