CALTANISSETTA – Il prossimo parto di opera pubblica fine a se stessa, in un territorio governato con profili sempre più bassi, appare come una realtà virtuale, quasi un paradosso. Trasformerà la piazza Garibaldi, di memoria risorgimentale, già basolata in pietra lavica, poi bitumata, dopo ancora ammattonata e ora da riammattonare con una parvenza di antichizzazione che, può piacere o no, ma non è certo in quello che serve a Caltanissetta “città dei cittadini”.
La pavimentazione, nella sua funzione di ricucitura visuale di un ambito più ampio della piazza Garibaldi, percorsa da un ”filo di Arianna” che virtualizza la lettura puntuale degli ambiti nello spazio, presupporrebbe un allontanamento del traffico automobilistico, ma si limita ad una soluzione al ribasso, di riduzione del traffico con transito a senso unico.
A fronte di un’opera tutta d’immagine, per una città che necessita ‘altro, viene da chiedersi: ma un maquillage per la principale piazza è una priorità? E serve a chi? Forse per i nisseni che l’hanno già snobbata per altri luoghi di aggregazione? O per i frettolosi fruitori della funzione anche direzionale che rappresenta il centro città?
Certo è, che la trasformazione di piazza Garibaldi non può essere stata varata per i nuovi abitanti di questa parte storica della città, estranei per cultura ma custodi notturni non per libera scelta.
Riqualificare un ambito urbano, specie se si tratta di quello più rappresentativo di una città, non significa imbellettare esteriormente, più o meno, un luogo ma piuttosto quello di dare nuova vita ai luoghi a partire prima dai reali bisogni delle persone e non solo dalle cose. In tempi di vacche magre, di austerity in una città economicamente depressa, in una Italia in recessione, ammantare con un stentoreo concorso di idee il “consumo” di un finanziamento ad hoc, significa tirare a campare senza idee e senza un progetto di città sistemica.
Basta guardare le desolate vie che circondano la piazza Garibaldi per rendersi conto dello spopolamento, degli abbandoni e dei crolli, della mutata composizione sociale che rimane, dello svuotamento proprio del centro nella notte. Serve ricordare che, le famiglie nissene più radicate alla città, migliorando il proprio reddito economico nel tempo, sono andate ad abitare nei quartieri che circondano il centro storico. Piazza Garibaldi e tutto il suo intorno viene vissuto di giorno da frettolosi passaggi, e da stazionamenti che poco rappresentano modi del vivere moderno e la figura del nisseno medio. Le graduatorie di vivibilità urbana nazionale sono la cartina al tornasole (se mai ce ne fosse bisogno) che certificano lo schiacciamento di questa città da sempre verso gli ultimi posti in graduatoria per le endemiche carenze dei servizi.
L’opera pubblica “Grande Piazza”, a parte la suggestione grafica del “nuovo è bello” che può suscitare in qualcuno, purtroppo, evidenzia un distacco tra bisogno e risposta tutto politico ma anche accademico. Alle reali necessità di una città che sprofonda, la inadeguatezza di una risposta così importante perché simbolica, richiama alla nostra mente l’aneddoto della regina di Francia Maria Antonietta che, alle grida di pane, da parte del popolo affamato, rispondeva: “ non hanno pane? Che mangino brioche!”
Giuseppe Cancemi

