Sabato 18 febbraio 2017 il divin codino compie 50 anni. E’ partito da Caldogno, si è fatto amare da Pelé,Maradona e Rivera ed è stato vicino a Borgonovo. Ora vuole far crescere i giovani, con i valori con cui è cresciuto lui.

A veder giocare Baggio ci si sente bambini. È l’impossibile che diventa possibile. Una nevicata che viene giù da una porta aperta del cielo”. Parole e musica di Lucio Dalla. Un poeta. Robi compie 50 anni eppure sembra ieri quando danzava con il pallone tra i piedi. Come ha ricordato il suo amico Roberto Benigni «un misto tra Rudolf Nureyev e Lorella Cuccarini». Il Piccolo Diavolo e il Piccolo Principe. Si sono conosciuti quando Baggio ha cominciato a trasformare il pallone in arte, con la maglia della Fiorentina. Felice, quasi incredulo, per aver vinto una battaglia impossibile. Quella di poter continuare a giocare a calcio nonostante la rottura dei legamenti del ginocchio. Dieci ore di intervento nella clinica del professor Bousquet. Una sfida disperata. Che Robi vince. E tutto, d’incanto, diventa magia. Con la maglia viola segna un gol da copertina contro il Milan di Van Basten, una rete che è una pennellata di classe al San Paolo. Il Codino sembra Diego. Ne salta uno. Due. Tre. Supera il portiere e appoggia in rete. È il suo marchio di fabbrica. Volare leggero con il pallone attaccato al piede, saltare avversari con slalom degni di Alberto Tomba. Geniale, imprendibile. La Fiorentina è il suo trampolino di lancio. Un rapporto profondo. In realtà mai tradito. Perché i primi amori hanno sempre qualcosa di speciale. «Baggio è un grande che non è mai arrivato a sviluppare tutta la sua potenzialità», ha osservato il Pibe De Oro. Innamorato di Robi. Come Gianni Rivera: «Baggio è l’ultimo romantico del calcio, l’unico calciatore che riesce a non farmi cambiare canale in tv”.
GLI INIZI — Un passo indietro. Robi Baggio nasce a Caldogno il 18 febbraio del 1967, da mamma Matilde e babbo Florindo. Ha rischiato di chiamarsi Eddy (ci si chiamerà il fratello minore) perché il papà, pazzo di ciclismo, era un tifoso scatenato di Merckx. Una vita calcistica con tante maglie: Vicenza, Fiorentina, Juve, Milan, Bologna, Inter, Brescia. Ma se devi immaginarlo con un colore ti viene a mente l’azzurro. Azzurro Italia. Robi è sempre stato vissuto come il campione di tutti. Lui, capace di accendere le notti magiche del Mondiale in casa nostra, nel ’90; lui l’unico azzurro ad aver lasciato la sua firma nel tabellino dei marcatori in tre Mondiali; lui capace di conquistare la fiducia dei c.t. indossando cinque maglie diverse. Nobili e meno nobili. E pazienza per quel rigore sparato al cielo nella finale di Pasadena contro il Brasile. «I rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di tirarli», spiegò con gli occhi pieni di lacrime. E comunque, era stato il Codino a portare quella Nazionale in finale. Ricordate? La rimonta contro la Nigeria, un gol da una posizione impossibile. Robi ci aveva fatto scendere da un aereo pronto a riportarci a casa. Nonostante il rigore sbagliato il mitico Pelé gli dedicò questa frase: «Baggio è una leggenda ed è bello viverlo con la sua semplicità, il suo talento ha segnato il calcio italiano». La Perla Nera lo considerava un brasiliano nato per sbaglio in Europa. Del resto, Robi è cresciuto nel mito di Zico. Dribbling, punizioni telecomandate. Un pallone da accarezzare. Piedi sudamericani.
TROFEI E RECORD — Forse ha ragione Maradona. Forse poteva fare di più. Del resto, Giovanni Trapattoni, che lo ha avuto nel ciclo-Juve, spiegò che: «Baggio è come un pozzo di petrolio dal quale è stato estratto un po’ di greggio». Sarà. Ma non cercate rimpianti negli occhi di un uomo che festeggia felice i suoi 50 anni. Trovereste solo gioia. Serenità. L’orgoglio di avere una splendida famiglia da vivere giorno dopo giorno. Però ha anche vinto. Due scudetti (con la Juve e con il Milan). E una Coppa Italia e una Coppa Uefa conquistata grazie ad alcune sue magie. Chiedere al Borussia Dortmund, travolto in finale. Non ha mai vinto la classifica dei cannonieri in campionato ma ha realizzato 205 gol. Se chiedete a lui il trofeo che più gli ha riempito il cuore vi ricorderà probabilmente due premiazioni: il Pallone d’Oro conquistato nel 1993 e il World Peace Award del 2010, a Hiroshima. Un calciatore nominato Uomo di Pace. Un qualcosa di speciale. Come è Baggio. Come è raccontato da chi lo ha conosciuto bene tipo Guardiola («Robi regala gioia») o Mazzone, il suo ultimo allenatore ai tempi di Brescia: «L’uomo è più grande del calciatore”.
