Salute

Ha ancora senso parlare di politica?

Michele Spena

Ha ancora senso parlare di politica?

Lun, 30/04/2018 - 23:25

Condividi su:

Mi era stato chiesto dalla Redazione, per questo numero, di fare un’analisi post elettorale. Dapprima avevo rifiutato, poi invece ho pensato di riflettere assieme ai lettori se ai giorni nostri abbia ancora senso parlare di politica. Ciò, per come i nostri politici hanno ridotto il nostro paese.

Se nel nostro ordinamento esistesse un tribunale popolare, penso che, come minimo, costoro, a quest’ora, sarebbero stati pubblicamente umiliati, degradati, cacciati via dall’Italia. Questo per aver tolto ogni speranza di futuro ai giovani, per aver riportato la gente ai dati di povertà del secondo dopoguerra, per aver fatto di questa nazione, una nazione della vergogna.

Politici che non sanno cosa sia l’onore, lo spirito di servizio, che hanno pensato, in questi anni, solo al loro tornaconto personale; che hanno svenduto persino la dignità dei cittadini. D’altronde, che l’Italia sia un paese in caduta libera non lo dico io. Siamo ultimi in Europa quasi in tutto. Hanno fatto dell’Italia un paese fallito, rovinato, ridicolo.

Non è un fatto qui di abbandonarsi alla luce buia del pessimismo, ma semmai di conservare un barlume di coerente lucidità su come ormai l’Italia sia in una sorta di deriva. Lo spiega bene anche l’eminente prof. Pietro Craveri nel suo libro “L’arte del non governo. L’inesorabile declino della Repubblica italiana”.

Questi giorni post elettorali, di palese ingovernabilità, ne sono una drammatica testimonianza. Tutto ciò, d’altronde, lo si vede dalla stessa scelta (al di là ormai del recarsi o meno alle urne) di disimpegno generale, assunto come stile di vita. Non si prende più partito, non ci si identifica più con nessun ideale. Non si hanno più passioni, né sogni, né fiducia. Ed ammesso che si sposi un’idea essa è destinata a non aver un futuro lungo.

I giovani (che non giustifico per il loro immobilismo) sono stati portati a fuggire persino da se stessi. Non protestano, non si indignano, non manifestano perché gli è stato posto un divieto d’accesso al futuro. I loro progetti, i loro sogni, sono relegati ormai tra le utopie dismesse. Insomma, meglio non sperare. Non siamo più neanche nell’ambito della resistenza, della difesa dei propri diritti. Almeno questo, se attuato, avrebbe, tutto sommato, una sua dignità di lotta. Significherebbe, non aver perduto la speranza.

Guardando in giro non si vedono più neanche sguardi. Né antipatici, né curiosi, né timidi. Non perché siamo diventati ciechi, ma semplicemente perché questa politica ci ha reso rassegnati.

In questo quadro, per quel che ci riguarda più da vicino, c’è poi da chiedersi se esista ancora la Sicilia (non è un paradosso). Una terra che sembra ormai spegnersi sempre di più; come un malato terminale. Neanche il senso di comunità, da noi una volta molto forte, fa più da difesa contro questo stato di cose. Siamo tutti abbandonati a noi stessi, non avvertiamo più neanche la vicinanza che una volta ci dava la nostra città, il nostro paese, il nostro villaggio.

Una Sicilia ormai immobile, di anime morte, come quelle delle cripte del convento dei frati cappuccini di Palermo. Una Sicilia che i nostri politici hanno reso, almeno questo si, luogo per eccellenza di impostura, di speranze deluse, di rassegnata coscienza di “irredimibilità”.

E’ davvero immenso questo sfacelo e, diciamocelo francamente, non c’è da sperare in una rinascita in tempi brevi.

Come vorrei essere ottimista, come mi inchino ammirato di fronte a chi lo è. Ma, mi domando: come si fa oggi, francescanamente, a “bandire la tristezza dagli animi”? Davanti un paese pieno di brutture, vicine e lontane. Non vedo francamente in giro tutta questa voglia di ridere; ovviamente spero di sbagliarmi. E, nel frattempo, si continuano a vedere queste facce di bronzo di politici e politicanti, che non hanno mai letto gli “Scritti di governo” del Machiavelli (né Topolino), che continuano a ripetere sempre le stesse vuote parole d’ordine.

Che Dio ci aiuti!