Rassegna stampa

San Cataldo, depressa si uccise: medico condannato, 850mila euro ai figli

Quel suicidio poteva essere evitato dal medico specialista. Una famiglia riceverà un maxi-risarcimento da parte dell’Asp di Caltanissetta per la morte di Rosaria, mamma e moglie. Aveva partorito da poco meno di tre mesi il suo secondo figlio, una bambina, quando si lanciò dal balcone della sua casa, a San Cataldo. Era il 2 settembre del 2009. Rosaria soffriva da anni di problemi psichici, il giorno del suicidio aveva bevuto un intero flacone di un forte sedativo. Il caso venne chiuso come una tragedia familiare.

Il marito, invece, non si era rassegnato alla fine della sua compagna. Una fine che, secondo lui, poteva essere evitata. Perché quel 2 settembre si era rivolto a un medico, lo psichiatra che seguiva Rosaria da tempo. Aveva visto che la moglie aveva buttato giù quell’intera boccetta e lo disse al dottore. Ma la donna fu rimandata a casa dal medico che non predispose “alcun accertamento”.

Poche ore dopo, Rosaria, 37 anni, si lanciò nel vuoto dal balcone al quarto piano di casa, lasciando i due figli piccolissimi e il marito. Lo psichiatra dell’ospedale Raimondi è stato condannato anche in Cassazione, nel 2017, a quattro mesi per omicidio colposo. E pochi giorni fa il tribunale civile ha deciso un maxi-risarcimento per il marito e i due figli, che oggi hanno 12 e 10 anni. A versare gli oltre 850mila euro sarà l’Asp di Caltanissetta, condannata dal giudice monocratico Alex Costanza.

“L’Asp di Caltanissetta — dice Giovanni Agate, l’avvocato che ha assistito la famiglia della vittima — ha continuato l’iter giudiziario nonostante in sede penale un loro medico fosse stato condannato definitivamente per la morte della paziente. Il giudizio civile, che pesa su tutti i cittadini per le spese, poteva essere evitato. Era evidente la colpa della struttura già nel primo processo”.

Rosaria soffriva da tempo di disturbi psichici ma era stata sempre seguita, grazie anche all’attenzione del marito. Alla sua patologia, dopo la nascita della seconda figlia, si era aggiunta anche una “depressione post partum”. Il marito aveva intuito che la situazione era da tenere d’occhio con maggiore attenzione e proprio quel maledetto giorno aveva sorpreso la moglie a bere il contenuto di un flacone, molto probabilmente per farla finita. Allora era corso con lei dallo psichiatra che l’aveva in cura. Secondo il medico, però, l’assunzione di quel farmaco non rendeva necessario un ricovero: perciò non aveva disposto “i necessari accertamenti medici”, è scritto nella sentenza penale.

Secondo i consulenti del tribunale civile “la mancanza di un adeguato periodo e modo di osservazione della paziente hanno giocato un ruolo fondamentale nella vicenda”. I giusti trattamenti avrebbero evitato il suicidio, secondo la relazione dei consulenti, e avrebbero permesso di identificare “e neutralizzare con cure idonee i potenziali rischi clinici connessi”. Il giudice, nella sua decisione, ha tenuto conto anche dei legami affettivi che quel suicidio ha reciso.

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