E’ uscito per le Edizioni Sciascia di Caltanissetta, nella collana di studi dell’Istituto Gramsci Siciliano, il nuovo libro di Filippo Falcone “Sovversivi – Figure dell’antifascismo siciliano. La provincia nissena”, con prefazione del prof. Salvatore Nicosia, già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo e Presidente dello stesso istituto.
Nucleo centrale dell’opera è proprio la militanza antifascista nella provincia di Caltanissetta, che fu uno dei centri maggiori delle cellule clandestine contro il regime fascista in Sicilia. Le presentazioni del libro, previste in questi mesi, purtroppo, a causa delle restrizioni dovute al Coronavirus, sono per il momento sospese, ma il libro si può acquistare anche on line contattando la casa editrice Sciascia.
In merito a questa sua nuova pubblicazione l’autore scrive nella sua Introduzione che «se è vero che la Sicilia, liberata dagli Alleati nel luglio 1943, non conobbe quella che fu la cosiddetta guerra di Liberazione – che caratterizzò invece la gran parte dell’Italia centro-settentrionale tra il 1943 e il 1945 – è pur vero che, già dall’avvento del fascismo, l’isola aveva conosciuto varie forme di opposizione al regime. In quel contesto, tra le province siciliane, quella di Caltanissetta, proprio per le sue forti tradizioni socialiste, fu tra le più attive».
In questa ricerca molto utilizzati sono i documenti, soprattutto le schedature di polizia dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Si tratta, per lo più, di “rapporti di condanne” dei cosiddetti Tribunali speciali e delle sue Commissioni, operanti in ogni provincia durante il fascismo. Erano, questi, organismi della magistratura che emettevano provvedimenti nei confronti degli oppositori del regime, che andavano dalle diffide, agli arresti, al confino di polizia. Ciò si verificava già dai primi anni del fascismo, nei confronti non solo di tutte quelle avanguardie di lotta, da punire per la loro ostinata volontà di non accettare la dittatura fascista, ma anche verso coloro che non si allineavano al conformismo che il regime richiedeva o che mostravano, comunque, tentennamenti a quel consenso. Si pensi, ad esempio, a quello che si verificò a Caltanissetta già nei primissimi anni del regime nei confronti di alcuni operai del Circolo dei ferrovieri, licenziati senza alcun preavviso e privati di indennità e pensione. Ed ancora le repressioni verso le stesse famiglie degli oppositori, sino ad arrivare al vero volto violento del totalitarismo fascista con aggressioni e suicidi simulati, come nel caso di alcuni antifascisti di Serradifalco.
Ma, accanto all’antifascismo soprattutto di matrice zolfatara di realtà come Caltanissetta, Serradifalco, Sommatino, Riesi – se vogliamo più elementare, ma altrettanto prezioso – vi fu poi quello “eroico”, che fece scegliere a molti siciliani, a molti nisseni, la lotta al nazifascismo nel Nord Italia o all’estero (Francia, Spagna, Jugoslavia).
In questo quadro, come scrive il prof. Nicosia nella sua Prefazione, «Filippo Falcone ha voluto ricostruire anche l’impegno resistenziale. Fondandosi sulla documentazione archivistica ufficiale, su notizie di stampa minore coeve agli eventi narrati, sul ritrovato Archivio dell’Anpi di Caltanissetta finora ignorato, su memorie personali dei protagonisti rimaste inedite, o testimonianze dei familiari, l’autore offre un quadro della straordinaria partecipazione di nisseni alle varie forme di resistenza al fascismo. Ci sono i giovani che l’8 settembre, trovandosi già al Nord come soldati o ufficiali, si sottraggono alla lusinga del “tutti a casa”, e, senza esitazione alcuna sulla scelta da compiere, arrivano a svolgere ruoli dirigenziali nella Liberazione (Luigi Cortese “commmissario Ilio”, a Parma); i personaggi di estrazione sociale elevata, come Pompeo Colajanni, antifascista della prima ora, che dopo aver tessuto una fitta rete di opposizione coglie l’occasione del suo richiamo come ufficiale per continuare con le armi la lotta prima condotta con gli scritti e con i comportamenti, diventando una delle figure principali della Resistenza italiana (“comandante Barbato” in Piemonte); i giovani come Salvatore Auria da Sommatino, di professione falegname, che liberato dagli Alleati mentre era al confino nelle isole Tremiti, pur potendo rientrare in paese (come il padre, anch’egli confinato), prende la via del Nord e partecipa come “commissario di guerra” alle azioni della VIII Brigata d’assalto Garibaldi “Romagna”, perdendo la vita in combattimento contro i nazisti a Forlì (medaglia d’argento).
Ma accanto a queste e tante altre figure di rilievo della guerra di Liberazione, c’è la folla degli antifascisti per coraggio civile e politico in piena vigenza del fascismo, in contesti provinciali difficili e facilmente soggetti al controllo e alla repressione; i semplici ferrovieri, minatori, contadini, artigiani, cittadini comuni, che costituiscono cellule comuniste e socialiste sui luoghi di lavoro, si raccordano con realtà analoghe di altri centri, fanno opera di proselitismo, diffondono la stampa clandestina, distribuiscono manifesti e volantini, tracciano sui muri parole d’ordine con la vernice rossa, compiono atti simbolici come dispiegare una enorme bandiera rossa sulla statua del Redentore, nel punto più alto di Caltanissetta. Le conseguenze di questo diffuso dissenso (fra i tanti animatori va citato almeno il nome di Calogero Boccadutri) sono, nei casi più lievi, le spedizioni punitive dello squadrismo fascista, ma per molti la discriminazione nel lavoro, il processo al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, e la condanna ad anni e anni di detenzione e di confino alle Tremiti, a Ponza, a Ventotene».
Un libro, quello di Filippo Falcone, che ci da la misura di come a queste figure dobbiamo davvero molto: la nostra libertà.