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Verga a 100 anni dalla sua morte. L’eredità del padre del verismo

Redazione 2

Verga a 100 anni dalla sua morte. L’eredità del padre del verismo

Sab, 22/01/2022 - 10:54

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Se il 2021 è stato l’anno di Dante, il 2022 sarà l’anno di Giovanni Verga. Cento anni fa, il 27 gennaio del 1922, moriva infatti lo scrittore catanese, capostipite del movimento letterario del Verismo, e che con la sua penna ha sapientemente raccontato le disgrazie, i fallimenti e i patimenti degli ultimi. Verga infatti è stato un fedele cronista del suo tempo, anche se la sua letteratura era attraversata da un profondo pessimismo. Nei suoi capolavori come “I Malavoglia”, “Mastro don Gesualdo” o la novella di “Rosso Malpelo” è racchiusa tutta la sua ideologia: attento e sensibile verso gli umili, vedeva nel loro riscatto un’impresa quasi irrealizzabile.

Basta leggere “I Malavoglia”, universalmente considerata la sua opera migliore, per rendersi conto di quel pessimismo che lo contraddistingueva; nel libro c’è il racconto di una famiglia siciliana di pescatori, che ambisce ad elevarsi economicamente, ma quell’ambizione finisce per naufragare, come la Provvidenza, la barca inghiottita dal mare assieme a Bastianazzo.

Teorizzava l’impersonalità dell’autore, il rigore del racconto, il distacco, perché -sosteneva – lo scrittore deve “eclissarsi”. E il riscatto dei poveri nelle sue opere non si compie, anzi. Le sue teorie collimavano con quel darwinismo sociale, la cui sintesi potrebbe essere liquidata con la semplice interpretazione della legge della selezione umana.

 Verga fotografava la realtà e a differenza di Èmile Zola non la denunciava. Apparteneva alla nobiltà e non per questo non provava empatia per le classi meno abbienti; ma non credeva nella loro autodeterminazione. Era un conservatore, rifiutava le teorie progressiste più in voga tra i letterati del tempo. Era un colonialista, nazionalista, interventista, e prima che morisse aveva guardato con simpatia a quell’impianto ideologico alla base del nascente Partito Fascista, anche se non si iscrisse ai Fasci di combattimento. Da scettico, se non proprio ateo, rifuggiva dal credere alla Provvidenza divina, anzi Dio appare quasi sempre assente nelle sue opere.

Considerava dei vincitori i consapevoli perdenti della storia, coloro che accettano il proprio destino con rassegnazione; scelta sintomo di saggezza.

Era un fatalista, di quel fatalismo tratto distintivo dei siciliani. Osservava e raccontava la schiettezza della vita vissuta dagli ultimi; la loro fatica, la lotta continua e impari in quella giungla, la società, che vedeva nei poveri dei corpi estranei o semplici membra da sacrificare. Le sue opere furono tradotte in lirica, come nel caso de “La cavalleria rusticana”, o ebbero una trasposizione cinematografica.

“I Malavoglia” ispirarono Luchino Visconti per il capolavoro “La terra trema”; nel 1953 Alberto Lattuada portò sul grande schermo “La lupa”. In questo 2022 appena principiato saranno molte, soprattutto all’ombra dell’Etna dove Verga visse gran parte della sua esistenza, gli eventi in sua memoria. Il Festival Verghiano quest’anno vedrà il suo culmine con l’assegnazione del Premio Verga al tenore Plácido Domingo, interprete di Turiddu nel celebre film-opera “Cavalleria rusticana” di Franco Zeffirelli, a 40 anni esatti dalla trasposizione. Sarà costituita anche una rete culturale che riunisce città, enti e università italiane ed europee: dalla Sicilia (con Palermo, Vizzini, Catania, Ragusa) a Irsina, Montalbano Jonico, Matera, Roma e Milano. Presente anche Parigi, che appartiene al trascorso di Giovanni Verga sia nei legami con Emile Zola sia come luogo del suo esordio teatrale fuori dai confini nazionali.

E’ prevista una collaborazioni anche con la città di Vigevano nell’omaggio al talento eccezionale di Eleonora Duse, prima storica attrice del dramma rusticano.