CALTANISSETTA – Tredici condanne per altrettanti imputati. Racconta questo il bilancio della requisitoria dei sostituti procuratori Maria Pia Ticino e Stefano Luciani nei confronti degli imputati coinvolti nel processo “Redde rationem”, riguardante l’attività di Cosa Nostra nissena e numerosi episodi di estorsione a danno di imprenditori e commercianti di cui si sarebbe resa responsabile l’organizzazione criminale fra il 1997 e il 2007. Gli imputati, che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato dal gup Francesco Lauricella, rispondono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e tentata estorsione con l’aggravante di avere agito per conto di Cosa Nostra.
La pena più pesante – 10 anni e 2 mesi – è stata chiesta per Angelo Palermo, secondo gli inquirenti l’uomo che avrebbe tenuto le redini della famiglia mafiosa nissena dal 2003 ad oggi. Per Giuseppe Di Fazio di Paternò e per i nisseni Giuseppe Onorato e Vincenzo Ferrara è stata sollecitata la pena di 8 anni di reclusione, mentre 5 anni e 8 mesi sono stati chiesti per Maurizio Siciliano di Mazzarino. Nei confronti del canicattinese Angelo Di Bella l’accusa ha invece chiesto 6 anni e 8 mesi. Pene minori sono state chieste per i collaboratori di giustizia in considerazione del contributo fornito alle indagini di Procura e Squadra Mobile grazie alle loro dichiarazioni. Per Francesco Ercole Iacona la richiesta è stata di 4 anni, 3 anni e 10 mesi sono stati sollecitati per Pietro Riggio, 3 anni e 6 mesi per Alberto Ferrauto, 3 anni e 4 mesi per Aldo Riggi, 2 anni e 4 mesi per Giuseppe Giovanni Laurino, 2 anni e 2 mesi per Agesilao Mirisola e 6 mesi per Massimo Billizzi.
Durante il suo intervento il pm Stefano Luciani non ha usato mezzi termini nel descrivere il comportamento delle persone offese: “In questo processo sono arrivate le costituzioni di parte civile, ma solo dopo una serie di polemiche e dopo il clamore mediatico che ha avuto la vicenda, almeno a livello locale. Ma la collaborazione degli imprenditori è stata pari a zero; solo dopo queste polemiche qualcuno è venuto in Procura a raccontare ciò che era impossibile negare, ma senza raccontare tutti i dettagli, c’è stato persino chi ha sostenuto che grazie al lavoro degli inquirenti la mafia era stata debellata. Vent’anni fa era il tempo del silenzio, della reticenza di fronte a questi problemi. Oggi le cose sono cambiate, è il momento della legalità sbandierata. Ma legalità non significa parlare, significa dare seguito alle parole con i fatti. E i fatti non ci sono. L’indagine “Redde rationem” e quelle precedenti hanno però sfatato il mito di Caltanissetta considerata isola felice”. Prossima udienza mercoledì mattina; previste le arringhe dei legali di parte civile e dei difensori degli imputati.
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La levata di scudi dei professionisti dell'antimafia nissena, hanno veramente poco da replicare al procuratore Stefano Luciani che altro non ha fatto che dire la verità. E' da anni che i responsabili delle associazioni di categoria, i politici e qualche uomo antiracket dell'ultimo minuto parlano di legalità, antimafia, aiuti alle vittime del racket e dell'usura, di solidarietà di questo e di quello. Parlano, parlano, parlano... fiumi di parole ma nei fatti - ha ragione Luciani - zero. E guai a pensarla diversamente da questi professionisti dell'antimafia, perchè a volte l'antimafia diventa peggio della mafia che a parole, appunto, dice di contrastare.
*Ex presidente dell'Associazione Antiracket ed Antiusura della Provincia di Caltanissetta
Caltanissetta "isola felice"? Semmai noiosa. Semmai!