Caltanissetta – “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori…” cantava così Fabrizio De Andrè in “via del Campo”, regalandoci una metafora delle periferie esistenziali che è rimasta famosa e ricorrente, anche per consolare gli “ultimi” della vita che qualcosa di buono anche da loro può venire.
Cento anni fa, nella Caltanissetta “lontana e sola” in un secolo che ne avrebbe visto il declino, nasceva Rosario Assunto (1915/1994), il filosofo dell’estetica del giardino, iniziatore in Italia dell’estetica del paesaggio, raffinatissimo e colto pensatore, docente di Estetica e di Filosofia nelle università di Roma e di Urbino, autore di decine di libri preziosi dai titoli particolarmente evocativi: Forma e destino (1957), La critica d’arte nel pensiero medioevale (1961), Estetica dell’identità (1962), L’estetica di Kant (1971), Il paesaggio e l’estetica (1973), L’antichità come futuro (1973), Filosofia del giardino (1981), Ontologia e teleologia del giardino (1990), Giardini e rimpatrio (1991), Bellezza come assoluto (1992) tra i più importanti.
La bellezza, l’arte e il giardino come archetipo di civiltà sono stati i temi al centro della sua elaborazione filosofica di pensatore controcorrente, protagonista di un anti-’68 nelle università in cui insegnava, contrastando con soave determinazione il voto politico, l’insegnamento assembleare, gli esami collettivi, guadagnandosi il rispetto di molti leader del Movimento Studentesco che non ne contestarono le decisioni, apprezzandone la coerenza con una visione aristocratica di qualità ma non socialmente selettiva degli studi universitari. E con lui come con pochi altri docenti quegli studenti potevano dialogare sulla letteratura della beat generation, Kerouac e gli altri poeti della contro-cultura.
Appassionato, nella sua mitezza, cultore delle contraddizioni, sereno e curioso nel misurarsi con le differenze che contrastavano con il suo pensiero, come nella lunga amicizia con Giulio Carlo Argan, storico dell’arte e sindaco di Roma, molto distante dalle sue idee politiche ma interlocutore costante e ricercato.
Nel salotto romano di Elena Croce, (che nel 1956 avrebbe fondato, con altri intellettuali, Italia Nostra), i temi della cultura e della natura trovavano spazi inediti di confronto, in anni in cui era l’economia del “miracolo economico” a monopolizzare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei maitre à penser, mentre partiva l’attacco speculativo al territorio italiano, urbano, costiero e rurale.
L’uomo in rapporto con la natura nella creazione di un equilibrio magico e possibile tra due soggetti, con sapienza ma senza prevaricazioni: antesignano in questo del pensiero ambientalista, Rosario Assunto; mentre l’estetica italiana metteva invece al centro degli studi la semiotica, le sue opere sulle “forme”, sia artistiche che concettuali, sul linguaggio visuale, venivano tradotte e studiate all’estero con grande successo.
La sua idea dell’estetica del paesaggio come chiave interpretativa di questo equilibrio umanità/natura lo avrebbe portato a prendere posizione, in tempi non sospetti, su alcune grandi questioni di tutela dell’ambiente: contro il ponte sullo stretto di Messina, per esempio, quando tutta la classe dirigente regionale ne faceva un totem della modernizzazione e dello sviluppo, proprio nella sua Sicilia.
Il paesaggio nel suo pensiero era stato definito “spazio limitato ma aperto, presenza, e non rappresentazione, dell’infinito nel finito”; così come il giardino, spazio progettato dall’uomo, a somiglianza del primo spazio in cui l’uomo e la donna sono nati, il Gan, il Giardino dell’Eden, progettato e scelto dal Creatore per loro.
“Siciliano di antica educazione e uomo di animo mitemente gentile”, lo aveva definito Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera nel giorno della sua scomparsa: l’educazione “di chi per carattere, per formazione, per cultura rifugge da ogni aggressivita’ e da ogni invadenza. Schivo ma non per impulso di misantropia, poteva e sapeva dimostrare grande cordialita’ e il suo calore, la sua comunicativa affabile nascevano dalla freschezza, trovavano nutrimento nella varieta’ dei suoi interessi.”
Con quell’autenticità silenziosa e riflessiva aveva elaborato il senso della contemplazione della bellezza che l’uomo riesce a rappresentare nel giardino, il kepos della classicità, andando controcorrente negli anni della filosofia dell’azione e poi della cultura del “fare”. Bellezza capace di fare riconquistare all’uomo tecnologico della società globalizzata la sua umanità di essere pensante liberato dalla signoria dell’utile e del produttivo.
L’anticonformismo delle idee impopolari e la coerenza di sostenerle anche nell’isolamento hanno caratterizzato la sua vicenda di intellettuale in controtendenza, che ha portato sul piano della teoria filosofica un’emergenza dell’antropologia contemporanea come il rapporto tra l’uomo e la natura, andando oltre lo scientismo e il neo-idealismo in cui si era formato e proponendo un approccio di spiritualismo esistenzialista ancora inedito nei suoi anni, spiazzante, interrogativo.
Fino a teorizzare il diritto alla bellezza per tutti gli esseri umani, oltre la loro collocazione sociale, patrimonio di tutti da contemplare, senza consumarla. Sottraendola al suo essere lusso per l’ “otium” delle classi privilegiate.
Un uomo di provincia, venuto dalla periferia dell’Italia, dalla piccola Caltanissetta vissuta fino agli anni del Liceo, (il Classico “Ruggero Settimo” in cui si era diplomato brillantemente), è riuscito a porre al centro della riflessione della cultura italiana un tema profetico, anacronisticamente anticipato (come tutti i profeti di nuove idee).
E’ riuscito a farsi ascoltare in tutta Europa, con la sua sobrietà senza clamori, nemica delle spettacolarizzazioni quanto appassionata nei confronti dialettici, con la sua elaborazione che aveva come orizzonte l’intero pianeta, violentato dallo sfruttamento delle risorse ambientali e deturpato dalla sostituzione della bellezza con la speculazione. Pianeta che lui voleva tornasse ad essere lo spazio umanistico in cui l’uomo fa emergere la bellezza dalla natura.
Quella “bellezza che salverà il mondo” che dall’epoca della rivoluzione industriale la sensibilità dei poeti e dei teologi non si è stancata ancora di cercare.

