Salute

San Cataldo, casa di riposo degli orrori: corre l’indignazione sui social

Redazione

San Cataldo, casa di riposo degli orrori: corre l’indignazione sui social

Ven, 27/06/2025 - 14:12

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SAN CATALDO – Una casa di riposo diventata un luogo di umiliazioni e maltrattamenti. È questo lo scenario emerso dalle indagini condotte dai Carabinieri della Tenenza di San Cataldo, che hanno portato questa mattina all’arresto di tre persone nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Caltanissetta. Le accuse sono gravissime: maltrattamenti aggravati, sequestro di persona ed esercizio abusivo della professione sanitaria.

A finire ai domiciliari è stata Maria Magdalena Milu, 50enne, originaria della Romania, amministratrice della struttura “Villa Serena”, dove si sarebbero verificati i fatti. Stessa misura per Mohammad El Karami, 38 anni, originario del Marocco, operatore della casa di riposo, e per Maria Luisa Dal Cin, 56 anni, anch’ella impiegata nella struttura.

Secondo quanto ricostruito dai militari, gli ospiti – tutti anziani, spesso non autosufficienti – sarebbero stati legati con nastro adesivo o cinghie a letti e sedie a rotelle, lasciati in uno stato di immobilità forzata anche per lunghi periodi. Le immagini acquisite durante le intercettazioni ambientali e video, ritenute decisive dagli inquirenti, mostrano un quadro fatto di abusi ripetuti e assenza di cure adeguate.

Durante il blitz, eseguito all’alba, sono intervenuti anche i Carabinieri del NAS e del NIL per verifiche igienico-sanitarie e contrattuali. L’intera struttura è stata sequestrata e affidata a un amministratore giudiziario per garantire l’assistenza agli anziani ancora presenti.

Il caso ha generato una profonda indignazione nella comunità, rilanciando con forza il dibattito sulla tutela delle persone più fragili, spesso affidate a strutture che, come emerge in questa vicenda, rischiano di trasformarsi in luoghi di abbandono, quando non addirittura di soprusi. Quando viene tradito il patto di fiducia che lega le famiglie agli operatori socio-sanitari, si spezza qualcosa di più grande: il senso stesso di protezione e cura che dovrebbe accompagnare ogni fase della vita.

Tuttavia, dinanzi a episodi tanto gravi e dolorosi, è indispensabile mantenere lucidità. I social, in queste ore, si sono trasformati in un’arena in cui si moltiplicano giudizi sommari, accuse violente, prese di posizione drastiche. Ed è qui che occorre richiamare tutti a un principio essenziale dello stato di diritto: in Italia esistono tre gradi di giudizio, e fino alla condanna definitiva ogni imputato ha diritto a essere considerato innocente.

Questo non significa giustificare o minimizzare. Al contrario, significa chiedere giustizia vera, fondata su prove e su un processo regolare, non su processi paralleli celebrati online. Condannare moralmente determinati comportamenti – se accertati – è doveroso. Ma non possiamo permettere che l’indignazione collettiva scivoli nella barbarie del linciaggio mediatico.

Serve equilibrio, serve rispetto per le persone coinvolte e per le istituzioni. E soprattutto serve un’assunzione di responsabilità collettiva: perché la tutela dei più deboli non si garantisce con l’odio sui social, ma con controlli rigorosi, formazione adeguata, trasparenza e una giustizia che funzioni, fino all’ultima sentenza.

Le indagini sono ancora in corso e non si esclude il coinvolgimento di altre figure.