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Yvan Sagnet: il “Cavaliere nero” della Repubblica Italiana”

Redazione

Yvan Sagnet: il “Cavaliere nero” della Repubblica Italiana”

Gio, 27/04/2017 - 14:17

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CALTANISSETTA – E se fosse un ragazzone camerunense a sensibilizzare gli italiani sulle disumane condizioni in cui sono costretti i lavoratori stagionali nel nostro Paese? E se quel ragazzone dopo aver visto la morte con gli occhi nelle campagne pugliesi, si fosse impegnato a cambiare le cose con una vera e propria battaglia di sensibilizzazione istituzionale? Il copione sembra quello di un film, da schiavo a Cavaliere della Repubblica Italiana. La storia è quella di Yvan Sagnet, “l’eroe qualunque” appena insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’impegno assunto in questi anni contro la piaga del caporalato. Ma cosa è il caporalato? E’ una sorta di intermediazione illecita di manodopera, cioè una persona media tra il bracciante e il datore di lavoro e ci guadagna sopra.

Il fenomeno è dilagante e lo è da almeno mezzo secolo nel nostro civilissimo Paese, Sicilia compresa. Tra le serre dal Gelese al Ragusano, c’è un mondo parallelo, quello dei lavoratori delle campagne che vivono in condizioni disumane. Sono delle ombre, non hanno più identità perché vengono loro sequestrati i documenti dai caporali e prestano la loro opera nelle nostre campagne per pochi euro al giorno, qualche centinaia di euro al mese. Ogni giorno, col caldo asfissiante delle serre, col vento pungente dell’inverno, subendo talvolta le peggiori atrocità. Noi, Yvan Sagnet, lo abbiamo incontrato e con lui abbiamo cercato di fare il punto della situazione. “Secondo il rapporto Agromafie e Caporalato prodotto dalla Flai-Cgil – ci racconta Sanget – nel 2015 sono circa 400mila i lavoratori italiani e stranieri vittime del fenomeno del caporalato nel nostro paese. Una cifra sottostimata se prendiamo in considerazione le altre forme di caporalato legalizzato che definiamo caporalato 2.0 e che operano legalmente all’ombra delle agenzie interinali di lavoro, che ricevono le richieste di lavoro da parte dei privati e dello stato. Il caso più emblematico è quello di Paola Clemente, bracciante italiana deceduta l’estate scorsa, che lavorava ad Andria tramite un’agenzia interinale. Paola veniva trasportata da San Giorgio Ionico nel Tarantino, dove viveva, fino ad Andria, (150 km) dai suoi caporali dipendenti dell’agenzia interinale. Una situazione che dimostra come ormai lavorano le imprese in Italia dove il Caporalato è diventato un fenomeno strutturale del fare impresa e che ritroviamo anche in altri settori della nostra economia tipo i servizi, l’edilizia, il badantato”.

