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Roberto Pilutti: la verità, il linguaggio, le cose e i cretini laureati

Redazione

Roberto Pilutti: la verità, il linguaggio, le cose e i cretini laureati

Mar, 07/02/2017 - 11:40

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Renato Pilutti è consulente di direzione per lo sviluppo e la formazione delle risorse umane in imprese nazionali e multinazionali; è anche docente contrattista di sociologia industriale e di discipline etico-antropologiche legate al mondo del lavoro e all’etica sociale (redazione di Codici etici e presidenza di vari Organismi di Vigilanza (ex D.Lgs. 231/2001). Filosofo pratico e tutor Associazione per la Consulenza filosofica Phronesis (ex lege 4/2013).
Studi: maturità classica, laurea in scienze politiche e in scienze religiose, licentia docendi in Teologia sistematica e Dottorato di Ricerca in Teologia filosofica.
Master in Consulenza filosofica (ex L. 4/2014). È autore di diversi volumi di carattere filosofico e socio-politico. Di seguito una sua celebre “lettera aperta”.

Caro lettor serale,

con il termine verità (in latino veritas, in greco αλήϑεια) si indica il senso di accordo o di coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso (preso dal web).

Il rapporto tra verità, linguaggio e cose stesse è la domanda che ognuno si fa vivendo, parlando, dialogando, ricercando, interrogandosi.

Non è possibile evitare questa domanda, poiché ne va della stessa salute mentale.

Gli antichi pensatori studiano la natura chiedendosi il principio primo di essa, o archetipo: acqua, infinito, essere, divenire, i quattro elementi, la mente (il nòusanassagoreo); e poi il lògos delle scuole platonico-aristoteliche e stoiche (lògos spermatikòs), ma subito dopo si chiedono come agisca e quale sia il principio veritativo della conoscenza fisica e pratica, la conoscenza della natura delle cose e dell’uomo stesso, quali siano le sue facoltà…

Tommaso d’Aquino, sulle tracce di Aristotele, ritiene che la conoscenza avvenga attraverso una adaequatio intellectus et rei, cioè un adeguamento dell’intelletto e della “cosa”, cosicché poi l’intelletto può dare-il-nome-alla-cosa, basandosi su un significato condiviso dall’accezione comune.

Heidegger definisce il linguaggio come “casa dell’essere”, ma forse è un’espressione troppo poetica.

Wittgenstein ne parla come della sola dimensione conoscitiva plausibile, fuori della quale tutto è “fuffa”.

Frege distingue rigorosamente tra senso (Sinn) e significato (Bedeutung), integrandone le funzioni nella logica semantica.

Il cardinale John Henry Newman distingue rigorosamente tra verità sintetica(quella intuitiva) e analitica (quella deduttiva e sillogistico-argomentativa), e quindi tra apprensione nozionale  e apprensione reale della verità, completando poi il suo teorema con l’elencazione dei modi della conoscenza in dubitativo,illativo-inferenziale e assertivo. E potrei continuare quasi ad libitum.

Dalla dimensione teoretica passerei un attimo al pratico, con un esempio: si può dire che è verità il fatto che il governo Monti e la ministra Fornero, quando nel 2012 hanno messo mano alla quarta riforma pensionistica degli ultimi vent’anni, hanno commesso errori sesquipedali di valutazione, sia politica, sia tecnica?  Si può dire che è vero che il numero degli esodati, sconosciuto (pazzesco!!!) alla professoressa Fornero costituisce un esempio di dilettantismo manifesto e perfin banale? Si può dire che è vero che ogni piccola azienda privata che si rispetti (non quindi una Fiat o FCA che si voglia dir, o una Danieli), prima di fare un investimento impegnativo o di iniziare un progetto oneroso, si informa presso esperti, consulenti, giuristi, economisti, finanzieri, finché non acquisisce una ragionevole certezza della bontà del suo agire?

Ebbene, quei due emeriti professori, Monti e Fornero, nulla di tutto ciò hanno fatto, e sono riusciti ad aver sbagliato anche dopo tre anni dalla loro non rimpianta uscita di scena, a seguito dell’ultima sentenza della Consulta (probabilmente sbagliata, ma non importa)  che ha ritenuto inammissibile e illegittima la loro misura di blocco delle pensioni superiori all’importo di tre volte la “minima”, per un biennio. Forse che, prima di prendere quelle cervellotiche decisioni, non era il caso che chiedessero discretamente un parere a chi ne sapeva più di loro, reputati esperti, in materia?

Ecco si può dire che in quel caso si è trattato del comportamento di due laureati (anzi Ph. D.) incompetenti, per non dire altro?

Si può dire, con il cardinale Newman, Aristotele, Tommaso d’Aquino, Hume, Frege, Heidegger, Wittgenstein e molti altri, che è vera la loro insipienza governativa? E ciò è vero, sia sotto il profilo analitico dei dati di fatto, sia sotto il profilo sintetico dell’impressione che di loro avrebbe potuto avere quella donna sapiente che era mia nonna Caterina.

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