Mussomeli, col. Schifano: “Alt ! no, ai nostri soldati in Libia”

Iraq-estate 2004 a Nassiriya -orgoglioso d'essere stato ^._.un Soldato^-MUSSOMELI – Il colonnello della riserva dell’Esercito Calogero Schifano in una sua nota titola così il suo argomentare: “Alt ! no, ai nostri soldati in Libia”, “ I soldati hanno bisogno di conoscere chiaramente l’obiettivo, senza il quale, non si va da nessuna parte. Non facciamoci trascinare in una avventura inutile, ed altamente rischiosa. No a Peace Enforcement Operations. Vorrei tentare di fare una sintesi – senza avere la pretesa d’essere esauriente – della intricata, confusa situazione “ sul campo “, in Libia. Quella terra, per quanto si sa, è un groviglio di interessi politici, economici e militari, contrastanti, con strategie occulte ed ambigue anche da parte di potenze straniere, formalmente anche amiche. E’ uno scenario pieno di insidie; la minaccia non è chiara, la “ trincea “, non è definibile. Diecine di bande criminali, armate, senza scrupoli, vanno alla ricerca di danaro, decise a tutto. Gruppi estremisti di fanatici terroristi, si combattono e si sgozzano, tra di loro per il dominio del territorio, politicamente conteso – a macchia di leopardo – tra autorità istituzionali o di fatto. Così stando le cose, il nemico, sul terreno, può spuntare dappertutto; gli italiani, non vogliono che i propri soldati vengano mandati la. Io, non sono d’accordo all’invio di nostre truppe in Libia. E’ meglio proteggere i vitali interessi nazionali, stando “ fermi “, di scolta, schierati sul mare e sulla terra ferma, a noi prossima, in attesa di una “chiamata “, da parte di un potere istituzionale riconosciuto dalla comunità internazionale. In Libia, in atto, manca la cosi detta “ Comprehesive Approach “. Così anche ha sostenuto il generale Graziano Capo Stato Maggiore Difesa, 27.11.2015. In altri termini, li mancano le basi per dare risposte certe, globali, ed efficaci, idonee a favorire un sia pure minimo processo di normalizzazione, in un contesto infiammato da lotte tribali, in cui le “ sorgenti di fuoco “, sono imprevedibili. Il ministro della Difesa R.Pinotti: “ La Libia può essere stabilizzata solo con…forze locali “.25.2.2016. L’Italia non può “ entrare “…..,senza la certezza di uscirne – senza enfasi – vittoriosa. Berlusconi: “ no interventi frettolosi “, 4.3.2016. “ La guerra è una cosa seria, non è un video giuoco “, il Presidente Renzi, 6.3.2016. Il soldato obbedisce, ma deve avere noto il compito, deve sapere chi è, e dove è il nemico da combattere, deve avere chiaro, inequivocabile, l’obiettivo da perseguire. Non può essere mandato in un campo di battaglia, subdolo, paludoso, ad alto rischio, tanto per esserci. Facciamo tesoro delle “ lezioni apprese “, in Somalia, Iraq, e in Afghanistan. Il soldato italiano – d’ogni arma – è di valore; è riconosciuto, internazionalmente, il meglio, sotto il profilo umano; è professionalmente competitivo con quello dei migliori eserciti del mondo. Mandato in Libia non va a giocare, ma va a combattere, può morire, magari decapitato, ma se ciò, inevitabilmente accade, dovrà avere uno scopo imperativo, altamente remunerativo, una giusta causa, la “ tutela degli interessi vitali “ della Nazione, che si estrinseca in termini di libertà e democrazia: un valore assoluto per cui ha combattuto ed è morto”.

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  • la mediazione, anche se lunga e difficile, è l'unico modo per poterne uscire almeno in parte!

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