Importante, in ordine alla ricostruzione delle responsabilita’ degli imputati riguardo alle fasi organizzative e di reperimento dell’esplosivo, certamente il ruolo assegnato ai pentiti, e segnatamente di Spatuzza. La ricostruzione di quanto successo a Capaci “e’ ripercorsa in maniera chiara dalle dichiarazioni rese da Spatuzza oltre che dagli esiti dei precedenti processi. La responsabilita’ degli imputati e’ chiaramente riscontrata dalle dichiarazioni di Spatuzza sulle fasi di recupero e preparazione dell’esplosivo utilizzato per l’attentato”, ha detto il pubblico ministero Stefano Luciani, per il quale “quanto dichiarato concorda sul recupero dell’esplosivo e dunque sul ruolo degli imputati. L’attendibilita’ dei collaboratori non viene messa in discussione”. La stagione stragista, e’ stato detto, escludendo il coinvolgimento di soggetti esterni, in particolare dei servizi segreti, “nasce dalla necessita’ di Cosa nostra di fare la guerra per fare la pace. Fu in questo contesto che la mafia diede il via agli attentati in Sicilia e nel Continente”. Un “disegno stragista”, ha detto Lia Sava, “che tra il 1992 e il 1993 diede forte impulso all’offensiva frontale nei confronti dello Stato”. Nella fase dibattimentale, aveva detto il collega dell’accusa, “sono emerse dichiarazioni generiche sulla presenza di soggetti dei servizi segreti, indicati senza volto e senza nome. Fra l’altro nessuno sarebbe stato in grado di indicarne il ruolo”. Lo scenario “e’ suggestivo perche’ siamo in presenza di una melodia orecchiabile ma che non funziona. Queste dichiarazioni provengono da soggetti non palermitani, inseriti nei piani bassi di Cosa nostra. Nessun capo ha mai parlato di questi fatti. Nessun boss e’ in possesso di queste informazioni. E’ una costruzione investigativa improponibile”. Per il magistrato “sono diversi gli scenari in cui e’ maturata la strage di Capaci”. Contesti che si intrecciano fra loro. “Cosa nostra era pronta a sedersi a tavola per mangiare con politici e imprenditori. Da qui, la paura che il giudice Falcone mettesse le mani sul rapporto mafia e appalti. E non dimentichiamo gli esiti del maxi processo. Era il suo lavoro che dava fastidio alla mafia per cui andava eliminato”. Riina – ha argomentato la procura – “si era impegnato con tutta l’organizzazione criminale, a cambiare in Cassazione gli esiti del processo, perche’ sperava negli appoggi politici di Lima, Andreotti e Ciancimino. Cosa nostra temeva la conferma del teorema Buscetta e quindi che emergesse la presenza, nell’organizzazione criminale, di una struttura verticistica. Riina era certo che il processo venisse assegnato al giudice Carnevale, ma questo non avvenne perche in Cassazione, venne decisa una rotazione nell’assegnazione dei processi di mafia. In quest’ultimo aspetto Cosa nostra vide un protagonismo di Falcone”.