Il team triestino ha scoperto che le forme mutate della proteina p53 non solo non sono più capaci di salvaguardare l’integrità del patrimonio genetico delle cellule, ma si comportano attivamente da pericolosi “acceleratori” della trasformazione e progressione tumorale, facendo in modo che le cellule tumorali interpretino i segnali dell’infiammazione come “istruzioni” a sviluppare maggiore aggressività. “La proteina p53 mutata che si accumula nelle cellule tumorali – spiega Licio Collavin, del dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste – è in grado di neutralizzare un importante fattore che controlla i segnali molecolari generati dall’infiammazione. Inattivato questo fattore, le cellule maligne rispondono in modo eccessivo al segnale infiammatorio e cominciano a esprimere un programma genetico che porta al potenziamento della loro capacità invasiva”.
Secondo gli autori, la rilevanza della scoperta è notevole, considerato che capacità di invadere l’organismo e metastasi sono strettamente correlate, e che le metastasi, e non il tumore primario, sono la principale causa di morte nei pazienti. “La proteina p53 mutata è un mediatore cruciale nel rapporto tra infiammazione e cancro – precisa Collavin – e a seconda del contesto potrebbe essere sfruttata per spostare l’ago della bilancia e far tornare il sistema immunitario un alleato che favorisca l’eliminazione del tumore durante le terapie. Il nostro studio, quindi, apre la strada a nuove ricerche volte a sviluppare approcci terapeutici mirati, basati sullo stato mutazionale di p53 nei diversi tumori”. (Fonte ansa.it)