Cronaca

Caltanissetta, processo Borsellino depistaggio. Pentito: “La Barbera era nelle mani di Riina”

“Riina teneva tra le mani La Barbera”. Cosi’ il pentito Francesco Onorato nell’udienza di oggi pomeriggio in Corte d’Appello di Caltanissetta del processo sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. Imputati tre poliziotti che fecero parte della squadra mobile di Palermo nel ’93 guidata da Arnaldo La Barbera. I tre poliziotti sotto processo sono Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata per agevolare cosa nostra. L’accusa dell’aggravante e’ caduta in primo grado, cosi’ per Bo e Mattei e’ giunta la prescrizione del reato mentre Ribaudo e’ stato assolto.

Tra le parti civili in aula c’e’ Gaetano Murana. Sul banco dei testimoni e’ salito il collaboratore di giustizia palermitano Francesco Onorato. Il procuratore generale Maurizio Bonaccorso ha posto domande sull’ex capuadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, facendo leva sulle dichiarazioni che lo stesso collaborante ha reso durante il processo trattativa Stato-mafia e al processo depistaggio di primo grado.

Onorato ha confermato quanto dichiarato durante il processo depistaggio di primo grado, in particolare dei rapporti tra La Barbera e alcuni esponenti di Cosa nostra: “La prima volta che ho sentito il nome di La Barbera e’ stato per una rapina a Palermo. La Barbera aveva sparato a un rapinatore dell’Acquasanta uccidendolo. Nelle regole di Cosa nostra solo Cosa nostra poteva uccidere, un poliziotto non si poteva permettere di uccidere un altro. Biondino mi disse che si doveva uccidere La Barbera. Poi lo stesso Biondino mi disse che Riina e Madonia tenevano a La Barbera e che lo avevano tra le mani. Avevano archiviato quindi questa cosa”. 

“Girolamo Fasone era un ragazzo dell’Acquasanta, non era vicino a Cosa nostra ma era molto amico ai fratelli Galatolo. L’omicidio avviene in un centro estetico di Palermo. Nessuno si puo’ permettere di ammazzare una persona. C’era da prendere una iniziativa per dare l’esempio agli altri”, ha spiegato Onorato Il collaboratore di giustizia nel ’92 era il reggente della famiglia di Partanna Mondello.

Onorato avrebbe parlato con Salvatore Biondino dell’omicidio di Fasone. Lo stesso Biondino che inizialmente gli disse di vendicare il delitto di Fasone in un secondo momento gli ha detto: “Per quanto riguarda il fatto di La Barbera lasciamo stare perche’ i Madonia ci tengono e anche Riina”. Quest’ultima discussione sarebbe avvenuta prima dell’omicidio dell’onorevole Salvo Lima. “Successivamente l’omicidio Lima – ha detto Onorato – Salvatore Biondino ha portato una lista di persone che dovevano essere uccise, nell’occasione mi disse che si doveva progettare di uccidere anche La Barbera. Io mi reco a studiare l’abitudine e i movimenti di La Barbera all’hotel Perla del Golfo a Cinisi. Li’ studiavo le abitudini di La Barbera. Mentre sono alla Perla del Golfo e con Giovanni Ferrante studiavamo come farlo saltare in aria, fu ucciso Borsellino e quel giorno io ero alla Perla del Golfo. L’indomani della strage Borsellino a La Barbera gli rinforzano la scorta che non se ne andava piu’. Mentre sono alla Perla del Golfo mi chiama mio cugino, che era vicedirettore alla Perla del Golfo, e mi avvisa che c’erano andati i carabinieri e gli avevano comunicato che li’ dormiva un mafioso, cioe’ Onorato. Poi vado latitante e l’omicidio di La Barbera non si fa piu'”.

Onorato ha aggiunto che aveva molto sangue freddo “e inquadravo bene le attivita’ criminose da fare”. Lo stesso collaboratore di giustizia ha raccontato che aveva pensato di uccidere La Barbera da un muro di recinzione oppure “con la montagna di terra. La mattina quando lo venivano a prendere c’era un viale di qualche chilometro. Si poteva mettere una montagna di terra con il tritolo e farlo saltare in aria. I progetti poi sono saltati perche’ io mi sentivo gli sbirri addosso e Mutolo collaborava”.

Il collaboratore di giustizia Francesco Onorato inizio’ a parlare di Arnaldo La Barbera e del progetto omicidiario da parte di Cosa nostra ai danni del superpoliziotto nel 2013. A specifica domanda del procuratore generale Gaetano Bono al processo sul presunto depistaggio della strage di via D’Amelio il collaboratore di giustizia ha spiegato la sua decisione. “Quando Berlusconi inizia a dire che al collaboratore se non ci sono riscontri viene revocato il programma di protezione ho iniziato a riflettere.

La collaborazione bisogna andare piano piano e con i piedi di piombo. Uno che ha fatto parte di Cosa nostra man mano si va ricordando certi episodi e certe cose. Ed io le dico se le ricordo. C’e’ chi giudica e chi ne prende atto”. Ed ha aggiunto: “Ne parlo nel 2013, come mi sono dimenticato di dire cose di Vizzini, Mannino e altri. Ci sono tante cose che uno dimentica. Alcune volte viene stuzzicata la mente e lo dico”.

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