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I trentacinquenni di oggi andranno in pensione a 70 anni

Redazione

I trentacinquenni di oggi andranno in pensione a 70 anni

Sab, 08/07/2017 - 02:02

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Chi oggi ha 35 anni potrà andare in pensione a 70 anni, sempre ammesso che abbia un monte contributivo sufficiente, cosa non scontata per una generazione abituata a vedere i contratti precari come la norma e non l’eccezione. È la stima fornita durante un’audizione in Parlamento dal presidente dell’Istat, Giorgio Alleva.

Sulla base degli scenari demografici elaborati dall’Istat stessa, ha spiegato Alleva, “dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, si passerebbe a 67 anni a partire dal 2019, quindi a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire da quello nel 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta. Con la conseguenza che l’età pensionabile salirebbe a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051”.

Oltre due precarie su cinque sono mamme

Con l’introduzione del sistema contributivo, il futuro è particolarmente fosco per chi ha una vita lavorativa discontinua, fatta prevalentemente di contratti atipici. Contratti, sottolinea Alleva, che sono “più diffusi tra i giovani di 15-34 anni, tra i quali circa un occupato su quattro svolge un lavoro a termine o una collaborazione”. Una situazione aggravata dalle differenze di genere. Se si considerano solo le donne, ad avere un contratto precario è una lavoratrice su tre. “Questa forma di lavoro riguarda tuttavia anche gli adulti e i soggetti con responsabilità familiari”, aggiunge il presidente dell’Istat, “nel 2016 un terzo degli atipici ha tra 35 e 49 anni, con un’incidenza sul totale degli occupati dell’8,9%; tra le donne il 41,5% delle occupate con lavoro atipico è madre”.

L’idea di Boeri: lo Stato anticipi i contributi ai giovani

Che chi oggi ha meno di quarant’anni si ritroverà con una pensione assai più bassa di quella goduta dai genitori è una diseguaglianza denunciata più volte dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che in questi giorni ha suggerito una riforma che veda lo Stato “anticipare” parte del monte contributivo ai giovani che iniziano a lavorare, per consentire loro di guardare alla vecchiaia con meno pessimismo. Da questo punto di vista, “bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile agli andamenti demografici non è affatto una misura a favore dei giovani”, anzi, significherebbe scaricare “sui nostri figli e sui figli dei nostri figli i costi di questo mancato adeguamento”. La legge prevede un adeguamento automatico dell’età pensionabile in base alle aspettative di vita e i sindacati chiedono la modifica della normativa, per bloccare qualsiasi innalzamento.

Boeri propone invece di fiscalizzare una componente dei contributi previdenziali all’inizio dell’attività lavorativa per chi viene assunto a tempo indeterminato: “Una misura che, al contrario di molte di quelle proposte nella cosiddetta fase due del confronto governo-sindacati sulla previdenza, opererebbe un trasferimento dai lavoratori più anziani e dai pensionati verso i giovani e assicurerebbe sin d’ora uno zoccolo minimo di pensione a chi inizia a lavorare, oltre a incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato”. Secondo Boeri sarebbe inoltre “opportuno riconsiderare il regime dei contratti a tempo determinato” e intervenire per quanto riguarda il cumulo delle posizioni assicurative nelle casse previdenziali. “La legge a questo riguardo è fortemente incompleta”, afferma Boeri, secondo cui “urge una decisione che non può che essere politica. È bene che arrivi in fretta”.

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