Prometteva bene da ragazzo, tra i giovani comunisti gelesi, originale, un po’ “eretico”, alla ricerca sempre di una differenza che lo mettesse in primo piano; nella linea politica come nella vita. Fino all’azzardo, in quel clima di perbenismo austero: Saro Pannella, erano arrivati a soprannominarlo, per le sue incontenibili “intemperanze”.
Non aveva preso niente dal fratello senatore, obbediente burocrate di partito, che aveva fatto riparlare di Caligola quando era stato eletto a Palazzo Madama. Aveva orizzonti internazionali, non verso l’est europeo del grigio “socialismo reale”, ma verso il Mediterraneo, il mondo islamico, una mondialità colorata e non allineata che sembrava anticipare gli scenari del nuovo millennio.
Cresciuto tra la classe operaia, in quello stabilimento dell’ENI che a Gela aveva portato la modernità senza lo sviluppo, l’inquinamento mortale e gli artigli della mafia, cattocomunista praticante, popolarissimo nei quartieri popolari della città che cresceva abusiva e in qualche modo opulenta, amico di artisti e di poeti, era stato assessore alla cultura e poi Sindaco con una crescita di immagine sempre più vistosa e mediatica, esponenziale, (compresa la sua dichiarata omosessualità),alimentata dal coraggio di parlare pubblicamente di quello che a Gela tutti sapevano ma nessuno trattava nel dibattito politico: il potere della criminalità organizzata.
Dal 2003 vive blindato con una scorta pari a quella delle massime cariche dello Stato: di diversi attentati contro di lui hanno parlato i pentiti di mafia a più riprese.
Nel 2008 il salto di qualità: candidato al Parlamento Europeo, polarizzava gli investimenti della Comitiva della Legalità, queldream-team di imprenditori, deputati, sindacalisti, & C. che si schiera per la Regione con le mani pulite dopo le catastrofi diCuffaro e Raffaele Lombardo e che per un po’ di tempo riesce ad accreditarsi a livello nazionale come il volto-nuovo-della-Sicilia-finalmente-libera-dalla-mafia. Per intenderci, quelli di cui avrebbe parlato (incautamente) il ministro Cancellieri (prima di incorrere nelle sue note disavventure giudiziarie a Milano) come degli “apostoli che nel deserto hanno alzato la voce, per dire no alla mafia”.
La Sicilia ci aveva creduto, allora, e nell’autunno del 2012 Crocetta veniva eletto nientemeno che Presidente della Regione, dopo essersi autocandidato by-passando le primarie e concludendo in prima persona l’accordo politico con l’UDC che avrebbe reso vincente l’operazione. Mentre il PD, il suo segretario e la direzione regionale e nazionale, farfugliavano inutilmente in interminabili riunioni. Aveva aderito al PD, (addirittura minacciava di candidarsi a Segretario Nazionale), quello stesso PD che ieri, da Roma, comunica di non far parte del Governo Crocetta (?!).
Lui si era presentato come capace e desideroso di trasformare la Sicilia facendo “la Rivoluzione”, con un battage ed un credito mediatico senza precedenti. Ma aveva costruito un suo movimento politico, “Il Megafono”, coordinato nientemeno che da Salvatore Cardinale, poco rivoluzionario e molto doroteo, con sostanzioso pedigree democristiano, sicuramente pre-rivoluzionario.
Passando poi dalle parole ai fatti: buchi nell’acqua a ripetizione (senza trivellazioni, senza trovare nessun petrolio). Presidente eletto dal 30% del 48% dei siciliani votanti (con una candidatura a sorpresa del forzista Miccichè che aveva fatto mancare al centro destra un 15% decisivo la vittoria di Crocetta), da allora è stato un festival dell’annuncio, con ribalte mediatiche nazionali compiacenti fino all’esaltazione, ma senza riuscire ad aggredire i nodi del sottosviluppo della Sicilia, del lavoro, della moralizzazione della vita pubblica, della fine dell’assistenzialismo straccione che tanto spazio aveva da sempre lasciato agli interessi rapaci e ai poteri criminali.
