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Antonello Capodici. “Il teatro, la mia vit… una oassione nata per caso”

Redazione

Antonello Capodici. “Il teatro, la mia vit… una oassione nata per caso”

Ven, 28/10/2016 - 19:41

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Luci, costumi, scenografie, battute, tempi, spazio scenico, sono alcune delle parole che fanno pensare immediatamente al mondo del teatro. Dalla commedia alla tragedia, passando attraverso i diversi stili e generi che vengono portati in scena, il teatro da sempre, sin dai tempi delle sue origini antiche, richiama a sé il pubblico, lo avvolge e coinvolge nel corso di una rappresentazione teatrale. Una passione quella per il teatro che abbraccia anche il regista nisseno Antonello Capodici, classe 1967, questa passione è diventata per lui un vero e proprio mestiere quasi per caso, dopo essersi imbattuto in una locandina di una scuola di teatro in provincia di Enna.

“Pensavo di fare l’insegnante di lettere perché la grande passione era naturalmente la letteratura, insomma le scienze umanistiche. Ho avuto l’opportunità di studiare a Pisa in un’università molto prestigiosa – racconta Antonello Capodici – poi in maniera accidentale è subentrato lo Stabile di Catania e quindi la sua grande tradizione, l’ultima stagione di Turi Ferro – e poi aggiunge – Tuccio Musumeci che si conclamava come l’attore più bravo, l’attore comico più bravo della sua generazione, soprattutto Romano Bernardi”. In quel periodo conosce anche l’attore Enrico Guarneri, “ho conosciuto a Catania in quegli anni un giovane attore –  racconta  – bravissimo, fenomenale, perché nonostante fosse un dilettante riempiva le sale del Metropolitan”. Capodici cominciò come allievo e poi divenne assistente, “passai in un anno dalla mia condizione di principiante assoluto a ricercatore l’anno successivo”, afferma. Fu anche assistente di Romano Bernardi allo Stabile di Catania, “siamo tra il ‘96, ‘97, ‘98 – sottolinea il regista nisseno – quindi nel momento di maggior fulgore della storia recente dello Stabile di Catania quindi grandi attori, grandi allestimenti, grandi registi, un grande clima produttivo”, poi cominciò a lavorare al Metropolitan di Catania dove iniziò a muovere i suoi primi passi da regista. “Quando iniziai, mettevo sopratutto in scena dei trucchi e delle convenzioni sceniche: facevo regie di “maniera”, come si dice in gergo.

CapodiciQuesto era un inizio abbastanza naturale, per un giovane regista alle prime armi – dichiara Antonello Capodici – Mettevo in scena (o cercavo di farlo) la Vita “intorno” a me. Poi, lentamente, passai ad uno stadio più raffinato e complesso. Presi a raccontarmi (a raccontare me stesso) in tutti i modi possibili. Con sincerità ed un certo grado di spietatezza. Era il racconto della mia vita. Un passaggio pressoché inevitabile per un regista con un minimo di esperienza. Oggi, che sono passati più di vent’anni, sono in una fase successiva: metto in scena (o cerco di farlo) le esperienze che mi colpiscono e con le quali vengo in contatto. L’ambizione, oggi, è saper raccontare la vita degli altri – aggiunge Capodici – Ma anche questa è una stagione destinata, naturalmente, a finire. Spero di avere forza e talento abbastanza per quella successiva: nessun racconto. Ma solo invocare le condizioni migliori perché la vita si manifesti così com’è in natura: disorganizzata, opulenta, esagerata, sfuggente, dolorosa e delirante. Luttuosa ed esaltante al tempo stesso. Il teatro, dice  il mio Maestro – prosegue – è la rappresentazione della Vita “così com’è” ”. Romano Bernardi per Antonello Capodici rimane ancora oggi un punto di riferimento, “come impostazione e approccio al metodo mi ispiro al mio maestro perché è stata la fonte principale di apprendimento – sottolinea il regista – da un punto di vista della concezione della recitazione ai grandi siciliani della storia”. Per il regista Capodici il pubblico assume un ruolo molto importante, quasi centrale nella realizzazione di un progetto teatrale, “io sono contento quando il pubblico si emoziona”, ci dice. E’ proprio al pubblico quindi che deve arrivare l’emozione “qualunque genere si scelga – spiega – qualunque vocazione, qualunque sistema linguistico anche scenico, anche drammaturgico si scelga per esprimere attraverso il teatro un’emozione”. “La lezione dei maestri, di questi maestri che ho citato – aggiunge riferendosi ai generi teatrali – è che un regista se c’è una cosa che non deve fare, non deve avere preferenze soggettive perché il rischio è che finisca non per raccontare una storia, ma per raccontare il modo con la quale l’ha compresa lui, e questo non va bene, se tutti noi raccontiamo noi stessi naturalmente, questo è abbastanza ovvio. Ma il racconto deve essere in mezzo al fatto scenico – continua Capodici – perché se questo diventa raccontarsi inevitabilmente significa raccontarsi con un giudizio, cioè con un preconcetto”. Il regista nisseno al momento è impegnato con Enrico Guarneri con “L’Avaro” di Molière in una versione post-moderna da lui ridotta, a dicembre invece sarà al Manzoni a Roma per la regia di “Victoire”, una commedia moderna scritta da Dany Laurent, con Pietro Genuardi nel ruolo del protagonista. Successivamente tornerà in Sicilia e per l’esattezza nei primi mesi del prossimo anno per la Direzione Artistica del Teatro Martoglio di Belpasso. A Caltanissetta invece ha presentato una rassegna teatrale dedicata a “Turi Ferro”, in qualità anche questa volta di Direttore Artistico, una rassegna suddivisa in 5 appuntamenti che vedrà salire sul palco attori come Enrico Guarneri, Gabriel Garko, Ugo Pagliai, Stefano Accorsi, Marco Bocci o ancora Alessio Boni. Il regista nisseno nei suoi circa 20 anni di carriera porta con sé gli insegnamenti delle esperienze vissute e ai giovani che si avvicinano al mondo del teatro consiglia soprattutto di essere sé stessi, “dire sempre la verità – suggerisce Capodici – non la realtà delle cose, ma la propria verità attraverso lo strumento dell’irreale che è molto spesso un testo che non hai scritto tu, che è molto spesso uno spazio finto, dell’effimero, della finzione per eccellenza. Raccontare quello che si sa, raccontare quello che si è imparato”. Antonello Capodici nel suo cammino ha incontrato la passione per il teatro da giovanissimo come pubblico nella sua città natale e poi come regista, riuscendo quindi a guardare il palco non più soltanto come spettatore, “per me è stato il modo di uscire da me stesso”, commenta il regista nisseno, che riferendosi al palco aggiunge “per me è il viaggio che facciamo nella vita, è lo spazio che condividiamo con gli altri, è l’idea che non sono io”.

( di Cinzia Alessia Daidone-articolo pubblicato sul mensile di ottobre 2016)