Ma chi è Yvan Sagnet? Yvan era un giovane promettente studente del Camerun che impara l’italiano e con un permesso di studio si iscrive all’università di Torino perché vuole diventare ingegnere. Finalmente può conoscere dal vivo il calcio italiano che ha amato da bambino. Tifa Juventus ma la prima partita dal vivo della sua vita la vede di spalle, come steward, allo stadio. Sono i primi di luglio del 2011 e i soldi della borsa di studio non bastano. Alcuni amici di Torino gli dicono che al Sud si può andare a lavorare per la raccolta del pomodoro perché serve manodopera. Così Yvan decide di trasferirsi nelle campagne salentine, a Nardò, dove sa di una masseria che accoglie i braccianti che fanno la stagione, togliendoli dalla strada, dove spesso dormono accampati sotto gli alberi, dentro case di cartone, senza acqua né corrente elettrica. Eppure anche alla Masseria Boncuri, nonostante l’impegno di tante associazioni di volontariato, la longa manus dei caporali detta le sue leggi. Appena arrivati, i caporali requisiscono i documenti ai braccianti e li usano per procurarsi altra mano d’opera, altri immigrati, ma clandestini. Il rischio che i documenti vadano persi è altissimo e quando accade i braccianti diventano schiavi. Le condizioni di lavoro sono agghiaccianti: diciotto ore consecutive, di cui molte sotto il sole cocente. Chi sviene non è assistito e se vuole raggiungere l’ospedale deve pagare il trasporto ai caporali. Il guadagno è di appena 3,5 euro a cassone, un cassone è da tre quintali e per riempirlo ci vuole molto tempo, ore. Si lavora con questi ritmi anche durante il Ramadan, quando molti lavoratori di religione islamica non bevono e non mangiano. Ad un certo punto, i caporali impongono un lavoro ancora più duro ed estremo e parte la rivolta. Yvan e gli altri braccianti non trovano alternative, si sollevano. È l’inizio della rivolta e Masseria Boncuri ne diventerà il simbolo con l’enorme striscione “Ingaggiami contro il lavoro nero”. La magistratura poi fa il suo compito e scattano le inchieste, così come la miccia della ribellione allo sfruttamento, ma tanto c’è ancora da fare e quì torna in gioco ancora lui Yvan Sagnet che in questi anni ha costruito la campagna #NoCap e sensibilizzato le istituzioni ad una seria revisione del mercato del lavoro ed incalzato la politica ad una legge contro il caporalato. Ma qual è la situazione nella nostra regione? “In Sicilia – ci racconta Sagnet – il fenomeno è concentrato nella sua parte orientale, Ragusano, Catanese e Siracusano. Molti sono gli stranieri che lavorano nelle serre in condizioni disumane di sfruttamento e schiavismo. Le donne vengono stuprate nelle campagne, tra i capanni rifugio degli attrezzi e molte di essere non sono assistite all’aborto da medici, spesso obiettori, quando peraltro hanno la fortuna di arrivare in una struttura sanitaria… Un nuovo ghetto sta formandosi anche nel Trapanese, a Campobello di Mazara ad esempio, centinaia sono i sudanesi lavorano nella raccolta delle olive. A contribuire allo sfruttamento c’è poi la mafia che gestisce terre e trasporti.

Pagina 28 del mensile “il Fatto Nisseno” di aprile 2017

La battaglia che va fatta è soprattutto nella direzione di cambiare il modello produttivo che non funziona in tutta la filiera, dalla raccolta al trasporto. La Sicilia vede circa 20 mila lavoratori vittime di questo fenomeno. Il 70% è concentrato tra il Gelese, il Ragusano e Siracusano. Sono numeri spaventosi e sono ufficiali, poi ci sono quelli non ufficiali. La Sicilia – ricorda Sagnet – essendo una terra di approdo potrebbe avere cifre molto superiori a quelle ufficiali. Migliaia sono infatti i cittadini stranieri che scappano dalla guerra ed essendo vulnerabili rispetto alla loro situazioni, vengono sfruttati dai caporali e da molte imprese agricole siciliane che con loro possono avere manodopera a bassissimo costo. Il fenomeno del caporalato è l’ultimo anello di una filiera che vede al centro le multinazionali, la grande distribuzione. Sono loro che impongono i prezzi ai nostri agricoltori. Cosicché questi, per reggere il mercato usano forme di lavoro irregolare. Bisogna quindi rivedere il modello produttivo e di sviluppo che schiaccia i nostri produttori e, a pagarne il prezzo sono i lavoratori. Serve un intervento strutturale per monitorare, fare prevenzione, su un modello in cui il mercato ha mani libere. Il mercato va quindi monitorato o va costruita una alternativa. Altro punto nodale è il sistema del trasporto: La forza del caporalato è quella di potere gestire la logistica, la mobilità dei lavoratori, dalle piazze delle nostre città verso le campagne o comunque verso i luoghi di lavoro. Quindi possiamo stroncare il caporalato mettendo a disposizione del lavoratore un sistema di trasporti dignitoso. Serve inoltre da un punto di vista normativo, una seria tracciabilità della filiera a livello regionale. un sistema di monitoraggio, di prevenzione e di premialità delle produzioni virtuose”. Questa non è la storia di Yvan Sagnet ma è la storia di un Paese che sta tollerando la stessa schiavitù dei “neri” nelle piantagioni di cotone del Sudamerica, insomma, un Paese di cui vergognarsi.
@BenantiMarco

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