Nel barese, “adesso ti facciamo diventare bianco”: bambino di colore aggredito con la schiuma spray

Cento metri dividono la casa del professore dove va al doposcuola e lo studio professionale di sua madre: Antonio (il nome è di fantasia) li percorre ogni giorno da quando si è riaperta la scuola. Un piccolo spazio di libertà e di autonomia fra il dovere dei compiti e l’abbraccio di sua madre. Eppure in quei cento metri, due giorni fa, è accaduto qualcosa che rischia di rubargli la spensieratezza dei suoi otto anni e mezzo: un gruppo di ragazzi poco più grandi lui lo hanno preso di mira e lo hanno coperto dalla cintola in su con la schiuma di una bomboletta spray.

È stata una ritorsione. Mentre tornava nello studio della madre, Antonio aveva notato il gruppetto di ragazzi che con quella bomboletta spray si divertiva a imbrattare le auto parcheggiate lungo la strada. Non ragazzi qualsiasi: Antonio li conosceva e per questo si sentiva in grado di metterli in guardia, di farli desistere.

Ma la reazione è stata diversa da quella che era, per lui, lecito aspettarsi. Anzi di più, perché è diventata una bomba emotiva per come quei ragazzi che considerava amici lo hanno apostrofato in dialetto (siamo in un paese dell’hinterland di Bari): “Sei nero, ora ti facciamo diventare bianco”. Antonio improvvisamente si è sentito diverso. Lui, figlio di genitori separati (la madre italiana, il padre ivoriano) e nato in Italia. A raccontarci la storia è la mamma: “È arrivato allo studio spaventatissimo, lo hanno rincorso dopo quella minaccia di farlo diventare bianco. Si è calmato dopo ore e tende a giustificarli”.

“‘Loro fanno così, mi hanno detto che bianco è meglio che nero’, mi ha detto ” – racconta Annamaria (anche questo nome di fantasia). Così nasce il razzismo, ma Annamaria tende a non considerarlo un atto di bullismo. E proprio per questo non vuole denunciare l’aggressione, ma vuole ricevere aiuto. “Non ho fatto nulla, ho un’attività professionale e devo tutelare me e mio figlio. Volevo fare una sensibilizzazione attraverso i social, ma sappiamo che cosa accade con insulti e parolacce. Ho lasciato stare, meglio una sensibilizzazione”.

In passato si è verificato un altro episodio, ma questa volta è accaduto tra le mura scolastiche. È lei stessa a raccontarlo: “Mio figlio ha i capelli molto ricci. E in prima elementare questa sua particolarità induceva i suoi amichetti a tagliare i ciuffetti dei suoi capelli. Tornava a casa, spesso, con questi spazi vuoti in testa – dice Annamaria – Lui l’ha sempre preso come un gioco. Ma quando ho visto che la cosa diventava frequente, ne ho parlato con la maestra e la risposta che ho avuto è stata sconfortante: “Ne ha tanti di capelli, gli ricresceranno”. Allora ho capito che sarebbe stato meglio fargli cambiare scuola. E così è stato: a convincermi è stato mio figlio, che a un certo punto mi ha esplicitamente detto che non voleva più andare a scuola in quell’istituto. Così l’ho iscritto a un’altra scuola in un altro paese. Adesso va molto meglio “.

Tranne l’episodio dell’altra sera, che scaraventa lei e Antonio in quel tunnel che proprio bullismo non è. Annamaria non vuole crederci ancora: “Alla sua età mi fa domande quando in televisione vede le storie di migranti e le parole d’odio contro di loro. Nonostante con suo padre siamo separati, siamo riusciti a fare arrivare in Italia anche le sorelle, avute da un precedente matrimonio in Costa d’Avorio, con un ricongiungimento familiare. L’ho fatto volentieri perché nel loro Paese non stavano affatto bene. Antonio è sempre molto felice di incontrarle, anche se ora non vivono più in Italia”.

Avrà bisogno anche di loro ora che, a otto anni e mezzo, ha scoperto come anche il peso leggero della schiuma di uno spray possa trasformarsi in macigno pesante che fa male. (di PIERO RICCI e GIANCARLO VISITILLI, fonte bari.repubblica.it)

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