Il CSM apre una “pratica” sul PG di Caltanissetta Roberto Scarpinato

CALTANISSETTA – Via libera all’apertura di una pratica in Prima Commissione sul procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, in relazione alle parole da lui pronunciate durante la commemorazione, avvenuta nei giorni scorsi, del giudice Paolo Borsellino, ucciso 20 anni fa dalla mafia. Il Comitato di presidenza del Csm ha autorizzato l’avvio della pratica, inviando anche gli atti al procuratore generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare. La Prima Commissione, da settembre, dovra’ dunque valutare se sussistano gli estremi per un trasferimento d’ufficio per incompatibilita’.

Scarpinato, nelle commemorazioni per la strage di Via d’Amelio, ha letto una lettera il cui  destinatario era proprio Paolo Borsellino, nella quale Scarpinato scriveva, tra l’altro, che “stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorita’, anche personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalita’ per i quali tu ti sei fatto uccidere”.

httpv://youtu.be/VwbmamVb2hc
L’intervento integrale di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino:

Caro Paolo,

oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.

E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.

Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.

Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.

Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.

Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.

E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.

Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.

Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.

Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.

Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.

Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.

Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.

Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.

Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.

E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.

Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.

Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.

Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.

E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.

Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.

Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.

Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.

E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.

Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.

Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.

Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.

Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.

E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.

View Comments

  • Condivido tutto, ma mi piacerebbe che qualche collega "affiancasse " il Dott. Scarpinato e si cominciasse a fare un pò di LUCE in questi meandri oscuri del potere occulto, rivolgo anche un invito a tutti i siciliani: cominciamo a REAGIRE, non stiamocene immobili a vedere morire una città , una regione, altrimenti ancora oggi daremo ragione al grande Giovanni Verga.

  • Solidarietà al Dott. Scarpinato.
    Esempio indiscutibile ed esemplare. Speriamo che non gli vada a finire come il Dott. Igroia.
    In italia quando diventi scomodo o ti ammazzano oppure come dicevano gli antichi latini : "promoveatur ut amoveatur" (che sia promosso affinche rimosso).
    Povera Italia ...chissà dove andremo a finire di questo passo...

  • Dott. Scarpinato,

    come vede non c’è un commento, uno solo, che condivida l’incredibile decisione del CSM di aprire un’indagine nei Suoi confronti. E se anche questi commenti fossero mille o diecimila e fossero stati scritti da cittadini che non hanno nulla da temere dalla giustizia, non potrebbero che essere tutti dalla Sua parte.

    Lei questi consensi se li è guadagnati sul campo, con quel coraggio e quella determinazione così mal visti da tanta parte di quella classe politica che, con incredibile pervicacia e mettendocela proprio tutta, è riuscita ad allontanare, forse definitivamente, buona parte dell’elettorato. Quella classe politica di cui fanno parte anche elementi che, seppur condannati in via definitiva, continuano a sedere in Parlamento. Quella classe politica che, in una percentuale impressionante, io credo unica al mondo, è costituita da indagati e imputati di reati già gravi di per sé ma che, in testa ai politici, assumono una valenza di straordinaria gravità. In questo contesto così deteriorato, se c’è una voce, come la Sua, che mette il dito nella ferita, ecco alzarsi in coro la protesta - mi permetta di usare parole Sue - di quei “personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalità...”. Lo credo bene. Nonostante, al momento del ricevimento dell’avviso di garanzia, si dichiarino tutti “sereni”, sereni non lo sono affatto. Ecco il motivo scatenante - questa è la mia opinione personale - per cui la politica ha spinto il CSM ad aprire una pratica allo scopo di accertare se sia il caso di adottare provvedimenti disciplinari nei Suoi confronti solo per avere detto la verità, quella che brucia. Mentre scrivo queste ultime parole, ancora incredulo, mi vergogno di essere Italiano. Tuttavia continuo a sperare che proprio le persone come Lei e come tutti coloro che stanno continuando l’opera intrapresa dai Giudici Falcone e Borsellino, facendo l’indispensabile e tanto auspicata “pulizia”, possano riuscire a restituire a tutti i cittadini onesti, il perduto rispetto per una classe politica sempre più in caduta libera e sempre più lontana dalla gente.
    Grazie, Dott. Scarpinato. Grazie per aver detto quelle parole. Risuoneranno nelle nostre orecchie come campane a festa che fanno ben sperare e sappia che, ogni qualvolta cercherà di toccare tasti dolenti, tasti che fanno sentire il “puzzo del compromesso morale”, se si guarderà bene attorno, vedrà tutti noi. Orgogliosi di essere accanto a Lei.

  • Certamente le sue parole sono forti Dr. Scarpinato, ma esprimono i pensieri di tutti noi che crediamo che giusto è meglio di falso e cattivo.
    Se anche noi denunciassimo ogni giorno i sopprusi e le cose che non vanno, ci faremmo strada per un futuro integro e migliore per tutti...ma il problema come sappiamo va a monte, se si incappa nella persona doppiogiochista, per quanto rappresentante dello stato, sei finito!

