“Quale sviluppo per Caltanissetta”, Banca Del Nisseno: tornare a fare credito ma con un piano strategico territoriale comune e condiviso

imageCALTANISSETTA – Tornare a concedere credito per ravvivare l’economia cittadina potenziando l’offerta di beni e servizi. Ma ancora prima condividere con tutti gli attori sociali e gli operatori locali una visione comune, un Piano Strategico Territoriale che al di là degli steccati politici abbia come priorità il bene di Caltanissetta e del suo territorio. È con questo spirito che, in concomitanza con il lancio da parte della Banca Centrale Europea del piano da oltre mille miliardi chiamato Quantitative Easing, la Banca Del Nisseno ha organizzato l’incontro dal titolo “Quale sviluppo per Caltanissetta”, svolto il 5 marzo nella nuova Sala Convegni ricavata a seguito del restauro del Palazzo delle Poste dove oltre alla Banca ha sede anche la Soprintendenza ai Beni Culturali.

E proprio di Beni Culturali e Architettonici e di Urbanistica più che di credito si è parlato durante l’incontro, anche attraverso la riproposizione del “Piano strategico della città di Caltanissetta” del 2007 con la partecipazione di alcuni dei suoi originari estensori per comprendere la logica che lo ha ispirato e quanto di esso possa costituire la base per un confronto e un’azione comune.

Del resto è palese quanto sia difficile fare credito in questo momento. “Si rischia addirittura di fare un danno al cliente e alla stessa Banca”, ha detto il Presidente di Banca Del Nisseno Giuseppe Di Forti. Diversi sono infatti le contingenze che ostacolano l’efficacia del credito: la pressione fiscale nazionale, la burocrazia che rende ugualmente complicato aprire una bottega o un centro commerciale, e il conseguente rischio di episodi di corruzione. Fattori verso i quali né le amministrazioni locali, attraverso la leva della fiscalità municipale, né tantomeno la Banca hanno capacità di incidere in maniera significativa.

Tuttavia, sottolinea Di Forti, “c’è un germoglio di imprenditorialità sana che già lavora, tra grandi difficoltà, a un percorso di sviluppo dell’economia locale. E noi, in quanto Istituto di Credito Cooperativo che non distribuisce utili, sentiamo il dovere di fare qualcosa per il territorio, a partire, avendone a differenza di altri la possibilità economica, dall’organizzazione di momenti di incontro e confronto sulla base di un piano strategico che finalmente abbia una visione di lungo periodo”.

Niente interventi spot dunque, pare di capire. Ovvero niente linee di credito e finanziamenti a singoli o pochi privilegiati. Ma la coltivazione di un sistema territoriale, la rivitalizzazione di un tessuto economico e sociale, di un circolo virtuoso in cui molti possano essere protagonisti: imprese vecchie e nuove, infrastrutture, beni artistici, enti pubblici e istituti di credito, professionisti, artigiani, agricoltori.

“Il confronto è una necessità”, ha affermato il Sindaco di Caltanissetta Giovanni Ruvolo, “come lo è la riflessione sulla nostra identità, su ciò che ci caratterizza come città e come territorio. Penso anzitutto al Polo Biomedico, all’agricoltura unita alle nuove tecnologie, al turismo di nicchia”.

Proprio della mancanza di identità in Sicilia in quanto frutto “dell’assenza da 40 anni di una visione di lungo periodo” ha parlato Salvo Tomaselli, docente di Economia aziendale, evidenziando la necessità, già indicato nel Piano del 2007, “di legare i fattori di competitività del territorio a quelli di coesione sociale”, per recuperare l’identità. “Il Nisseno deve pensare e agire come un Arcipelago metropolitano”, ha spiegato invece Maurizio Carta, ordinario di Urbanistica e pianificazione territoriale. Un luogo dove città e campagna siano integrate e interdipendenti. E secondo Carta Caltanissetta ha i fondamentali in regola rispetto ad altre città che non hanno un ambiente rurale così prossimo a quello urbano. Attività che può essere condotta anche con i finanziamenti europei, a piani come Horizon, l’unico che mette insieme università, pubbliche amministrazioni e privati, o Urbact III, specifico per le città di medio-piccole dimensioni.

Dall’Assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana Antonio Purpura sono arrivate poi le indicazioni di metodo del Governo regionale. “Il buco da tre miliardi nel bilancio regionale non è colpa del governo Crocetta – ha detto Purpura -, che anzi ha avuto il coraggio di scoperchiare 40 anni di bilanci dopati sui quali tutti hanno costruito rendite e privilegi non più sostenibili pena il fallimento della Regione”.

“Il mio stesso assessorato – ha proseguito – riceve oggi solo un decimo di quanto riceveva nel 2006: 120 milioni di euro anziché più di un miliardo. Ma non sto chiedendo soldi quanto attenzione ai beni culturali, specie agli altri assessorati come il Turismo e le Attività produttive, per un’azione comune che oltre a garantire la spesa, come si faceva in maniera acritica e a volte dissennata, ne verifichi anche l’efficacia. E questa si ha solo quando c’è una pianificazione, una strategia e una convergenza di più attori su un obiettivo comune. Come può essere quella di più assessorati sul bene turistico”.

Nega infine Purpura l’esistenza di un’alternativa tra turismo e industria in Sicilia, “possono convivere. E Caltanissetta avendola non può rinunciare alla sua vocazione industriale”. A dare la misura delle tendenze globali in atto è stato invece Leonardo Urbani, Emerito di Urbanistica di fama modiale: “Siamo di fronte alla fine di un’Era, alla fine dell’Era Moderna iniziata nel Rinascimento con la scoperta dell’America. E in quella nuova che inizia non è più l’America a fare il gioco, e la Russia solo in via marginale, ma l’Europa. Uno scenario in cui la Sicilia ha una straordinaria opportunità di protagonismo”.

Chiusura spassosa infine con Fausto Provenzano, docente di Composizione architettonica, che ha messo bonariamente in ridicolo l’edilizia e l’urbanistica siciliana, la nostra assuefazione al brutto, collocandoci nella fascia ‘stilistica’ Beirut-Baghdad-Kabul. “Siamo andati oltre ogni liceità morale dell’estetica, al punto che è indifferente se le costruzioni sono abusive o autorizzate, sono brutte uguali”.

“E’ finita l’epoca dei Cavalieri che vincevano appalti in tutto il mondo – ha concluso Provenzano -, oggi l’edilizia è fatta di imprese a conduzione familiare e quindi adatte a interventi di restauro mirati, a opere di riparazione invece che di costruzione. Riattivando questo settore potremmo avere lavoro per i prossimi 50 anni, per tutti: professionisti, banche, imprese e potremmo perfino fare scuola nel restauro e nella riparazione e fruizione di micro-ambienti cittadini”.

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