Perché? Perché la Sicilia non riesce ancora ad avviare un percorso sano, chiaro, di sviluppo sostenibile, puntando sulle sue risorse inestimabili di natura e cultura che farebbero la fortuna di qualunque altro popolo in grado di valorizzarle mettendo al primo posto il lavoro e l’impresa pulita (non solo a parole)?
Forse perché la Sicilia non ha mai avuto, per secoli, una classe dirigente degna di questo nome; ed in particolare non l’ha più avuta dopo la Regione a Statuto speciale, l’unica “zona franca dalla legalità” che si sia mai realizzata, nonostante le buone intenzioni della prima generazione politica del secondo dopoguerra, troppo legata alla lotta per il potere per riuscire a pensare una visione e a costruire un progetto che uscisse fuori dall’aula di Palazzo dei Normanni e si confrontasse a viso aperto e fino in fondo con i poteri criminali e i grandi interessi che in Sicilia si sono incrociati. Il caso Mattei è emblematico in questo senso.
Una politica così non si fa con i mass media, con i colpi di teatro o con i leader show-men. Con tutte le buone intenzioni. Ha bisogno di muovere la società dal profondo, fare uscire la gente dall’isolamento del proprio individualismo assistito che la cattivapolitica ha nutrito e coltivato come base della propria inamovibilità, costruire percorsi di democrazia come rivoluzione delle coscienze, con mente lucida, nervi saldi e grande cuore.
Una politica così non si può fare da soli, dagli schermi televisivi, secondo l’archetipo da Drive-in di Berlusconi-Renzi-Crocetta.
Una rivoluzione è una cosa seria, specialmente se vuole essere democratica e duratura. Si deve essere capaci di organizzare un popolo come protagonista e gruppo dirigente di se stesso, non come spettatori o come fan.
Se no, come Rosario, tristemente, si rimane nel teatrino dell’Opera dei Pupi, a recitare da soli magari tutti i ruoli sulla scena: da Rodomonte a Gano di Magonza.
Ma la cosa, purtroppo, non riguarda soltanto chi governa.
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Rodomonte, Gano di Magonza, Pappagone, chissà quanto altri nomi, soprannomi e nomignoli violano la prima carica istituzionale della nostra sventurata terra, come se non ne avesse già abbastanza di disgrazie. Non c'è molto da dire sull'ossessiva ritmica di eventi, che ha accompagnato come un ritornello macabro gli ultimi due anni della nostra storia. Ricercati gli strumenti, e strumentisti, tra artisti, scienziati, rappresentanti veri o dichiarati dell'antimafia, sapientemente sostituiti dal direttore d'orchestra quando il suono non riusciva più a mascherare le stecche severe di un'orchestra assai improbabile, diretta da un maestro sui generis, che l'unica vera tecnica che ha appreso nel tempo e' quella delle pause e delle attese. Tale capacità, da attore consumato, non riesce più a celare le lacune della composizione, che da sinfonia della rinascita si è trasformata in un improvvisata marcia funebre suonata da artisti da strada, e la cui sola fortuna per il defunto, rappresentato dal bene amato popolo siciliano, e' che ormai non può più sentirla. Solo il seguito della processione ancora la ode, confondendola per l'ipnotico sottofondo di un banchetto di gala. La processione si, formata da altri professionisti, quelli della politica, che conoscono bene il nostro gano, perché con lui si intersambiano quotidianamente il ruolo di vittima e carnefice, mentre il tempo scorre inesorabilmente e le Lampedusa, termini imerese, priolo, Milazzo, Augusta, e per ironia della sorte anche l'aspirante capofila, (anch'esso surrogato di capoluogo) ed il 50 per cento dei disoccupati, appaiono sempre più come entità rarefatte, che si materializzano in un apparentemente surreale girone dell'inferno, che mai come da tempo e' invece in terra, tutto ciò mente i due governatori più importanti si materializzano nella tela multicolore del gay pride, come il comandante e l'orchestra del Titanic a pochi istanti dall'affondamento.