    Per il coraggio, i valori e la determinazione che possiede, Le chiediamo in coro:"NON MOLLI MAI" .Più tosto come i suoi amici Eroi, trasmetta a tutti, come sta facendo, la forza di reaggire, vedrà che come loro in tanti la seguiremo.
    Sono fiera di essere italiana, e siciliana ancor di più quando penso che ci sono uomini come lei!Grazie

  • Argomento delicato che merita qualche riflessione, forse fuori dal coro:
    1) Mi sarebbe piaciuto conoscendo il coraggio e la determinazione di Scarpinato che avesse fatto nomi e cognomi;
    2) Siamo sicuri che qualcuno, che ostenta amicizie e conoscenze, non abbia approfittato dell'immagine integerrima di Scarpinato per nascondere ombre nel proprio passato e nel proprio presente?
    Anche noi cittadini della strada, gente che lavora ma che osserva e vede, sappiamo le amare verità della nostra terra, conosciamo le mistificazioni messe in atto, percepiamo che taluni figuri siano stati osannati, protetti e coccolati pur conoscendone estrazione, comportamenti e pensieri. Ma perchè? Per quale ragione? Per quale fine? Il dott. Scarpinato ha l'occasione per rilanciare, per dimostrare che veramente in lui c'è il reale senso della legalità mettendo a tacere i veri nemici della nostra terra ridandoci fiducia. Lui che ha coraggio faccia chiarezza a 360 gradi spazzando via le serpi altrimenti rischia di alimentarle.

  • Anche la lettera di Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino è una dichiarazione d'amore allo Stato ed alle istituzioni.
    Sicuramente quest'atteggiamento da un enorme fastidio a chi in questi anni ha insabbiato, depistato, costruito false tessere inserite in un mosaico di "verità" creato per proteggere chi ha continuato a garantire la mafia.
    Il fastidio arriva al punto di osteggiare la candidatura di Scarpinato alla Procura Generale di Palermo, ma non è questo il punto dolente, infatti l'altro candidato, il Dott. Messineo, è altrettanto valido ed ha lavorato con grande efficacia come Capo della Procura di Palermo, contrastando con i fatti giudiziari la criminalità organizzata.
    Il punto è che un atto d'amore verso il nostro Stato, è stato giudicato dalla Istituzione CSM, un elemento che può provocare delle incompatibilità con la carica da ricoprire.
    A questo punto, per noi cittadini, inizia a venir meno la fiducia nelle Istituzioni e spero che sia soltanto una sensazione e non una verità.
    Dobbiamo comunque avere fiducia nello Stato, perchè se è legittimo esprimere le proprie perplessità in casi come questo, è positivo constatare che proprio dalla Procura di Caltanissetta è già partita la verifica del mosaico di "verità" malate di via D'Amelio.

  • Questo si aggiunge al probabile procedimento disciplinare nei confronti della Dott.ssa Giunta di Caltanissetta per il processo riguardante la trattativa stato-mafia.
    Tutto questo ovviamente proviene dalla stessa mente che siede al quirinale...che è anche presidente del csm.
    La verità non deve essere detta nè intuita. Nessuno deve permettersi di condividerla con l'opinione pubblica, i sospetti ( oramai verità)devono essere stroncati sul nascere in qualunque modo.
    La colpevolezza è talmente profonda e spaventata che i colpevoli temono persino una semplice, innocua "lettera" virtualmente recapitata ad un giudice defunto.
    Hai libertà di parola solo se sei un pinco pallino qualunque, senza autorevolezza e senza pubblico. In quel caso per i colpevoli non sei pericoloso. Ma se rivesti un ruolo importante, autorevole, se "sai" veramente la verità o sei in grado di scoprirla materialmente, allora la censura scatta immediatamente, puntualissima, vendicativa.
    Ma è una censura che è anche sinonimo di paura, preoccupazione, colpevolezza. Perchè è censura abnorme, assurda nella sua esasperazione,incomprensibile in circostanze normali.
    Una censura comprensibile solo se si è disposti a malincuore a collegarla ad altro, molto altro e molto brutto. Solo così, inzia a diventare comprensibile.

  • Democrazia:una parola svuotata di ogni suo significato. Il nostro sostegno deve andare ai grandi e onesti magistrati che credono ancora nella legalità e nella giustizia, oggi come mai prima così tanto ostacolate e dileggiate! Grandi e onesti Scarpinato, Ingroia e tutti quei magistrati impegnati in prima linea e oggi come un tempo Saetta, Livatino, Falcone e Borsellino, isolati, attaccati, delegittimati e denigrati.

  • Quello che sta accadendo a Caltanissetta è una vergogna, un clima che ci riporta a prima del 1992...

Condividi