Province, sì del Senato alla riforma Delrio

province-taglio-258x258_4[1]--258x258ROMA – Dopo mesi di gestazione in commissione Affari Costituzionali (è all’esame da gennaio) e dopo un percorso accidentato anche in Aula, il ddl Delrio riscritto completamente dal maxiemendamento del governo, incassa la fiducia al Senato con 160 sì, 133 no e nessun astenuto. Un risultato sul filo se si pensa che la maggioranza che disse sì alla nascita dell’esecutivo Renzi il 25 febbraio scorso potè contare su 169 senatori. Comunque, Palazzo Chigi tira un sospiro di sollievo ed il sottosegretario Graziano Delrio, padre del provvedimento, parla di un grande passo per la riorganizzazione dello Stato verso un paese più semplice e moderno. Eppure, si assicura nell’opposizione, se l’esecutivo non avesse deciso di ricorrere alla fiducia, il testo che di fatto trasforma le province in “enti territoriali di area vasta” affidandone le funzioni alle “città metropolitane” e che ora dovrà tornare alla Camera, difficilmente sarebbe stato approvato.

Martedi’ il governo in commissione era andato sotto due volte e la pregiudiziale di costituzionalità era stata respinta in Aula con soli 4 voti di scarto. E anche ieri  ha rischiato: la richiesta di sospendere i lavori dell’Aula, avanzata in apertura di seduta dal sottosegretario Bressa per consentire ai tecnici di scrivere il maxiemendamento e al ministro delle Riforme Boschi di porre ufficialmente la questione di fiducia, è stata messa ai voti, per decisione di Linda Lanzillotta (Sc), ed è stata accolta sempre con 4 voti di scarto (134 sì, 128 no e due astenuti). Nel caso poi l’istanza di sospensione fosse stata respinta, l’ Assemblea avrebbe dovuto fare i conti con la richiesta sospensiva (del testo) annunciata nel frattempo dal leghista Roberto Calderoli. Per evitare rischi e per “poter sbandierare la bandierina del taglio delle province in vista del voto per le Europee”, sottolineano più volte in Aula i senatori M5S, il governo gioca la carta del voto di fiducia. E passa con Forza Italia che non sembra intenzionata a fare delle vere e proprie barricate.

Le  assenze “azzurre”, si spiega nel centrodestra, dimostrano che in Fi non si intende creare veri problemi . E alla fine rientra anche il dissenso dei centristi. L’unico che vota contro è Maurizio Rossi, mentre Tito Di Maggio, dopo un durissimo intervento contro il testo, preferisce alla fine lasciare l’Aula. In realtà questo provvedimento è solo una sorta di “gigantesca norma transitoria”, commenta il capogruppo di Sel Loeredana de Petris, visto che manca ancora il via libera all’iter del ddl costituzionale. Oggi in Aula si sarebbe dovuta votare l’urgenza del testo M5S (più simbolica che altro visto che comunque per le riforme costituzionali i tempi sono segnati dalla legge), ma la sospensione dei lavori ha impedito anche questo, come denunciato da uno dei firmatari Vito Crimi (M5S). In realtà anche la fretta con la quale alla fine si decide di far passare il provvedimento “è solo propaganda”, insiste il leghista Calderoli.

Già perché leggendo bene le leggi in vigore, come quella di Stabilità (n.147 del 2013) a maggio non si sarebbe andati a votare per nessuna provincia. Lo confermano fonti governative e lo si evince anche dal decreto ministeriale del 20/3/2014 che convoca le elezioni solo per i consigli comunali e circoscrizionali. “Di fatto non si elimina nessun ente”, incalza De Petris “ma se ne aggiungono”. “Si aumenta la burocrazia e si triplicano i costi”, ribatte Lucio Malan (FI). Ma se con il Ddl Delrio l’iter è stato così incerto, si ragiona nel Pd che comunque fa quadrato intorno al provvedimento, chissà cosa accadrà con la riforma del Titolo V. E’ inutile, osserva il relatore Francesco Russo (PD), “Renzi deve rendersi conto che al Senato i numeri sono proprio altri rispetto alla Camera. La maggioranza è quello che è…”. (Fonte ANSA)

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