SENTIMENTO — Il calciatore Baggio è una macchina non semplice da spiegare. Michel Platini gli cucì sulla pelle questa etichetta: “Baggio non è un dieci è piuttosto un 9,5”. E non era un modo per incoronarlo. Piuttosto il tentativo di ingabbiarlo in un’etichetta che era tutto e niente. Scatto, dribbling e conclusione vincente sull’uscita del portiere è stato il pezzo forte del suo repertorio. Ma come dimenticare le sue pennellate su punizione. E la freddezza nei suoi faccia a faccia con i portieri. Spietato come i pistoleri di Mezzogiorno di Fuoco. Il tutto riuscendo a convivere con delle ginocchia tenute insieme da ore e ore di lavoro in palestra e dalla sua voglia di non arrendersi. Chi ha accompagnato la sua battaglia per essere calciatore fatica a riconoscersi nella velenosa battuta dell’Avvocato Agnelli: “Baggio? Un coniglio bagnato”. Robi non è mai stato una persona fragile. È andato dove lo portava il cuore. Al Milan perché aveva speso una parola con Berlusconi, al Bologna perché aveva bisogno di ritrovare calore umano, all’Inter perché da ragazzino era tifoso nerazzurro e perché Moratti è un vero signore e infine al Brescia perché il calcio è bello a prescindere dalla classifica. E dove è andato i tifosi lo hanno trattato da eroe. Non solo per i suoi gol. Ma per tutto l’effetto Baggio. Un effetto gioia. Amato dalla gente, sopportato a fatica dagli allenatori. Robi è stato un problema per Capello ai tempi del Milan, per Ulivieri nella parentesi Bologna e per Lippi nel breve ciclo Inter. Per non parlare di quando Ancelotti, a quei tempi allenatore del Parma, invitò il suo patron Tanzi a non ingaggiare il Codino. Poco adatto alle sue idee calcistiche. Storia strana, questa. Difficile, quasi impossibile da spiegare. Ma non chiedete a Robi. Vi risponderebbe con un sorriso.
FUTURO — Baggio festeggia 50 anni e sta cominciando a decidere cosa farà da grande. Per tre anni è stato presidente del Settore Tecnico. Lui aveva idee rivoluzionarie ma il movimento cercava solo una bella figurina da attaccare all’ingresso del centro tecnico di Coverciano. Per un certo periodo ha coltivato l’idea di inventarsi allenatore. È bastato far filtrare il messaggio per ricevere le prime proposte. Baggio è un bel nome da spendere. Ma l’idea è evaporata senza lasciare traccia. Robi e il pallone non sono due facce della stessa medaglia. Il calcio è uno dei suoi divertimenti. Da vivere in maniera leggera. Quando capita. Il Boca è la squadra che segue con più affetto. Ma se c’è Dybala in televisione può darsi che il Codino si sintonizzi. Gli artisti sono sempre più merce rara. Il pallone non è più un lavoro. C’è quando capita. Quando magari un filo di nostalgia riaffiora. Quando partecipa a degli eventi e viene travolto dall’amore della gente. Che non lo ha scordato. Robi anche con qualche filo bianco tra i capelli è rimasto un inguaribile romantico. Capace di nascondersi per un anno ma pronto ad accompagnare l’amico Stefano Borgonovo nella passerella al Franchi spingendo la sedia a rotelle e raccontandogli una battuta dietro l’altra per tranquillizzarlo. E pronto, il giorno della scomparsa del suo amico Stefano, a scrivere questo messaggio: “Ciao eroe… il calcio passa l’uomo resta”. Il Baggio campione è solo un dolce ricordo. Il Baggio uomo ora ha un’altra sfida in testa. Per i prossimi dieci anni sogna di sviluppare a livello mondiale un progetto legato ai giovani e al calcio. E l’obiettivo primario non è creare campioni ma far crescere i ragazzi nella maniera giusta. Il Peter Pan di Caldogno non ha mai smesso di coltivare sogni.
 (di Luca Calamai, fonte gazzetta.it)