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Caltanissetta. Casa Rosetta, un’isola felice per la parità di genere: il 53% dei dipendenti è donna

La ricorrenza dell’8 marzo è molto sentita da parte di tutto il mondo e in ambito lavorativo oggigiorno il tema delle “quote rosa”, dell’inferiorità delle donne rispetto agli uomini come ruoli, carriera e stipendi è una condizione che le statistiche nazionali non fanno altro che confermare: secondo il periodico statistico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto e pubblicato in occasione della Giornata internazionale della donna 2022, il gap tra lavoratori e lavoratrici è più che presente attualmente con una differenza di retribuzione pari al 14,1%. Le donne, in pratica, guadagnano 86 centesimi per ogni euro guadagnato dagli uomini e avrebbero bisogno di lavorare due mesi in più per compensare questa discrepanza.

La stessa impietosa fotografia sociale verrebbe confermata dai dati elaborati dal Censis, secondo cui le donne, pur avendo studiato più degli uomini, risultano essere meno valorizzate sul posto di lavoro, ricoprendo raramente ruoli di responsabilità col loro talento dunque mortificato e conseguenze che pesano sul vissuto delle singole donne ma anche sull’intera società che si trova a dover fare a meno di risorse preziose. Ma senza andare a esplorare “astratti” ambiti statistici e di ricerca sul tema, basta guardare gli spettacoli televisivi di massa in cui troppo spesso le donne continuano a rivestire anacronistici ruoli subalterni e di accompagnamento nei grandi festival e spettacoli televisivi.

Ebbene, Casa Rosetta rappresenta in tal senso un ambiente lavorativo controcorrente, un’isola felice: infatti, dati alla mano, la percentuale di dipendenti di sesso femminile è del 53% e il valore complessivo delle retribuzioni delle dipendenti donne è del 54% sul totale: la retribuzione media femminile è dunque leggermente superiore a quella maschile.

A raccontare l’esperienza positiva è Claudia Lamartina, psicologa del Centro Diurno dell’Associazione Casa Rosetta.

“In ogni area organizzativa di Casa Rosetta (Amministrazione, Formazione, Riabilitazione, Comunità, Case alloggio) la presenza delle donne è capillare e mai demansionata: sono medici, psicologhe, assistenti sociali, biologhe, psicomotriciste, oss, educatrici professionali, logopediste, maestre d’arte. Tutte lavorano con competenza e senza “sconti”, col solo obiettivo del benessere dell’assistito, nella consapevolezza che sia responsabilità di ognuno lavorare e dimostrare quanto la propria professionalità possa dare benefici agli altri che chiedono supporto. Nella mia esperienza di cinque anni in Associazione ho costantemente respirato un clima di totale considerazione della Persona aldilà di qualsiasi classificazione di “genere”: la valorizzazione del talento di ciascuno/a avviene sempre nella logica di un miglioramento globale che consente poi di avere delle ricadute positive su tutti i servizi offerti dall’Associazione.

Parlando con colleghi e colleghe, la maggior parte ha avuto modo di formarsi umanamente, spiritualmente e culturalmente grazie a Casa Rosetta: molti hanno cominciato con un ruolo e poi hanno studiato continuando a lavorare, avendo così la possibilità di progredire nella professionalità. Le colleghe che hanno avuto necessità di usufruire di congedi parentali non hanno mai subito al ritorno a lavoro alcun tipo di riduzione mansionaria (cosa che purtroppo avviene in molte realtà aziendali). Da non sottovalutare il fatto che un aspetto fondante la missione che caratterizza l’Associazione, il supporto agli “ultimi”, trova nella forte presenza femminile una spinta vitale data proprio dalla naturale predisposizione femminile alla sensibilità, all’empatia, all’altruismo, alla comprensione dei bisogni dell’altro.

Vediamo quindi come in un territorio spesso considerato arretrato come la Sicilia, esiste Casa Rosetta che rappresenta una realtà che riesce a sovvertire stereotipi di genere e a garantire coi fatti un percorso di lavoro egualitario, senza la declamazione di controproducenti (perché ancora più riflettenti una concezione maschilista del lavoro) “quote” di presenza femminile, proprio perché, sin dalla sua fondazione, non è mai stata concepita come rilevante la differenza di genere ai fini del bene del prossimo”.

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