Il Pomodoro Seccagno prodotto a Villalba diventa Presìdio Slow Food e partecipa al Salone del Gusto di Torino dal 25 al 29 Ottobre  

CALTANISSETTA – Un altro passo in avanti verso la valorizzazione dell’agricoltura della provincia di Caltanissetta è sicuramente il recente riconoscimento come Prèsidio Slow Food del Pomodoro Seccagno prodotto a Villalba, entrato recentemente a far parte dell’importante progetto di Slow Food con il nome di “Pomodoro seccagno della valle del Bilìci”, in quanto l’area di produzione di questo prodotto comprende oltre a Villalba anche altri comuni delle province di Caltanissetta e Palermo comprese nella valle del torrente Bilici. 
 
L’ufficializzazione della nascita del Prèsidio del Pomodoro Seccagno è avvenuta lo scorso agosto a Castelbuono (Pa), in occasione del convegno “Agrobiodiversità e identità territoriale” organizzato dall’Assessorato regionale delle Risorse Agricole e Alimentari, dove sono stati annunciati i nuovi Presìdi siciliani che saranno presenti al Salone del Gusto e Terra Madre 2012 a Torino dal 25 al 29 Ottobre. I nuovi progetti a tutela della biodiversità agricola siciliana sono stati realizzati grazie al sostegno dell’Assessorato Regionale delle Risorse Agricole e Alimentari della Regione Siciliana.
 
La nascita del Prèsidio Slow Food del Pomodoro Seccagno si deve anche al lavoro svolto in questi anni dal produttore agricolo Francesco Di Gèsu, che con la sua azienda ricadente nei territori tra Villalba e Marianopoli, da anni produce questa varietà di Pomodoro insieme alla Lenticchia di Villalba (anch’essa diventata recentemente Prèsidio Slow Food) e a varieta di grani antichi siciliani dai quali ricava farina e pasta.
 
Francesco Di Gèsu, a proposito di questo prodotto tipico dell nostro territorio, ci dice che “quando si parla di pomodoro siccagno, ci si riferisce ad un metodo di coltivazione che prescinde dalla varietà di pomodoro utilizzata. In sostanza, per collegarci ad un discorso tradizionale, i contadini dell’entroterra siculo dell’epoca, volendo sfruttare al meglio i propri terreni, alternavano anche il pomodoro al grano. Questa coltura ha nelle nostre zone un ciclo primaverile-estivo, per cui è necessario che la pianta abbia sufficiente umidità nel terreno per vegetare e produrre. Ovviamente, non avendo in campo disponibilità di acqua per l’irrigazione, il pomodoro veniva allevato in asciutto. Questa tecnica di aridocoltura su pomodoro, sviluppatasi nel tempo, utilizza come principio la rottura dei capillari del terreno che avviene con frequenti lavorazioni superficiali sia meccaniche che manuali. Ne risulta che la scarsa umidità estiva che risale dal sottosuolo non evapora e si rende tutta disponibile alla coltura. Questa tecnica consente di avere come risultato, un prodotto più polposo, più ricco di elementi nutritivi e soprattutto più gustoso.
Questo è un sunto tecnico sul siccagno così come lo intendiamo oggi con le nuove varietà che nel frattempo si sono imposte, a discapito delle vecchie. Il motivo è soprattutto nel fatto che le nuove varietà di pomodoro sono economicamente più convenienti in quanto, con la raccolta fatta a mano, il frutto più grosso consente di ottimizzare i tempi di raccolta, con un risparmio notevole sui costi di produzione, dove la raccolta è la voce più importante.
Ovviamente il risultato qualitativo è diverso quando si parla di pomodoro tipico locale. Queste varietà antiche della nostra biodiversità si contraddistinguono dalle moderne, innanzitutto per la resistenza alla siccità ed alle comuni patologie della pianta, ma soprattutto per l’eccellente resa qualitativa. La prelibatezza di questo pomodoro infatti è inconfondibile, per il dolce sapore che riconduce ad antichi sapori ormai dimenticati.
Per quanto riguarda il territorio di origine del siccagno, esso comprende praticamente la Sicilia all’interno e cioè quelle campagne aride che grazie al pomodoro siccagno davano ai contadini la possibilità di avere un reddito migliore da questa povera terra. I primi ad utilizzare questo termine “siccagno”, per scopi commerciali, furono i produttori di Villalba, seguiti da quelli del vicino comune di Valledolmo, i quali raggiunsero come risultato la creazione di uno stabilimento per la trasformazione del pomodoro siccagno, ottenendo ben presto un riconoscimento del nome grazie all’ampia diffusione del prodotto trasformato. Anche i corleonesi oggi usano il nome siccagno per il proprio pomodoro.
La cosa più importante è invece che, nel Territorio del Bilìci, e cioè in quella fascia rurale che si estende da Valledolmo a Marianopoli, passando da Vallelunga e Villalba, sopravvivono ancora alcune popolazioni locali di varietà antiche di pomodoro “siccagno” ai quali si dovrebbe prestare maggiore attenzione, al fine di non perdere questo importante patrimonio locale.”

Nella valle del Bilìci, in italiano Belìci, le estati sono caldissime e secche, spesso si raggiungono i 40°, e gli inverni sono miti. Questo microclima fa sì che le coltivazioni che da secoli caratterizzano l’economia agricola di quest’area siano di qualità altissima: grano – innanzi tutto timilìa, farro lungo (detto perciasacchi), russello, senatore Cappelli e legumi – la lenticchia di Villalba in particolare, che trova in questa zona il suo territorio di elezione, ma anche fave e ceci – e ottimi pomodori che in questi terreni ricchi di potassio crescono particolarmente dolci. Alcuni si coltivano senza irrigazione (nel dialetto locale i siccagni) e con questi, in passato, si produceva un ottimo concentrato (l’astrattu), la passata e i pomodori secchi. Nei comuni di Marianopoli, Villalba, Vallelunga, Valledolmo e Scaflani Bagni ogni famiglia di contadini coltivava in asciutta i pomodori, sostituiti nel tempo da ibridi moderni più produttivi (brigade, interpeel). Alla raccolta e alla trasformazione partecipava tutta la famiglia. I pomodori si raccoglievano durante il giorno e si lavoravano a sera. Una parte era messa da parte come conserva, il resto era destinato a fare il concentrato. Il concentrato si faceva in particolare a settembre, nel periodo di massima produzione dei pomodori. Per fare l’astrattu si lasciava essiccare al sole la passata su tavole in legno (maìdde). I bambini si occupavano della arriminata (rigirata), cioè per tutto il giorno dovevano rigirarla, al tramonto si recuperava (si faceva la arricugghiuta) si appallottolava con le mani unte d’olio e si metteva in grandi orci o si conservava nella carta per oleata.
Fino a poco tempo fa si credevano persi del tutto i pomodori tradizionali siccagni. Dopo lunghissime ricerche e alcuni tentativi falliti, Slow Food ha trovato un produttore di Villalba che conserva ancora una semente locale antica che riproduce ogni anno nella propria azienda. La forma è allungata con l’apice a punta, si chiama pizzutello. In passato ogni famiglia aveva però i propri semi e li custodiva gelosamente, e spesso li chiamava con il nome del capo famiglia.
Il siccagno è interessante oltre che per la tradizione legata alla sua lavorazione, anche sotto il profilo organolettico e nutrizionale. Ricco di vitamina A e vitamina C, nonché di antiossidanti come il licopene, ha anche un basso contenuto di calorie. E’ molto saporito, tanto che la passata può essere cucinata anche senza sale.

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